Un vuoto che parla
Nel 2016 non ci saranno nuovi preti nella diocesi di Bergamo. Lo ha annunciato il Vescovo nel Consiglio presbiterale. Le ordinazioni sacerdotali rimangono, nelle nostre comunità, eventi di straordinario impatto. Le feste che si celebrano per i preti novelli sono, forse, quelle che riescono a dare meglio l'idea di Chiesa, della Chiesa concreta che è cresciuta in questa terra: «questa» Chiesa «qui». È in quell'occasione, infatti, che la gente di un paese si trova tutta per far festa all'amico diventato prete, tutti diversamente motivati per vivere quell'evento. Mai come in quella occasione la Chiesa è variegata e unita insieme.
Nel 2016: niente. Come sempre, la mancanza di parola parla. Anche questo vuoto parlerà moltissimo l'anno prossimo, ma comincia a parlare forte già adesso. E che cosa dice? Tante cose, naturalmente.
Intanto, la Chiesa è più povera e non di soldi e di strutture, ma di gente, di gente in genere e di questo particolare genere di gente che sono i preti.
Ora, è la gente che fa essere la Chiesa precisamente quello che è: «Chiesa di mattoni no, Chiesa di persone, sì», dice una canzone popolare che si canta nelle nostre chiese. Anzi, la prima cosa che balza agli occhi è proprio questa relativa povertà di persone - preti, religiosi, laici - e questa eccessiva ricchezza di strutture: chiese, oratori, case parrocchiali, case di riposo, scuole, case di vacanza, cinema ... e tanto altro. Non che quelle strutture fossero o siano un lusso inutile, certamente no. Erano i molti mattoni diventati necessari per le molte persone. Ma adesso che le persone sono di meno, i mattoni sono rimasti quelli dei tempi dell'abbondanza e appaiono ancora di più di quello che sono.
In questa situazione la Chiesa - per essere precisi: le singole Chiese, le parrocchie, le comunità cristiane locali - devono iniziare una difficile, necessaria «rieducazione». Quando i cristiani erano molti, bastavano pochi convinti perché si facesse almeno il necessario. Quando si è pochi, diventano necessari quasi tutti. In altre parole: una Chiesa diventata piccola o è più Chiesa o non è. Questo vale soprattutto in rapporto alle figure dei preti che, appunto, dopo essere diminuiti, adesso danno perfino l'impressione di non esserci più (questo è infatti il senso un po' straniante di un anno senza preti, come si annuncia essere il prossimo 2016).
Di fronte a una situazione così drastica si impone un'altrettanto drastica verità: le comunità cristiane potranno sopravvivere, se impareranno a fare a meno dei preti.
Inutile precisare che non è che si vuole fare a meno dei preti, ma che si deve. Per fare a meno dei preti, però, i primi a darsi da fare devono essere i preti. «Fare a meno» è un po' forte, ma dà l'idea (per la verità la storia di Chiese locali, lontane da noi: Corea, India riferisce di intere comunità cristiane che hanno conservato la fede, anche per secoli, senza preti).
È un po' forte l'espressione, dunque, ma non è peregrina. Si parla spesso del prete «padre», della paternità del prete e così via. Bene: tutti sanno che un buon padre è quello che sa crescere dei figli maturi, cioè dei figli che non hanno più bisogno di lui. Il buon padre, detto con parole un po' brusche, sa anche "morire". Proprio perché è padre, infatti, è contento della vita che ha dato agli altri, non di quella che ha trattenuto per sé. Dunque, mentre la Chiesa di Bergamo sta diventando povera di preti, potrebbe imparare, grazie anche all'azione dei molti preti generosi e capaci che ci sono, a essere ricca di tutto il resto.
E sarebbe, se la cosa, almeno un po', riuscisse, una straordinaria forma di rinascita.
don Alberto Carrara