letterina 20091122

L'affondo

Una presenza irriducibile

La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo contro i crocefissi nelle aule scolastiche ha suscitato una vasta eco di proteste: l’84 % degli italiani, secondo un sondaggio del Corriere della sera, si è scandalizzato della decisione.
"E voi chi dite che io sia?".
Questa domanda di Gesù ai discepoli ci raggiunge dal passato e ci sfida ora.
Quel Cristo sul crocefisso non è un cimelio della pietà popolare per il quale si può nutrire, al massimo, un devoto ricordo. Non è neppure un generico simbolo della nostra tradizione sociale e culturale. Cristo è un uomo vivo, che ha portato nel mondo un giudizio, una esperienza nuova, che c’entra con tutto: con lo studio e il lavoro, con gli affetti e i desideri, con la vita e la morte. Un’esperienza di umanità compiuta.
I crocefissi si possono togliere, ma non si può togliere dalla realtà un uomo vivo.
Tranne che lo ammazzino, come è accaduto: ma allora è più vivo di prima!
Si illudono coloro che vogliono togliere i crocefissi, se pensano di contribuire così a cancellare dallo "spazio pubblico" il cristianesimo come esperienza e giudizio: se è in loro potere - ma è ancora tutto da verificare - abolire i crocefissi, non è nelle loro mani togliere dei cristiani vivi dal reale. Ma c’è un inconveniente: che noi cristiani possiamo non essere noi stessi, dimenticando che cos’è il cristianesimo; allora difendere il crocefisso sarebbe una battaglia persa, perché non direbbe più nulla alla nostra vita.
La sentenza europea è una sfida alla nostra fede.
Per questo non possiamo tornare con tranquillità alle cose solite, dopo aver protestato scandalizzati, evitando la questione fondamentale: crocifisso sì, crocifisso no, dov’è l’avvenimento di Cristo oggi? O, detto con le parole di Dostoevskij:"Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni può credere, credere proprio, alla divinità del figlio di Dio, Gesù Cristo?"

 


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letterina 20091115

L'affondo

Amen

Numero 2865, l’ultimo del Catechismo della Chiesa Cattolica: si conclude con la parola Amen, spiegata esattamente mille numeri prima. In ebraico questa parola ricongiunge alla stessa radice della parola "credere"; nel profeta Isaia Dio è detto "Dio dell’Amen" (65,16) e l’ultimo libro della Bibbia chiama Cristo stesso l’Amen (3,14). Questa parola si trova al termine di ogni credo e di ogni preghiera perché riassume tutto ciò che si crede e ciò che si spera: la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà.
Tutta la Bibbia sta lì a dire che la storia umana non sarà sommersa nell’autodistruzione; che anche dopo Auschwitz, anche dopo le grandi catastrofi, Dio rimane il Dio della vita. Ma non si può barare: la speranza biblica non ha nulla a che fare con l’ottimismo facilone e ingenuo, che si nutre del mito dell’eterno progresso. E neppure con l’utopia di una futura società perfetta, fabbricata dalle mani dell’uomo. La speranza cristiana non è a misura dei nostri sforzi e non va confusa con la facilità di un organismo a produrre adrenalina. Noi speriamo perché Dio ci vuole bene, non perché le nostre cose vanno bene.
E l’inferno? C’è, per fortuna!. Paradossale, ma vero: se non ci fosse, significherebbe che l’uomo è "condannato" a salvarsi e quindi il paradiso si ridurrebbe a un grande magazzino di automi, anziché essere un cielo di figli. Se è vero che l’amore si propone e non si impone, l’inferno è una prova...dell’amore di Dio, nel senso che dimostra come questo Padre, pur di non calpestare la libertà dei suoi figli, sia disposto a correre il rischio di vedere non corrisposto il suo amore, un rischio che egli combatte fino al sacrificio di quanto possiede di più suo, il Figlio da noi crocifisso. Ma nel cuore dell’annuncio cristiano non c’è l’inferno:
c’è il paradiso. E giustamente. Il cielo rivela che i nostri sforzi di crescita non andranno perduti. Che vale la pena di vivere e lottare sempre, anche in un mondo in cui l’odio e il male sembrano invincibili. Che ha senso amare la terra, assumerne i pesi, lavorare per renderla migliore. Perché non si dà concorrenza tra cielo e terra...Perché compimento di tutto è l’amore.

