letterina 20170115

Costruire ponti, attraversare porte, intrecciare futuro

Monticelli

“Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”.
È a partire da questa citazione evangelica che papa Francesco indirizza il suo messaggio alla Chiesa in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Per questo siamo tutti invitati a metterci in gioco nell’accoglienza, tema e valore che può essere definito come “il vero banco di prova per un’autentica spiritualità”. L’essere cristiani infatti ci chiama ad essere presenti al mondo e nel mondo, con passione, facendo nostre le sue speranze e le sue contraddizioni.
Accoglienza deriva da “accogliere”, cioè dal latino ad-cum-legere. “raccogliere insieme verso”. Questo non è forse il cammino di noi umani sulla Terra? Sotto ogni cielo, a ogni latitudine, la nostra vocazione è quella di raccogliere insieme le forze, le energie, per camminare insieme verso il bene comune, verso la gioia condivisa. Effettivamente ogni collettività umana è una comunità in viaggio: essa può assumere strade diverse, forse alternative. O si “va verso l’umanizzazione di persone e collettività, oppure si va verso la disumanizzazione, ossia verso la perdita del volto migliore dell’umano negli individui, nelle comunità e nelle istituzioni”.
Oggi l’accoglienza pare essere sempre meno ospitata: tuttavia, anche quando non agìta, essa parte da un’esperienza fondamentale per l’uomo, ovvero il fatto di essere accolto originariamente. Chi non vive e non soffre il bisogno di essere accolto? Una forma originaria di accoglienza, quella ricevuta, di cui ogni uomo ha fatto esperienza nel momento in cui è stato portato in grembo da sua madre.
Il Santo Padre orienta quest’anno la sua riflessione attorno al tema dei migranti minorenni: “mi sta a cuore richiamare l’attenzione sulla realtà dei migranti minorenni, specialmente quelli soli, sollecitando tutti a prendersi cura dei fanciulli che sono tre volte indifesi perché minori, perché stranieri e perché inermi”. Abbisognano come ogni bambino, ragazzo e adolescente, di un ambiente sano in cui crescere, di genitori e di una famiglia in cui sentirsi accolti, di una scuola che possa prepararli ad affrontare il mondo che li aspetta... di un Oratorio capace di “Accoglienza, integrazione, condivisione, intercultura”. Se non altro pensiamoci...

don Massimo Rizzi e l’équipe dell’Ufficio per la Pastorale dei Migranti

 

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letterina 20170108

Post-truth ovvero bufala

Monticelli

L’Oxford Dictionary, autorità indiscussa per la lingua inglese, l’ha scelta come parola dell’anno: post-truth, letteralmente post-verità. Una decisione forse anche un po’ provocatoria, collegata com’è ai due grandi eventi politici mondiali degli ultimi mesi: l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue e l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. In entrambi i casi, infatti, tutti gli osservatori sono concordi nel ritenere – dati internet alla mano – che la diffusione “virale” di notizie false, anche palesemente false, ma plausibili almeno per un pubblico privo di strumenti critici adeguati ha condizionato in modo decisivo le opzioni degli elettori. Perché di questo si tratta quando si parla di post-verità.
La parola italiana di uso corrente che più le si avvicina è bufala, termine che contiene una giusta dose di irrisione per l’assurdità di certe invenzioni, che pure trovano largo credito sul web, e che però non dà la misura della gravità del fenomeno. Con il potere della parola, del resto, bisogna andare cauti.
Una studiosa molto autorevole come Patrizia Violi, sottolinea con preoccupazione lo“spostamento semantico” per cui “si parla di post-verità e non più di menzogna”. La presenza di quest’ultima nel discorso politico, peraltro, è vecchia come il mondo.
“Il problema – spiega Violi – è che oggi la menzogna non viene più sanzionata e quando viene scoperta sembra che sia sufficiente chiedere scusa, anche quando la stessa menzogna è stata all’origine di eventi che hanno provocato decine di migliaia di morti”. Il riferimento esplicito è alle prove false costruite per giustificare la guerra in Iraq.
“Falsità dei contenuti, plausibilità, diffusione virale” sono i tre elementi che caratterizzano la post-verità. Purtroppo i siti d’informazione, anche quando concorrono a svelare la falsità di certe notizie, finiscono in qualche modo per rincorrerle e rilanciarle, ma, in altri casi, le bufale sono clamorosamente false e nonostante questo riescono a fare breccia nell’opinione pubblica.
Com’è possibile questo? E perché tanti preferiscono fidarsi del “si dice” digitale o di fonti quantomeno dubbie invece che dei siti che fanno informazione professionale?
È certamente doveroso chiedere un ruolo più incisivo e rigoroso dei siti d’informazione e un più tempestivo controllo da parte dei gestori dei social network. Ma senza farsi troppe illusioni. Il problema va rovesciato. Alla fine, dice Peverini, “l’unica risposta realistica è la formazione delle persone”.

