letterina 20140628

Estate 2014: abitare

 

“E il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14)
“Venite, costruiamoci una città…” (Gen 11,4)
“Quando presterai qualsiasi cosa al tuo prossimo, non entrerai in casa sua per prendere il suo pegno” (Dt 24,10)
“La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre” (2Sam 7,16).
“Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia” (Mt 7,25)
Il tema dell’abitare si pone in continuità con quanto proposto gl’anni scorsi: la parola e il corpo, per raggiungere il loro compimento hanno bisogno di “prendere dimora” nella vita degli uomini, di “venire ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). È un tema che si pone in continuità anche perché, come sempre, ha la pretesa di incrociare un’altra dimensione fondamentale dell’esistenza – e quindi della Fede – quale è quella dell’abitare. Come la vita degli uomini non può prescindere dal parlare e dal porre gesti, così non può fare a meno di ‘trovare casa’, di ‘fare casa’ su questa terra in cui Dio ci ha collocato; e fin dall’inizio, a prescindere dal risultato, pare sia stato proprio così: “venite, costruiamoci una città…” (Gen 11,4).
In altre parole, per entrare in relazione con sé, con gli altri e con Dio occorrono certamente parole e gesti efficaci, ma se questi non prendono dimora, non si radicano nelle pieghe dell’esistenza umana, rischiano di essere lasciati alla mercé del tempo che passa e scivolano via come l’acqua sulla roccia. Se si vuole continuità, occorre prendere dimora, occorre abitare e far abitare.
E già qui si può cogliere una prima sostanziale questione intorno all’“abitare”: nasciamo senza aver avuto la possibilità di scegliere dove abitare e moriamo venendo ‘giudicati’ per dove e come abbiamo abitato ovvero per quello che
abbiamo costruito. C’è una passività dell’abitare che non può che essere accolta e c’è un’attività dell’abitare che non può che essere agita in ogni esistenza se si vuole dire degna di essere vissuta.
E’ la sfida delle esperienze estive che stiamo vivendo in comunità.

 

 

 Scarica qui la letterina

Clicca qui per leggere l'ultimo bollettino LA LETTERA giugno 2014

 

Estate 2014

 

Mare stile familiare

     
     
 

letterina 20140621

Gesù e Giovanni si assomigliano

In tutti i vangeli, la vita e il ministero di Giovanni Battista vengono premessi al racconto della nascita e della predicazione di Gesù; gli evangelisti lo identificano con il «messaggero» annunciato da Malachia (Ml 3,23-24; Le 1,17), come il redivivo Elia che doveva preparare l'avvento del Cristo (Mt 17,10-13; Le 1,17). Questo personaggio della storia di Israele, eminente fra tutti gli uomini (Mt 11,11), che nel Prologo del Vangelo di Giovanni viene definito il «testimone» per eccellenza dell'avvento del Verbo fra i suoi, ha tale importanza che taluni pensavano addirittura che fosse lui il Messia (Le 3,15; Gv 1,20). E questa possibile confusione tra il testimone della luce e la Luce vera (Gv 1,7.9; 5,35) scaturisce dal fatto che il Battista è 'figura' di colui che verrà dopo di lui (ma era «prima di lui»: Gv 1,30).
Giovanni e Gesù si assomigliano, non tanto perché provenienti da un identico ceppo famigliare, ma perché sono mossi dal medesimo Spirito e sono chiamati a significare il medesimo dono di salvezza. Infatti il miracolo del parto di Giovanni da genitori anziani e da una madre sterile, e il nome del bambino imposto dall'angelo hanno il corrispettivo e il compimento nella nascita dal grembo verginale di Maria e nel Nome di Gesù «<Salvatore» suggerito da Gabriele.
E la stessa cosa vale per il periodo di vita 'nascosta', nel deserto per il Battista e a Nazaret per Gesù, e poi per la vita 'pubblica' dei due, con la coincidenza nel rito del battesimo, con la convergenza nel messaggio predicato (Mt 3,2 e 4,17) e nella straordinaria efficacia della loro parola profetica che attirava le folle (Mt 3,5; 4,23-25). E infine il comune martirio, subìto per la fedeltà alla loro vocazione profetica.

Accogliendo Giovanni Battista noi accogliamo dunque colui che ci porta da Gesù, che ce lo 'fa vedere', non solo indicandolo con lo sguardo (Gv 1,35-36), ma incarnandolo, in qualche modo, nella sua vita: se diventiamo discepoli del testimone, egli ci farà accedere all'incontro con il Signore (Gv 1,29-37).  

