Passio secondo Matteo
Come ogni anno ci introduciamo alla grande settimana santa con la Domenica delle Palme, leggendo la passione del Signore. Quest’anno il racconto è dell’evangelista Matteo. Come si sa, i vangeli cosiddetti “sinottici” (Matteo, Marco e Luca) hanno buona parte del loro materiale narrativo in comune. Ma ciascuno di loro ha qualcosa di proprio, che non si trova negli altri due.
Oltre ad alcuni particolari, Matteo racconta, lui da solo, la morte di Giuda, il traditore. Racconta poi il particolare che, dopo la risurrezione di Gesù, i sepolcri si aprono e i morti risorgono e appaiono a Gerusalemme. Infine, è solo di Matteo il particolare delle guardie incaricate di custodire il sepolcro di Gesù.
Si potrebbe dire che Matteo sente con forza il dramma del rifiuto. Giuda è il traditore: consegna Gesù per trenta denari. Ma non solo. Consegna se stesso alla morte, in preda al rimorso. Non riesce a uscire dal suo mondo cupo e vi sprofonda dentro. È la tragedia della solitudine. Solo, prima, rispetto a tutti gli altri discepoli, solo, dopo, con i capi religiosi ai quali ha consegnato Gesù. Di fronte al suo rimorso quelli, infatti, gli rispondono: “A noi che importa? Pensaci tu!”. E Giuda non sa far altro che andare a impiccarsi.
Ma il rifiuto è anche degli stessi capi religiosi ed è legato alla vicenda delle guardie del sepolcro. I capi ebrei temono che i discepoli trafughino il cadavere perché Gesù ha predetto che dopo tre giorni risorgerà. Ottengono quindi da Pilato, il rappresentante di Roma, di mettere delle guardie al sepolcro. Ma quando Gesù risorge e le guardie annunciano quello che è capitato, i capi le convincono, con una buona mancia, a testimoniare il falso e a dire che i discepoli hanno trafugato il cadavere mentre loro, le guardie, dormivano.
Il Risorto lo vedono solo quelli che vogliono vederlo. Chi non vuole vederlo trova sempre motivi per trincerarsi nella propria cecità. Non c’è evidenza che tenga.
Interessante pure il particolare dei morti che risorgono: anche di questo parla solo Matteo. È evidente il senso di quel particolare. Gesù non risorge “per sé” ma per gli altri, per noi. La vittoria sulla morte tracima subito su tutti, a cominciare dai morti. Come a dire che la Pasqua incomincia là, dove nessuno avrebbe pensato che potesse arrivare: nel “regno dei morti”, nel “regno della morte”. È il simbolismo del sabato santo: la luce del risorto arriva, irresistibile, nella morte, che è la notte più profonda dalla quale l’uomo non riuscirebbe mai a uscire da solo.