Le cronache dicono che San Francesco compose il Cantico delle creature dotato di un accompagnamento musicale di cui però non è rimasta traccia. Sembra che Francesco stesso cantasse la sua laude assieme ai fratelli nella chiesa di Santa Maria degli Angeli. Chissà se Chiara ha avuto modo di ascoltarlo cantare? Spesso gli mandava delle missive per chiedergli di venire a portare una buona parola al convento. Lo supplicava di visitare le sue poverelle, le sue "pianticelle", come le aveva chiamate una volta. Ma lui non si faceva vivo. Quasi temesse di intenerirsi troppo. La sola volta che acconsente a recarsi al convento di San Damiano che lui stesso aveva aiutato a ricostruire, sorprende le sorelle per il suo silenzio. Si aspettavano una profezia, un racconto, una consolazione. E invece lui entra a testa bassa, pensieroso. Prende della cenere dal focolare spento, la spande intorno formando un cerchio, vi si accuccia in mezzo, si cosparge la testa di quella stessa cenere, recita il miserere, si alza e se ne va senza proferire parola. Le suore rimangono stupite, forse anche un poco mortificate per questo comportamento quasi sprezzante. Ma sprezzante Francesco non è. Piuttosto portato alla gestualità. Quando pensa che le parole non siano necessarie, si esprime con perfetta teatralità mistica, composto e intenso, proprio come in una rappresentazione sacra. Ricordiamo la spogliazione pubblica, così potente come gesto: quel farsi vedere nudo e fragile davanti al padre e alle autorità di Assisi. E questa scena della cenere va interpretata certamente nello stesso senso. Anche qui siamo di fronte a una cerimonia ammantata di solennità e di teatralità. Come dire: non ho bisogno di parole con voi sorelle, sapete tutto di me e io di voi, condividiamo le stesse idee, abbiamo gli stessi sentimenti. Voglio solo ribadire qui con voi la pratica dell'umiltà di fronte a Dio. Cenere siamo e cenere torneremo. Non ho altro da dire. Iniziamo così la Quaresima….
Da: Dacia Maraini: Chiara di Assisi
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