 

 Scarica qui la letterina

Clicca qui per leggere l'ultimo bollettino LA LETTERA giugno 2014

 

Estate 2014

 

Mare stile familiare

     
     
 

letterina 20140614

Per fare la pace ci vuole coraggio

 ...Questo nostro incontro risponde all’ardente desiderio di quanti anelano alla pace e sognano un mondo dove gli uomini e le donne possano vivere da fratelli e non da avversari o da nemici.

Signori Presidenti, il mondo è un’eredità che abbiamo ricevuto dai nostri antenati, ma è anche un prestito dei nostri figli: figli che sono stanchi e sfiniti dai conflitti e desiderosi di raggiungere l’alba della pace; figli che ci chiedono di abbattere i muri dell’inimicizia e di percorrere la strada del dialogo e della pace perché l’amore e l’amicizia trionfino. Molti, troppi di questi figli sono caduti vittime innocenti della guerra e della violenza, piante strappate nel pieno rigoglio. E’ nostro dovere far sì che il loro sacrificio non sia vano. La loro memoria infonda in noi il coraggio della pace, la forza di perseverare nel dialogo ad ogni costo, la pazienza di tessere giorno per giorno la trama sempre più robusta di una convivenza rispettosa e pacifica, per la gloria di Dio e il bene di tutti.
Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza.
Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo. La storia ci insegna che le nostre forze non bastano. Più di una volta siamo stati vicini alla pace, ma il maligno, con diversi mezzi, è riuscito a impedirla.
Per questo siamo qui, perché sappiamo e crediamo che abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio. Non rinunciamo alle nostre responsabilità, ma invochiamo Dio come atto di suprema responsabilità, di fronte alle nostre coscienze e di fronte ai nostri popoli.
Abbiamo sentito una chiamata, e dobbiamo rispondere: la chiamata a spezzare la spirale dell’odio e della violenza, a spezzarla con una sola parola: “fratello”. Ma per dire questa parola dobbiamo alzare tutti lo sguardo al Cielo, e riconoscerci figli di un solo Padre. A Lui, nello Spirito di Gesù Cristo, io mi rivolgo, chiedendo l’intercessione della Vergine Maria, figlia della Terra Santa e Madre nostra.

Parole di Papa Francesco all’incontro di preghiera per la pace
con i Presidenti di Israele e Palestina.

 

 Scarica qui la letterina

Clicca qui per leggere l'ultimo bollettino LA LETTERA giugno 2014


 

Settimana Patronale

Estate 2014

Mare stile familiare

     
     
 

letterina 20140607

Gesto profetico

 

Il Papa ha invitato israeliani e palestinesi a Roma per fare finalmente pace.
Cosa ne pensa?
Questo mostra bene quali siano il pensiero e il cuore di papa Francesco. Vuole la pace, ma non si pone come un leader politico. Chiama invece Israele e i palestinesi a pregare con lui in Vaticano, riconoscendo che si è tutti figli di Abramo, ma che in una vicenda come quella in atto in Terra Santa - in cui si può solo procedere a una riconciliazione e ad un perdono reciproco - l'unica strada cominciare a invocare il Signore e a pregare insieme. La pace non passa solo dai negoziati. Mi è sembrato il gesto più creativo mostrato nell’ultimo viaggio dal Papa, un gesto profetico altissimo.

Parlando ai musulmani alla Spianata delle Moschee, il Papa ha detto che non dobbiamo più usare il nome di Dio per combattere…
Ha ricordato che tutte le immagini date a Dio attraverso la violenza sono perverse e idolatriche. Lo ha detto alla Spianata del Tempio proprio mosso dalla convinzione - senza entrare in questioni politiche - che la violenza da ogni parte deve cessare. Perché nel nome di Dio si combatte da tutte le parti, non possiamo incolpare solo il terrorismo islamico, ad esempio quando c'è violenza anche da parte di alcuni ebrei ortodossi. Dicendo basta alla violenza e alla strumentalizzazione del nome di Dio per giustificarla, Francesco ha ribadito che la sola via da percorrere è quella del perdono. 

Da un’intervista a Enzo Bianchi

 

 

 Scarica qui la letterina


 

Settimana Patronale

Estate 2014

Mare stile familiare

     
     
 

