letterina 20160327

La chiesa della tenerezza

Tenerezza

"O innamorati, amate in segreto e voi che pregate ritiratevi in cella e chiudete la porta ... chi vuole la tenerezza, il tesoro dei credenti e degli amanti"
(D.M. Turoldo).

La tenerezza è un delicato, silenzioso, nascosto aspetto dell'amore, forse quello più nascosto, per il quale ci si apparta, perché chiede intimità. È il sentimento di Dio, che fa crescere la pianta di ricino su Giona mentre dorme, per dagli ombra e farlo riposare, come può fare una madre mentre culla il suo bambino. La tenerezza di quel Padre che abbraccia il figlio che è scappato e che torna rosso di vergogna, per il quale invece si fa festa e lo si ricopre di bellezza. La tenerezza di quel Dio che nell'Esodo si preoccupa perché "nessuno cammini senza luce nella notte e senza ombra di giorno sotto il sole": ha a cuore che le nostre ginocchia non si sbuccino e che non sudiamo troppo, il nostro Dio, come farebbe una mamma col suo bambino. E tutto il vangelo è pieno dei continui, invisibili e commoventi gesti di tenerezza di Gesù, verso i bambini, verso Pietro, verso gli apostoli quando lava loro i piedi...
Siamo esseri completi, pieni, davvero umani se conserviamo la nostra sensibilità, capaci di regalare e accettare tenerezza; assomigliamo di più a Dio quando compiamo gesti delicati, inutili, ma che accarezzano gli altri. I "sensati", i "benpensanti" di ogni tempo ci diranno: "A che serve?" "A chi giova questo spreco di profumo? Si potrebbe venderlo per trecento denari." Non li ascoltiamo: noi sappiamo che serve all'amore, alla gioia, alla festa. Giova alla vita.
Non perdiamo il coraggio del dono gratuito di un gesto di tenerezza e non spaventiamoci nel regalare un sorriso o una carezza, o un bacio: ce lo chiede Dio amore. In una notte mistica nella chiesa dell'ultimo secolo, Papa Giovanni disse: "Guardate com'è bella la luna stasera, tornate a casa e date una carezza ai vostri bambini". Fu un istinto del cuore, parlava a braccio il Papa, senza testo da leggere; fu un messaggio oltre lo spazio di quella piazza, diritto al cuore dell'uomo e di Dio.
È questa la chiesa che amo.

Auguri don Giuseppe, don Roberto, don Giampaolo e don Paolo

 

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letterina 20160320

ORATORIO: a qualcuno sta a cuore?

Oratorio

Quale è la situazione attuale degli Oratori lombardi e bergamaschi?
Negli anni si è assistito a una RIDUZIONE dei SACERDOTI IMPEGNATI in ORATORIO per le parrocchie di medie dimensioni (< 6000 abitanti) e l'affidamento di quelli più grossi (> 6000 abitanti) ai sacerdoti già dai primi anni di ministero. I sacerdoti ancora giovani sono stati spesso nominati PARROCI delle parrocchie di media grandezza (4-5000 abitanti), senza l'aiuto di un altro sacerdote per l'oratorio e, a causa del calo delle vocazioni, il prossimo futuro vedrà un INNALZAMENTO dell'ETÀ MEDIA dei SACERDOTI e il permanere di tutta la pastorale nelle mani del parroco.
Questi scenari pongono le parrocchie di fronte ad alcune questioni: riuscirà un sacerdote appena ordinato a guidare da subito un oratorio di grosse dimensioni? Riusciranno gli oratori delle parrocchie di media dimensione senza un sacerdote giovane a camminare? Quali forme di governo e animazione si possono pensare? Riuscirà un sacerdote con alle spalle solo qualche anno di ministero, a guidare una parrocchia di medie dimensioni, facendosi carico anche dell'oratorio e della pastorale giovanile? Riuscirà un parroco, con l'avanzare dell'età, a fare ancora tutto?
A fronte di tutte queste domande, emerge forte le necessità di un sostegno, una rete che supporti l’azione pastorale. A questo proposito, in continuità con quanto intrapreso nello scorso anno pastorale, si rende urgente impostare un SERIO LAVORO IN-FORMATIVO che va nella direzione di AIUTARE A PENSARE A UN NUOVO MODELLO DI PASTORALE GIOVANILE e di ORATORIO, capace di declinare il Vangelo nella cultura contemporanea e di ben accompagnare le giovani generazioni. Si tratta di cominciare a creare una più profonda mentalità di comunione e corresponsabilità tra ‘laici e laici’ e tra ‘laici e sacerdoti’.
A tal proposito l’UPEE ha progettato un percorso di tre incontri ( Brembate, 8-15 e 22 aprile, ore 20.30). La proposta è rivolta a laici e sacerdoti, giovani e adulti, con ruoli di responsabilità all’interno dell’oratorio ora e/o in futuro e con l’ obiettivo prioritario di coinvolgere i laici nella fase di ripensamento della pastorale giovanile, responsabilizzandoli e rendendoli consapevoli delle sfide in gioco. Un’occasione che non possiamo perdere. Ma a qualcuno sta a cuore?

