letterina 20150418

Misericordiae Vultus

Giuda

1. Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre.
Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi. Essa è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth. Il Padre, «ricco di misericordia» (Ef 2,4), dopo aver rivelato il suo nome a Mosè come «Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es 34,6), non ha cessato di far conoscere in vari modi e in tanti momenti della storia la sua natura divina. Nella «pienezza del tempo» (Gal 4,4), quando tutto era disposto secondo il suo piano di salvezza, Egli mandò suo Figlio nato dalla Vergine Maria per rivelare a noi in modo definitivo il suo amore. Chi vede Lui vede il Padre (cfr Gv 14,9). Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona[1] rivela la misericordia di Dio.

2. Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia.
È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato.

3. Ci sono momenti nei quali in modo ancora più forte siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre. È per questo che ho indetto un Giubileo Straordinario della Misericordia come tempo favorevole per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti. L’Anno Santo si aprirà l’8 dicembre 2015, solennità dell’Immacolata Concezione...

Franciscus

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letterina 20150411

La gioia dell'Evangelizzazione

Giuda

Parola che respira perché è Persona che cammina. Apri le Scritture e avvicinati piano. In silenzio ma con tutta la vita che ti strepita dentro. Metti i tuoi occhi sulle lettere sacre e guarda e ascolta e odora e tocca storie di uomini, di donne, di popoli e tra questi di Israele, nato dalla fede di Abramo, dalla mansuetudine di Isacco e dalla lotta di Giacobbe. Per strappare una benedizione e poter così camminare incontro ai nemici, anche quando son grandi come giganti e sarebbe buon senso rinunciare all'impresa. Se la Parola ti visita e tu la fai entrare, ti ruberà il cuore. La Parola era per Israele come una luce. Ma nel tempo del compimento è accaduto di più: il Verbo ha preso la nostra carne. Da allora che senso ha vivere? Amare poi. E morire? Può una voce, una notizia avere la pretesa di divenire senso, scopo, significato di una vita intera? Una Parola, una Persona: Gesù. Vivere, amare, morire per annunciare la Parola. Per dire Lui. Ride lo stolto, ride dentro di sé, perché la Parola è come un fiato. Che ne resta dopo che l'hai alitata? E poi Lui. Che ne resta dopo la Sua morte? La Sua resurrezione? Voce di alcuni che l'hanno visto, ma noi abbiamo solo udito... solo udito, non visto. Mentre vediamo e tocchiamo e patiamo nella nostra carne che dalla Sua Pasqua non è cambiato niente! Niente! Mio figlio non trova lavoro, mio marito muore, l'innocente è abusato, la terra trema, l'asfalto tradisce, la depressione ingoia. Non è cambiato niente! Pensa lo stolto tra sé. Forse lo pensi anche tu. Lo stolto non è stupido. È ferito. E allora via, per luoghi comuni: la Parola è affare dei preti, di chi ha tempo per leggere ... dato che non lavora, di chi parla dal pulpito e deve suo malgrado dire qualcosa che aiuti i deboli a sperare, i buoni a convincersi della propria bontà, gli afflitti a non sentirsi soli. Ci si difende un po' così. Ma all’inizio della Quaresima avevamo chinato il capo per ricevere un po’ di cenere. Lieve, come la Parola "Convertiti e credi al vangelo!". Lieve. Perché in fondo quanto pesa questo fiato che invita a conversione? Pesa come la cenere. Pesa niente. E quanto pesa il fuoco? Lo sai quanto pesa? Pesa niente. Eppure divora, prende, conquista, accende, purifica, trasforma. La Parola, la potenza della morte e della resurrezione di Gesù Cristo Figlio di Dio, il Benedetto, viene lieve come la cenere, sembra niente e dopo quaranta giorni è fuoco. Dal mercoledì della cenere alla domenica del fuoco. Per questo i Padri dicono che la Parola risuscita i morti. Evangelizzare significa alitare la buona notizia sulla cenere perché diventi fuoco. E misericordia

 

