letterina 20160801

Arbeit macht frei

Monticelli

In silenzio, col volto rivolto verso il basso in segno di rispetto nei confronti di oltre quel milione di ebrei europei, 23mila rom, 15mila prigionieri di guerra sovietici, insieme a decine di migliaia di cittadini di altre nazionalità che qui hanno trovato la morte, il Papa alle 9,15 varca lentamente il cancello del campo di concentramento di Auschwitz, a Oswiecim, sovrastato dalla scritta beffarda “Arbeit macht frei”, “il lavoro rende liberi”. Entrato, sale sulla vettura elettrica per dirigersi verso le diverse zone del campo. Si ferma ancora da solo e sempre in silenzio su di una panchina di fronte alle camerate, dove erano reclusi gli internati, spersonalizzati con le loro logore divise a righe e i capelli rasati, dove resta per oltre un quarto d’ora assorto, a tratti con gli occhi chiusi, a mani giunte in grembo.
Bergoglio, terzo Pontefice dopo Giovanni Paolo II (7 giugno 1979) e Benedetto XVI (28 maggio 2006) a varcare la soglia del più grande campo di concentramento mai realizzato dal nazismo, che svolse un ruolo fondamentale nel progetto di “soluzione finale della questione ebraica”, eufemismo con il quale i nazisti indicarono lo sterminio degli ebrei, ha avuto modo di comprendere appieno “se questo è un uomo”, per citare il titolo del celebre libro di Primo Levi.
Prima di riprendere il percorso, a bordo di una piccola vettura aperta, il Santo Padre raggiunge il Blocco 11 e la piazza dell’appello, quella delle esecuzioni, si avvicina a una forca di ferro, dove venivano impiccati i prigionieri e bacia uno dei pali. Incontra undici sopravvissuti e parla con loro uno a uno. Il più anziano gli porge una candela con la quale il Papa accende una lampada davanti al muro della fucilazione, per poi continuare a pregare in silenzio. Francesco entra nella buia cella di San Massimiliano Kolbe, il francescano che offrì la propria vita al posto di un altro prigioniero già condannato, e vi resta a lungo, ancora da solo, in ginocchio. In questo posto, eterno simbolo del dolore dell’uomo, i canti della meglio gioventù riunita a Cracovia in attesa del ritorno del loro Padre e le sirene delle auto della polizia della città polacca cinta d’assedio dalle forze dell’ordine sembrano lontane migliaia di chilometri. Il tempo si ferma. “Io vorrei andare in quel posto di orrore senza discorsi, senza gente, salvo quelle necessarie: da solo entrare, pregare, e che il Signore mi dia la grazia di piangere”, aveva detto Bergoglio settimane fa. Silenzio e preghiera, dunque per il Papa in questa giornata di sole in un posto che ha visto l’inimmaginabile, il buio e il cuore nero degli uomini.
Papa Francesco scrive, in spagnolo, nel libro d’onore del lager: “Signore abbi pietà del tuo popolo! Signore, perdono per tanta crudeltà!”, ultimo atto di una visita, protagonista il silenzio, che ha parlato più di mille parole.

 

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