 

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letterina 20160313

Intervista al papa

OpMis

Le famose " opere di misericordia" della tradizione cristiana sono ancora valide per questo terzo millennio, oppure occorre ripensarle?

Sono attuali, sono valide. Forse in qualche caso si possono tradurre" meglio, ma restano la base per il nostro esame di coscienza. Ci aiutano ad aprirci alla misericordia di Dio, a chiedere la grazia di capire che senza misericordia la persona non può fare niente, che tu non puoi fare niente, e che «il mondo non esisterebbe» come diceva la vecchietta che incontrai nel 1992.
Guardiamo anzitutto alle sette opere di misericordia corporale: dar da mangiare agli affamati; dar da bere agli assetati; vestire chi è nudo; dare alloggio ai pellegrini; visitare gli ammalati; visitare i carcerati; seppellire i morti. Mi sembra che non ci sia molto da spiegare.
E se guardiamo alla nostra situazione, alle nostre società, mi sembra che non manchino circostanze e occasioni attorno a noi. Di fronte al senza tetto che staziona sotto casa nostra, al povero che non ha da mangiare, alla famiglia dei nostri vicini che non arriva a fine mese a causa della crisi, perché il marito ha perso il lavoro, che cosa dobbiamo fare? Di fronte agli immigrati che sopravvivono alla traversata e sbarcano sulle nostre coste, come dobbiamo comportarci? Di fronte agli anziani soli, abbandonati, che non hanno più nessuno, che cosa dobbiamo fare? Gratuitamente abbiamo ricevuto, gratuitamente diamo. Siamo chiamati a servire Gesù crocifisso, in ogni persona emarginata, a toccare la carne di Cristo in chi è escluso, ha fame, ha sete, è nudo, carcerato, ammalato, disoccupato, perseguitato, profugo. Lì troviamo il nostro Dio, lì tocchiamo il Signore.
Ce l'ha detto Gesù stesso, spiegando quale sarà il protocollo sulla base del quale tutti saremo giudicati: ogni qual volta avremo fatto questo al più piccolo dei nostri fratelli, l'avremo fatto a Lui (Vangelo di Matteo 25, 31-46).
Alle opere di misericordia corporale seguono quelle di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi; insegnare agli ignoranti; ammonire i peccatori; consolare gli afflitti; perdonare le offese; sopportare pazientemente le persone moleste; pregare Dio per i vivi e per i morti...
Ricordiamo sempre le parole di san Giovanni della Croce: «Alla sera della vita, saremo giudicati sull'amore».