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letterina 20150404

Vita sprecata... per amore

Giuda

Famiglia di risorti, questo siamo.
Qui non si getta la colpa sulle spalle dell'altro,
qui non si guarda a ciò che l'altro possiede come qualcosa di tolto a me,
qui non si svende la primogenitura per un piatto di lenticchie,
qui non si gettano i fratelli in cisterne o si vendono a mercenari perché ne invidiamo i sogni,
qui non si rimpiangono le cipolle che mangiavamo schiavi in Egitto e non ci si lamenta nemmeno di quel Mosè che Dio ha messo a capo del suo popolo,
qui non si uccidono i profeti,
qui non si fanno affari con chi affama i poveri,
qui non c'è bisogno di fare l'elemosina perché chi ha mette a disposizione di chi non ha e chi riceve vive nella gratitudine e impara un mestiere che gli dia dignità d'uomo.
I risorti in Cristo hanno già tutta questa vita dentro.
È il popolo dei battezzati nel suo Nome e nella sua Pasqua.
Resurrezione significa obbedire a ciò che siamo e smetterla di recitare una vita che non è la nostra e che ci costa l'unica vita che abbiamo. La vita sperperata nella stupidità e nel vuoto rimane nella tomba. Risorge solo la vita sprecata per amore.
Se oggi, in questa Santa Pasqua, io capissi che posso decidere ora cosa rimarrà di me nella tomba e cosa ritornerà a vivere, mi affretterei a mettere tutta la mia vita nell'amore e nello spreco d'amore, perché tutto di me risorga. Per non lasciare, come Gesù Risorto, nessuna traccia di morte, ma solo una scia luminosa di vita.

Buona Pasqua

don Giuseppe e don Giampaolo

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letterina 20150328

Amico in movimento

Giuda

Farisei e dottori della legge lo bollavano come "amico dei pubblicani e dei peccatori". Avevano di certo sorpreso come li guardava.
Una amicizia vera, la sua, e lo si percepiva d'istinto da come stesse bene con loro, nei loro banchetti.
Amicizia scandalosa. E lui che contro gli scandali aveva anche duramente tuonato, dallo scandalo di essere amico di pubblicani e peccatori non si era mai, proprio mai, guardato. Ne andava, secondo lui, della buona notizia del vangelo, che non è quella di un Dio barricato nella logica del "se tu sei buono con me, io sono buono con te". Sarebbe stato messaggio di una ovvietà pallida e raggelante.
Con i peccatori lui stava prima che si convertissero. E suo intimo convincimento era che a convertirli fosse proprio questo, il fatto che lo sentissero amico comunque.
Nel raccontare dei suoi amici, un nome non va dimenticato: quello di Giuda. A lui, proprio nell'ora in cui lo intravide tra le ombre degli ulivi giungere accompagnato da una folla con spade e bastoni e lo vide farsi avanti e baciarlo a tradimento, riservò quella parola grandiosa: "Amico, per questo sei qui!". Leggo la parola e mi fermo. Lui non era tipo che sprecasse parole, quasi che Giuda fosse tanto per dire, "amico", e la parola fosse in leggerezza. Lui le parole le caricava di senso, e nel caso di pensieri e di sentimenti. Usò la parola "amico", che per lui non aveva fatto il suo tempo, per lui era ancora in vigore, era ancora il tempo di dirla perché vera, era parola che specchiava il tempo continuo del suo cuore. Di più non è scritto. Ma in quella parola sussurrata nel buio del giardino già era disegnato un oltre, l'oltre di ogni oltre, come se di più non si potesse. Di più con quell'amico non poteva. E  rimango a pensare.
So che lo guardava con tenerezza, perché sulle sue labbra non ci fu, mai, menzogna. Aveva lo stesso sguardo che abbiamo noi con un amico. Lacerato e amante allo stesso tempo. Penso ai suoi occhi, al brivido che la notte più fonda non riuscì né a spegnere né a velare. Non aveva rotto, era ancora congiunto. Penso che la parola inimmaginabile, la parola "amico" non possa non aver intenerito la zolla, anche la più oscura del cuore di Giuda. Se ne andò disperato. Sommessamente oso dire disperato per amore, per tradimento di amicizia. Quella parola “amico” l'aveva messo in movimento.