letterina 20140517

Il coraggio nasce dalla fame

Mi sono messo a leggere ultimamente “Carne e sangue”, di Michael Cunningham: parla di una famiglia di greci poveri, che va in America. Il babbo fa un orto e il bambino di otto anni gli chiede “Babbo, fammi fare un pezzo d’orto anche a me”. E il babbo gli dà un pezzo di due metri per due di sabbia, e questo bambino di notte va nel pezzo di campo buono del babbo, prende una zolla di terra e se la mette in bocca, e la sputa sul suo pezzo. Vedete dov’è il coraggio di questo bambino? Non nell’aver chiesto un pezzo di orto, non nell’aver preso in bocca quelle zolle. Il coraggio vero di questo bambino è il coraggio della fantasia, quello di pensare che in due metri per due di sabbia ci può venire un orto, se ti dai da fare. Se noi abbiamo un problema o si usa la creatività o il coraggio. Non c’è un altro modo.
Ognuno di noi ha bisogno di tre sole cose: di un pezzo di pane, di un po’ d’affetto e di sentirsi a casa da qualche parte; se uno non trova queste tre cose impazzisce. E allora il coraggio non è quello degli eroi, è quello della fame.
Coraggiosi sono un babbo e una mamma che gli è morto un figlio, e la mattina provano a rialzarsi; è come Gesù con Lazzaro, quando con gli amici va e grida “esci fuori, non sopporto che tu stia lì in quella tomba, voglio continuare a portare la vita avanti anche per te”. Coraggioso è chi non ha lavoro e se lo inventa. Noi ci siamo accomodati troppo, pensiamo che tutto ci sia dovuto; il coraggio è quello di muoversi, non quello di lamentarsi sempre. Il coraggio vero è quello di togliere questo maledetto egocentrismo che ci ha avvelenato. Si può campare come si vuole, o con l’egoismo pieno o con il cuore che si apre in un altro modo. Il coraggio è anche quello di scegliere da che parte vuoi stare. Per finire, io amo molto il coraggio del pettirosso. A Romena abbiamo un caco, nel giardino. Noi abbiamo colto i cachi bassi, e lasciamo sempre quelli in cima, perché se no d’inverno gli uccellini non sanno dove beccare da mangiare, e vedi questi pettirossi sempre lì in cima. Ma quando c’è la neve e copre tutto, tante volte ho visto questi pettirossi venire alla finestrina dove sto io e picchiettare.
Bello il pettirosso perché è coraggioso, per fame non ha paura di niente, apparentemente. Ma vedete, soprattutto il pettirosso è gioioso, danza, gioca.
Coraggio, è anche questo. Trovare la gioia dentro la fatica. 

don Luigi Verdi

 

 Scarica qui la letterina


 

Lettera alla Chiesa di Laodicea

 

Giornate Eucaristiche

Iscrizioni al CRE

 

Pellegrinaggio a Lourdes

     
     
 

letterina 20140524

Regalare fiducia

Leggo da bastian contrario la parabola dei tre che un giorno si trovarono nelle mani una somma di denaro da capogiro, una cifra smisurata, solo che si pensi che un talento in quei tempi corrispondeva verosimilmente alla paga di sudore di anni e anni di fatica. E uno di loro di talenti se ne trovò tra le mani cinque, uno tre, il terzo uno, e non era poco! Il loro signore era in partenza per un viaggio, consegnava alla fantasia delle loro mani una parte ingente dei suoi beni. Era uno che credeva nelle loro capacità. Così è Dio. E’ un generoso, ha fiducia. Non è di quelli che ti stanno con il fiato sul collo, con mille controlli, non è della razza sospettosa dei sorveglianti, lui se ne va, si fida. Vuoi che, se tu ti dai da fare, non sia per occhi di padrone, ma per risposta a una fiducia. Il loro signore al ritorno li vide arrivare con un lago di gioia negl’occhi, tenevano in mano l’attesta di un aumento, di un raddoppio dei talenti. E, come fossero riusciti a tanto, forse non sarebbe stato felice nemmeno per loro spiegare. Che poi il loro signore fosse un generoso ne ebbero la riprova appena lo sentirono reagire: non solo non esigeva il ritorno dei talenti, che anzi li faceva partecipi della gestione del suo patrimonio. E non solo del patrimonio, anche della sua gioia. Ognuno dei due se lo sentì dire, le parole erano queste: "prendi parte alla gioia del tuo padrone". Quelle parole cantavano nell’anima. C’era da stropicciarsi gli occhi. Così fa Dio. Ma il terzo? Lo videro quello stesso giorno arrivare senza festa, aveva un lago buio negli occhi, un buio che teneva il viso, da parte a parte. Quando prese a parlare si accorse che le parole gli uscivano come legate e precipitose insieme, aspre, come il cuore che gli martellava dentro, disse: "Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra. Ecco ciò che è tuo!". La paura che ci fa nascondere, la paura che fa nascondere i talenti! La paura fa nascondere, sotterra la nostra intelligenza. Quasi fosse attentato all’umiltà o arroganza dello spirito il pensare con la propria testa. Mettere dunque in azione la nostra creatività, e nello stesso tempo sostenere la creatività degli altri. Come? Regalando fiducia.  Perché anche quest’ anno facciamo la prima Comunione? Per regalare fiducia...

 

 Scarica qui la letterina


 

Visita alle 7 chiese

 

Iscrizioni al CRE

Mare stile familiare

Pellegrinaggio a Lourdes

Estate 2014