Da: Il nome di Dio è misericordia. A. Tornielli intervista il Papa

 

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letterina 20160306

Aristocrazia morale

Vendola

Nichi Vendola e il suo compagno Eddy Testa, con il quale convive dal 2004, sono felicissimi: è nato il piccolo Tobia Antonio. La gravidanza è stata portata avanti da una donna californiana.
Intanto la polemica è scoppiata dove si sono incrociati stranamente politica e morale. Salvini ha accusato Vendola di “disgustoso egoismo”. Vendola risponde parlando di “squadristi della politica”. Solo che in questo dibattito il difetto è nel manico. Nel senso che Vendola aveva acceso di politica la sua vicenda personale: «Uso provocatoriamente questo mio sogno, aveva detto tempo fa, contro la pigrizia della politica sul tema dei diritti civili». Il sogno era quello di avere un figlio. Adesso che il figlio è arrivato lo aggrediscono con delle motivazioni smaccatamente politiche. La vicenda personale di Vendola è diventata politica. Ma lo era già perché lo stesso Vendola l’aveva voluto. Chi di spada ferisce...
C’è poi la vicenda dell’ utero in affitto. Orrore: che non se parli neppure, grida Vendola. La vicenda sua e del suo compagno sono “lontani anni luce dalla espressione ‘utero in affitto’”. Questo bambino – ha dichiarato – è figlio di una bellissima storia d’amore, la donna che lo ha portato in grembo e la sua famiglia sono parte della nostra vita”. La donna che ha portato in grembo il figlio di Vendola è una indonesiana con passaporto americano.
Vendola, insomma, rivendica una specie di aristocrazia morale: è talmente bella la sua storia d’amore che è proibito parlare, nei suoi confronti, di utero in affitto. Lui non fa parte di quella plebaglia che si compera una gravidanza. Lui è di un altro pianeta.
Ma le domande nascono a frotte. Che senso ha che la donna indonesiana e la sua famiglia sono parte della vita di Vendola e di Eddy Testa? La donna lo ha fatto per amicizia, per ammirazione verso il grand’uomo? Se è così parte della vita come mai non si sa neppure il suo nome? Qualcuno parla di cifre pesanti già versate. Solo accuse infondate? E poi che cosa succederà, dopo? Continuerà la signora a essere parte della vita dei due? E in che senso?
Insomma il passaggio dalla discussione su una legge alla sua concreta pratica è faticoso per tutti gli intricatissimi problemi morali che si trovano implicati. E non diventa facile, quel passaggio, solo perché a percorrerlo sono un certo Nichi Vendola un certo Eddy Testa, suo compagno.

Alberto Carrara

 