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letterina 20150321

Case e misericordia

PapaFrancesco

In occasione dell’apertura del concilio, l’11 ottobre 1962, Giovanni XXIII pronunciò la prolusione Gaudet mater ecclesia, un testo ispirato, profetico, che orientò lo svolgimento del Vaticano II in modo differente rispetto ai concili precedenti.
Consapevole che la Chiesa ha il dovere di opporsi agli errori e anche di condannarli con la massima severità, come era avvenuto nel passato, Papa Giovanni tuttavia dichiarava con convinzione: «Quanto al tempo presente ... la sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece che imbracciare le armi del rigore... Così la Chiesa cattolica ... vuole mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati». È in questa linea che, fin dall’inizio del suo pontificato, Papa Francesco ha fatto risuonare con tono rinnovato e forte la parola misericordia.
Più che mai oggi i cristiani, e gli uomini e le donne con loro, in questa situazione mondiale che sentono tanto precaria e segnata da ogni tipo di ferita, abbisognano dell’annuncio della misericordia del Signore. Comprendiamo bene queste sue parole:

Né lassismo né rigorismo [ma] una misericordia [che è] sofferenza pastorale. Soffrire per e con le persone. E questo non è facile! Soffrire come un padre e una madre soffrono per i figli.

In questo stile apriamo ancora le case, nella settimana dell’Addolorata.

CASA OSPITANTE INDIRIZZO ANIMATORI GIORNO e ORA
Fam. Peliccioli Via Brocchione, 14 Antonio - Ivana Giovedì 26 marzo, 20.30
Fam. Scalise Via Campinette, 27 Francesca - Tabita Lunedì 23 marzo, 20.30
Fam. Agazzi Via Longoni, 71 Luigi - Patrizia Giovedì 26 marzo, 20.30
Mazzoleni Giacomina Via al Forno, 14 Giovani Giovedì 26 marzo, 20.30
Fam. Vanoncini Via Carosso, 48 Lucia - Ileana Mercoledì 25 marzo, 20.30
Rota Giselda Via Ca’ Quarengo, 49 Luca A. - Marilisa Martedì 24 marzo, 20.30
Fam. Mazzoleni Via C delle Rane, 148 Riccardo P. Giovedì 26 marzo, 20.30
Oratorio Via Ca’ Curti, 1 Don Giampaolo Sabato 28 marzo, ore 20.45

 

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letterina 20150314

Da due anni papa: Francesco

PapaFrancesco

Una popolarità straripante quella di papa Francesco (da due anni a guida della Chiesa) le cui ragioni sono molte e molto diverse.
Il primo dato che si impone, il più «a pelle», è la gestualità quotidiana di Papa Francesco. Non un sorriso tirato, un gesto imbarazzato, una qualche forma di disagio. Si trova vistosamente a suo agio sempre, quando bacia un bambino e quando si incontra con Obama, con la Merkel o con Putin. Il Papa dà l'impressione di un uomo pacificato con se stesso, padrone di quello che dice e di quello che fa. È lo stesso equilibrio che si stampa sul suo sorriso aperto e senza sotterfugi. Tutti hanno notato che quando incontra qualcuno, lo guarda in faccia: in quel momento il bambino, il giovane, l'adulto, uomo o donna che sia, ha la certezza che per quel frammento di tempo, il Papa, quel Papa così famoso, è tutto per lui. Dunque, Papa Francesco così solare e così attento agli altri suscita, in coloro che lo vedono parlare con qualcuno, la certezza che potrebbe parlare con tutti.
Tutto questo va d'accordo con la sua particolare fisicità: robusto senza essere grosso, a suo agio anche con la veste bianca, ma senza diventarne il manichino, con la fascia bianca che qualche volta è un po' cascante. E’ proprio lui. Anche le insegne papali su quel corpo, con quella gestualità, con quel modo di parlare sono invariabilmente bergogliane; poi, è straordinariamente ordinario. Tutti hanno qualcosa da raccontare al proposito: dalla famosa borsa nera, ai viaggi in pullman, ai bambini filippini che lo strapazzano, e così via. E ognuno aggiunge qualcosa di suo. Il prete bergamasco ospite di Santa Marta, scende le scale e vede il Papa (si era in estate) che esce dalla sua stanza in pantaloni e bretelle, maglietta e ciabatte; qualcun altro racconta di averlo sentito alzare la voce, vigorosamente, di fronte a cose che non andavano, altri, molti altri, raccontano di improvvise telefonate, le famose telefonate...
Si può continuare a parlare di questi paradossi del Papa e dell'interesse che suscitano. Dietro si intravede un'aspettativa: una Chiesa «vicina». Papa Francesco, in questo senso, è il parroco del mondo (formula forse un po' enfatica, applicata anche a Papa Giovanni e non solo): parroco precisamente in quel senso: profondamente evangelico e straordinariamente vicino.

 

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