Vitelli e vitelloni
Ci fu il tempo dei vitelloni, ma, prima ancora, quello del vitello d’oro. Anzi, sembra che questo non sia mai finito.
Arriva il tempo delle giornate eucaristiche che viviamo anche in preparazione alla festa di Prima Comunione; è stato montato in chiesa parrocchiale l’apparato con centinaia di candele e luci per arrivare al centro, cioè al Corpus, al Corpo di Cristo. Le quarantore come ce le consegna la tradizione della Chiesa (sì, 40 ore per adorare) sono da noi diluite lungo l’anno e in diverse occasioni, riconoscendo che questa forma di preghiera non è scomparsa, anzi. Il senso? Semplice: solo a Dio va tutta la nostra adorazione, solo dinanzi a Lui possiamo piegare le ginocchia (qualcuno dice: mettiamo l’imbottitura sugli inginocchiatoi...) prostrandoci in preghiera, sicuri che questo gesto, lungi dal mortificare la nostra vita, la promuove dilatando ogni facoltà affettiva e intellettiva. Al contrario, quando ci “inginocchiamo” per adorare il nostro io, considerandolo il referente primo ed ultimo della nostra vita, oppure quando abbiamo l’ardire di innalzare sui “troni dorati” del mondo ciò che è semplicemente creaturale, offrendo l’incenso del nostro affetto, ci ritroviamo più poveri, schiavi dell’idolo che abbiamo fabbricato con le nostre mani.
In tal modo, l’alto e nobile significato del termine adorazione, che in latino significa: “ad-oratio – contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore” (Benedetto XVI, 21 agosto 2005), ne rimane profondamente impoverito, deturpato e distorto.
Anche ai nostri giorni l’episodio biblico del vitello d’oro continua ad essere attuale: mentre il culto eucaristico si impoverisce, aumentano a dismisura coloro che bruciano incensi al toro d’oro del potere, del piacere, del denaro e che piegano le ginocchia ai vari “signori del mondo”, oggi di turno sulla terra. “Tra voi, però, non sarà così” ci ammonisce il Signore! Il cristiano, infatti, sa bene che solo Dio è degno di tutta la nostra lode e della nostra adorazione, perché Lui solo è grande, Lui solo è buono.
La preghiera di adorazione all’Eucaristia, tuttavia, è difficile da vivere poiché necessita di silenzio esteriore ed interiore, di calma e di raccoglimento, di un cuore capace di desiderio e di passività per lasciarsi amare da Colui che si desidera con tutto il cuore, anche a costo di sperimentare il vuoto, il deserto, l’aridità e distrazioni di ogni genere: impegno e perseveranza, fede viva e semplice sono ingredienti indispensabili.