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letterina 20160227

Il problema del quattro

Papa

Un giorno il numero quattro si stancò di essere pari. I numeri dispari, pensava, sono molto più allegri e spiritosi. E si stancò di quella sua forma un po' insipida, a sediolina. Guarda il sette, si diceva, com'è svelto ed elegante, e il tre com'è tondo e arguto, e io invece sono tutto pieno di angoli e privo di personalità. E si stancò di essere due più due, che tutti lo sanno e anzi quando vogliono dire una cosa che sanno tutti dicono: «Quanto fa due più due?». Sognava di essere un numero lungo e difficile, di quelli che te li dimentichi sempre e se li vuoi sommare devi prendere carta e matita. Certo era un bel problema, perché non è che il quattro volesse diventare un altro numero, che so io?, il cinque, o il 1864372.
Lui voleva essere lui, rimanere se stesso, eppure voleva anche essere come il cinque, dispari cioè, o come il 1864372, cioè lungo e difficile. E sembra proprio che il quattro non possa essere dispari e non possa essere lungo e difficile, oppure non sarebbe il quattro. Sarebbe un'altra cosa, e lui non voleva essere un'altra cosa: voleva essere lui, solo un po' diverso. Un problema così il quattro non sapeva risolverlo. Forse non aveva neanche una soluzione. Se ce l'aveva, però, il Grande Matematico doveva conoscerla.
Così il quattro andò dal Grande Matematico e gli espose il suo caso. Il Grande Matematico sorrise. Anche lui una volta avrebbe voluto essere diverso: non un altro, ovviamente, perché voleva rimanere se stesso, ma un po' più simile al Grande Ballerino, o al Grande Tennista, o al Grande Centravanti. Anche lui quindi aveva avuto il problema del quattro e sapeva come affrontarlo.
Lo fece accomodare per terra (una sedia sarebbe proprio stata inutile!) e cominciò a parlargli. «Vedi, quattro.. disse «non c'è bisogno di diventare diverso, di essere dispari per esempio, oppure lungo e difficile. Non c'è bisogno perché tu sei già diverso, anche se non te ne rendi conto. A te sembra di essere una stupida sediolina che fa due più due e tutti lo sanno, e invece ci sono in te cose che nessun altro ha, cose molto speciali. Per esempio, tu sei due più due ma anche due per due, e anche (qui andiamo sul difficile) due alla seconda. E questo è un fatto del tutto straordinario: tre più tre non è anche tre per tre, e certo non è tre alla terza. Oppure prendi quest'altra: quattro per quattro sommato a tre per tre fa cinque per cinque, il che vuoi dire che tre, quattro e cinque sono una famiglia di numeri pitagorici consecutivi, e di famiglie così non ce ne sono altre. Il sette, che tu ammiri tanto, non ne ha una. Oppure ... »
Ma a questo punto il quattro era un po' confuso e pregò il Grande Matematico di smettere. Quella faccenda dei numeri pitagorici non la capiva proprio e voleva pensarci su, perché gli sembrava importante. Se ne andò, e da allora è sempre lì che conta. Ha capito i numeri pitagorici e molte altre cose, e ogni giorno scopre di essere più diverso.

Da Ermanno Bencivenga: La filosofia in cinquantadue favole

 

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letterina 20160220

Il Papa a Manuel e alle famiglie

Papa

Carissimi fratelli e sorelle,
rendo grazie a Dio per essere oggi in questa terra del Chiapas... per i vostri volti e la vostra presenza, ringrazio Dio per il palpitare della Sua presenza nelle vostre famiglie. E grazie anche a voi, famiglie e amici, che ci avete regalato la vostra testimonianza...
Manuel, prima di ringraziarti per la tua testimonianza, voglio ringraziare i tuoi genitori: tutt’e due in ginocchio davanti a te tenendoti il foglio. Avete visto che immagine è questa? I genitori in ginocchio accanto al figlio malato. Non dimentichiamo questa immagine! Poi loro ogni tanto litigano pure... Quale marito e quale moglie non litigano? E di più quando ci si mette la suocera, ma non importa... Però si amano e sono capaci, per l’amore che hanno, di mettersi in ginocchio davanti al loro figlio malato.
Grazie amici per questa testimonianza che avete dato, e andate avanti. Grazie!
E a te, Manuel, grazie per la tua testimonianza e soprattutto per il tuo esempio. Mi ha colpito quell’espressione che hai usato: “dare coraggio” (echarle ganas), come l’atteggiamento che hai assunto dopo aver parlato con i tuoi genitori. Hai iniziato a dare coraggio alla vita, dare coraggio alla tua famiglia, dare coraggio tra i tuoi amici e dare coraggio anche a noi qui riuniti. Grazie! Credo che questo sia ciò che lo Spirito Santo vuole sempre fare in mezzo a noi: dare coraggio, regalarci motivi p er continuare a scommettere sulla famiglia, a sognare e costruire una vita che sappia di casa e di famiglia. Ce la mettiamo tutta? [“Sì!”]. Grazie!
Certo, vivere in famiglia non sempre è facile, spesso è doloroso e faticoso, ma, come più di una volta ho detto riferendomi alla Chiesa, penso che questo possa essere applicato anche alla famiglia: preferisco una famiglia ferita che ogni giorno cerca di coniugare l’amore, a una famiglia e una società malata per la chiusura o la comodità della p aura di amare.
Preferisco una famiglia che una volta dopo l’altra cerca di ricominciare a una famiglia e una società narcisistica e ossessionata dal lusso e dalle comodità...

 

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