La locanda di Emmaus
Io sono una locanda. Una sera di tanto tempo fa - era appena tramontato il sole - entrarono due che sembravano viaggiatori come ne vedevo continuamente. Dietro di loro ce n’era un altro, diverso: era dietro a loro ma sembrava che li avesse guidati lì; era vestito come un viaggiatore ma il suo aspetto era sereno, era capace di attrarre. Scelsero il tavolo nel mio angolo più nascosto. Mentre gli altri avventori chiamavano l’oste e si lamentavano della sua lentezza essi parlavano fitto fitto tra loro. Anche se il tono della loro voce era basso, io potevo sentire tutto. Stavano ricordando la giornata trascorsa e si dicevano che peggio di come era cominciata non potevano immaginarselo. Si erano alzati - svegliati non si può dire, visto che avevano passato una notte insonne – presto, ancora prima che sorgesse il sole, perché avevano deciso di lasciare per sempre Gerusalemme e, con essa, anche la loro amicizia con Gesù. Sì, Gesù che per loro era stato un profeta potente in parole e opere, che aveva fatto nascere in loro la speranza di una vita nuova, diversa, una vita fatta di comunione, di generosità, di apertura verso tutti. Proprio Gesù che era appena stato crocifisso. Morto e sepolto da alcuni coraggiosi che ne avevano chiesto il corpo a Pilato. E con lui morte anche le loro speranze. Parlavano, meglio: borbottavano mentre si dirigevano fuori dalla capitale verso una piccola cittadina di nome Emmaus. Era da lì che venivano ed avevano deciso di tornare lì a riprendere la vita di prima. Erano delusi, arrabbiati, tristi e pensavano alla vergogna che i compaesani gli avrebbero fatto provare quando sarebbero arrivati a casa dopo aver “buttato via” mesi interi dietro al rabbì di Nazaret. Il loro cuore stava diventando di ghiaccio. Il gelo della morte di Gesù aveva preso anche le loro menti. Non sapevano più ragionare se non in modo negativo, pieno di pessimismo e rabbia. Borbottavano: “Ne è valsa la pena?” e “Che stupidi siamo stati a credere nel perdono, nell’amore, nella generosità! Guardalo, dov’è finito il maestro di queste cose: sulla croce!” ...Lo straniero ora prende il pane e lo spezza. Proprio come Gesù la notte del suo arresto. E la luce dalle sue mani! E il suo volto! E le parole che li hanno accompagnati per tutto il giorno… “Ma è lui! E’ Gesù! Ma allora è risorto! Ma allora il perdono è possibile, la comunione è possibile, allora non si è illusi se si crede all’amore, se si mantiene viva la speranza del bene!”. Eccoli adesso correre verso Gerusalemme, la città che volevano abbandonare, per dire a tutti che Gesù, come il sole, ha sciolto il loro gelo e così farà con tutti i cuori che gli daranno accoglienza. Oggi e per sempre!!! Mi piacerebbe essere ricordata per sempre come la locanda di Emmaus, quella dalla porta aperta.
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