La luna e il cedro
[dropcap type="square" color="COLOR" background="COLOR" ]A[/dropcap]utunno è per il popolo ebraico, anche tempo di Sukkot, festa delle capanne. Durante i sette giorni della ricorrenza si ricorda come il popolo ebraico soggiornasse in abitazioni provvisorie costruite di frasche e tende nei 40 anni di peregrinazione nel deserto fra l’uscita dall’Egitto e l’entrata in Terra d’Israele. Ogni anno, il 15 del mese di Tishri, primo del calendario ebraico, amici e parenti si riuniscono nelle capanne. La luce della luna, piena a metà mese, deve poter filtrare attraverso il tetto di rame, a ricordare la protezione divina e la precarietà delle nostre esistenze.
Nelle capanne si soggiorna il più possibile, mangiando, studiando, discorrendo e anche dormendo. Nel percepire una condizione tanto incerta ed effimera, esposta agli elementi senza la protezione di tetti e muri, si avverte il desiderio di stringersi assieme. Ecco spiegato il precetto del Lulav: un mazzo di rami, uno di palma, tre di mirto e due di salice, da scuotere durante le preghiere di Sukkot, legati assieme a rappresentare la varietà umana, in cui ognuno è responsabile anche del prossimo: la palma, che ha buon sapore (il dattero) ma nessun odore, rappresenta una persona buona ma ignorante; il mirto profuma ma non dà frutto, come un sapiente poco propenso alle buone azioni; il salice non profuma e non ha sapore, come un malvagio ignorante. Assieme ai rami si prende in mano un cedro perfettamente liscio, in ebraico Etrog. Dotato di buon sapore e gradevole odore, esso ci sprona a perseguire saggezza e bontà.
Oggetto prezioso, il cedro non può essere gettato finito Sukkot, quando smette di essere simbolo per tornare frutto. Ecco allora l’invenzione di molte ricette che lo vedono candito o cotto a marmellata, pronto per essere consumato sperando che le sue doti positive contaminino anche noi.