 

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letterina 20170101

La non-violenza: stile di una politica per la pace

Monticelli

Questo è il Messaggio per la 50ª Giornata Mondiale della Pace.

Nel primo, il beato Papa Paolo VI si rivolse a tutti i popoli, non solo ai cattolici, con parole inequivocabili: «E’ finalmente emerso chiarissimo che la pace è l’unica e vera linea dell’umano progresso (non le tensioni di ambiziosi nazionalismi, non le conquiste violente, non le repressioni apportatrici di falso ordine civile)». ...

2. Il secolo scorso è stato devastato da due guerre mondiali micidiali, ha conosciuto la minaccia della guerra nucleare e un gran numero di altri conflitti, mentre oggi purtroppo siamo alle prese con una terribile guerra mondiale a pezzi.
Non è facile sapere se il mondo attualmente sia più o meno violento di quanto lo fosse ieri, né se i moderni mezzi di comunicazione e la mobilità che caratterizza la nostra epoca ci rendano più consapevoli della violenza o più assuefatti ad essa. In ogni caso, questa violenza che si esercita “a pezzi”, in modi e a livelli diversi, provoca enormi sofferenze di cui siamo ben consapevoli: guerre in diversi Paesi e continenti; terrorismo, criminalità e attacchi armati imprevedibili; gli abusi subiti dai migranti e dalle vittime della tratta; la devastazione dell’ambiente. A che scopo? La violenza permette di raggiungere obiettivi di valore duraturo? Tutto quello che ottiene non è forse di scatenare rappresaglie e spirali di conflitti letali che recano benefici solo a pochi “signori della guerra”? La violenza non è la cura per il nostro mondo frantumato.
Rispondere alla violenza con la violenza conduce, nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e a immani sofferenze, poiché grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane dei giovani, delle famiglie in difficoltà, degli anziani, dei malati, della grande maggioranza degli abitanti del mondo. Nel peggiore dei casi, può portare alla morte, fisica e spirituale, di molti, se non addirittura di tutti.

3. Anche Gesù visse in tempi di violenza. Egli insegnò che il vero campo di battaglia, in cui si affrontano la violenza e la pace, è il cuore umano: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive» (Mc 7,21)...
Essere veri discepoli di Gesù oggi significa aderire anche alla sua proposta di nonviolenza.

Dal Messaggio di papa Francesco per la Giornata della Pace

 

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letterina 20161225

Natale sei tu... (papa Francesco)

Monticelli

Il Natale di solito è una festa rumorosa, ci farebbe bene un po’ di silenzio per ascoltare la voce dell’Amore.

Natale sei tu, quando decidi di nascere di nuovo ogni giorno e lasciare entrare Dio nella tua anima.
L’albero di Natale sei tu quando resisti vigoroso ai venti e alle difficoltà della vita.
Gli addobbi di Natale sei tu quando le tue virtù sono i colori che adornano la tua vita.
La campana di Natale sei tu quando chiami, raccogli e cerchi di unire.
Sei anche luce di Natale quando illumini con la tua vita il cammino degli altri con la bontà, la pazienza, l’allegria e la generosità.
Gli angeli di Natale sei tu quando canti al mondo un messaggio di pace, di giustizia e di amore.
La stella di Natale sei tu quando conduci qualcuno all’incontro con il Signore.
Sei anche i Re magi quando dai il meglio che hai senza tenere conto a chi lo dai.
La musica di Natale sei tu quando conquisti l’armonia dentro di te.
Il regalo di Natale sei tu quando sei un vero amico e fratello di tutti gli esseri umani.
Gli auguri di Natale sei tu quando perdoni e ristabilisci la pace anche quando soffri.
Il cenone di Natale sei tu quando sazi di pane e di speranza il povero che ti sta di fianco.
Tu sei la notte di Natale quando umile e cosciente ricevi nel silenzio della notte il Salvatore del mondo senza rumori ne’ grandi celebrazioni.
Tu sei sorriso di confidenza e tenerezza nella pace interiore di un Natale perenne che stabilisce il regno dentro di te.
Un buon Natale a tutti coloro che assomigliano al Natale.

Con questi sentimenti viviamo il Natale del Signore.
don Giuseppe, don Roberto, don Giampaolo e don Paolo.

 

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letterina 20161218

Non andar via Giuseppe...

Monticelli

Mattia è un ragazzino con la sindrome di Down, robusto e simpaticamente un po’ goffo, ma sempre servizievole, volenteroso e sorridente.
L’avvenimento più importante della scuola, ogni anno, era la recita natalizia. Coinvolgeva tutto e tutti.
Mattia come ogni anno pensava di fare il pastore col flauto ma la maestra decise di premiarlo con un ruolo di scena. Era in quinta e sarebbe stata l’ultima recita di Natale. La parte del locandiere comportava poche battute e Mattia, più grande degli altri, avrebbe dato forza scenica al rifiuto di accogliere Giuseppe e Maria nella locanda.
La sera della rappresentazione c’era un folto pubblico. Nessuno viveva la magia della notte di Betlemme più intensamente di Mattia, totalmente preso dal suo ruolo. Venne il momento dell’entrata in scena di Giuseppe, che avanzò piano sorreggendo teneramente Maria. Giuseppe bussò forte alla porta della locanda. L’oste, era là, in attesa: “Che cosa volete?” chiese Mattia, con un tenerissimo aggrottato sguardo che voleva essere burbero. “Cerchiamo un alloggio”. “Cercatelo altrove. Siamo al completo! Non c’è posto per voi!”, il tono di Mattia, tutto preso nella parte, era molto deciso. “La prego, buon signore, mia moglie Maria aspetta un bambino, e ha bisogno di riposare, anche solo un angolino”.
A questo punto, Mattia il locandiere guardò verso Maria. Seguì una pausa di silenzio, lunga abbastanza da far serpeggiare un filo d’imbarazzo tra il pubblico. “No! Andate via!”, sussurrò il suggeritore da dietro le quinte. “No! – ripeté Mattia automaticamente – andate via!”. Rattristato, Giuseppe strinse a sé Maria, che gli appoggiò sconsolatamente la testa sulla spalla e cominciò ad allontanarsi con lei. Invece di richiudere la porta, però, Mattia l’oste, rimase sulla soglia con lo sguardo fisso alla coppia. Aveva la bocca aperta, la fronte solcata da intense rughe e i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime. Tutto ad un tratto, quella recita divenne particolare, unica. “Non andar via Giuseppe – gridò Mattia – riporta qui Maria”. E, con il volto illuminato da un grande sorriso, aggiunse: “Potete prendere la mia stanza, io dormo sul divano!”.
Secondo alcuni Mattia aveva rovinato la rappresentazione, aveva bloccato tutta la scena, che non funzionava più. Per altri, il colpo di scena di Mattia creò la più natalizia di tutte le rappresentazioni che avessero mai visto.

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letterina 20161211

...anche noi...

Monticelli

Ascoltare, sperimentare, testimoniare: sono gli ingredienti più importanti della catechesi per gli adulti secondo le indicazioni di fratel Enzo Biemmi, nei giorni scorsi a Bergamo per un incontro con i catechisti della nostra diocesi.
«Ci troviamo – spiega fratel Enzo – in un momento di passaggio molto forte dal punto di vista culturale. Gli adulti che abbiamo di fronte hanno seguito la catechesi tradizionale, hanno una formazione cristiana, ma poi – per la maggior parte – si sono allontanati dalla comunità. Hanno un’infarinatura di cristianesimo che però non ha fatto presa sulla vita delle persone, sulle loro scelte, salvo alcune eccezioni. Credo che la sfida più difficile e importante sia accompagnare questi adulti a una riscoperta della fede non di tipo intellettuale ma nell’esperienza, nella vita.
Ci sono alcune esperienze che, come indicano anche gli Orientamenti sulla catechesi della Cei del 2014, possono diventare vere e proprie soglie di fede, ovvero concrete possibilità di riavvicinarsi». Sono momenti che coincidono in genere con esperienze forti, cruciali della vita: come quando ci si innamora, si battezza un bambino, lo si accompagna nei sacramenti di iniziazione cristiana.
«Da parte della Chiesa – sottolinea fratel Biemmi – è importante che non ci sia soltanto un annuncio verbale del messaggio cristiano ma uno stile di accoglienza, una proposta di esperienze che possano far riscoprire come significativa una parola bella di Vangelo, un patrimonio di formazione religiosa che è rimasto lì latente. Poi ci sono passaggi invece difficili, periodi di crisi, comunque decisivi: problemi a livello familiare, il fallimento di un matrimonio, una malattia, un lutto. La proposta di fede dev’essere legata a ciò che le persone realmente vivono e non alla sistematicità dei contenuti da trasmettere». Una catechesi, insomma, marcatamente più narrativa e più partecipata, ormai patrimonio di molte diocesi italiane. Ci siamo discostati dal metodo espositivo dottrinale, si tratta molto di più di catechesi con gli adulti piuttosto che agli adulti o per gli adulti.
Chi accompagna si implica personalmente in modo testimoniale, c’è spazio per uno scambio di esperienze e per l’ascolto della parola di Dio». «Chi frequenta la catechesi per adulti apprezza di poter avere accanto persone che leggono con loro, dialogano, si confrontano sulla vita, non hanno paura a manifestare se stessi e la propria ricerca di fede, e questo convince molto di più di un incontro in cui vengono semplicemente trasmessi contenuti, anche se in modo molto competente».

Non vi pare che sia ciò che anche noi stiamo facendo con i gruppi nelle case?

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