Amen


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letterina 20091101

L'affondo

L'ombra del santo

C'era un tempo un uomo così pio che anche gli angeli si beavano nel vederlo.
Malgrado fosse così santo, egli non se ne rendeva assolutamente conto. Compiva i suoi doveri quotidiani irradiando bontà con la stessa naturalezza con cui i fiori diffondono il loro profumo e i lampioni la loro luce.
La sua santità consisteva nel fatto che egli dimenticava il passato delle persone e le vedeva come erano in quel momento e andava al di là delle loro apparenze, per arrivare nell'intimo del loro essere, dove erano innocenti e puri e del tutto ignari di ciò che stavano facendo.
Perciò egli amava e perdonava tutti coloro che incontrava e non trovava in questo nulla di strano, poiché era il risultato del suo modo di vedere gli altri.
Un giorno un angelo gli disse: «Sono stato mandato da Dio; domanda tutto ciò che vuoi e ti sarà dato. Desideri avere il dono di guarire la gente?».
«No, preferisco che sia Dio stesso a guarire» disse il santo. «Vorresti riportare i peccatori sulla retta via?» ribatté l’angelo. «No, non è compito mio toccare il cuore degli uomini. È il lavoro degli angeli» rispose. Soggiunse l’angelo: «Ti piacerebbe essere un tale modello di virtù che la gente si senta spronata a imitarti?». E il santo: «No, perché così sarei sempre al centro dell'attenzione».
Non avendo altro da dire l’angelo concluse: «Che cosa desideri allora?».
E il santo disse: «La grazia di Dio è tutto ciò che desidero». «No, devi chiedere una dote miracolosa o ti verrà imposta». «Beh, allora domando che sia compiuto del bene per mezzo mio, senza che io lo sappia».
Fu quindi deciso che l'ombra del santo uomo fosse dotata di proprietà miracolose tutte le volte che egli stava di spalle. Così, dovunque la sua ombra si posasse, purché fosse dietro di lui, i malati erano sanati, la terra diventava fertile, zampillavano le fontane e il volto di coloro che erano oppressi dalle pene della vita riprendeva colore. Ma il santo non sapeva niente di tutto questo, poiché l'attenzione di tutti era così concentrata sulla sua ombra che nessuno si ricordava di lui; così il suo desiderio di fare da intermediario senza essere notato fu esaudito fino in fondo.
 

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letterina 20091025

L'affondo

Pregare per i morti?

Pensando ai nostri morti ci chiediamo: possiamo ancora entrare in relazione con loro? E, a maggior ragione, fare qualcosa per loro?
Sono secoli che la chiesa prega per i morti. Preghiera che è presente anche nel Primo Testamento, nel libro dei Maccabei, quando Giuda organizza una colletta e la manda a Gerusalemme perché venga offerto un sacrificio per coloro che sono morti in battaglia.
E l’autore commenta:"Perché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti" (2Mac 12,44).
Infatti, se Dio è Dio, gli è possibile raggiungere ogni uomo,anche morto. La chiesa si mantiene in questa fede; prega in ogni occasione per i morti. E anche per tutti i morti, anche per coloro "di cui solo Dio conosce la fede" (IV Preghiera Eucaristica).
Sono secoli che la chiesa parla anche di purgatorio, dove i morti attendono di essere perfettamente pronti per la visione di Dio. Non è né un luogo né un tempo. E’ una situazione. E non è una punizione. Non è piuttosto l’anima stessa che si affretta per essere purificata, perché non sopporta di comparire davanti a Dio con un velo sugli occhi e quindi senza poterlo contemplare? Il purgatorio è il luogo dell’impotenza.
Quando la chiesa ne parla, dimostra di non credere nella reincarnazione: l’uomo non ne ha bisogno, e non può "rifare i compiti". D’altronde, non può fare più nulla.
E’ destinato al dono gratuito di Dio, che lo prepara all’incontro, per pura bontà e misericordia.
La reincarnazione significa che si avrebbe una nuova possibilità di realizzare da sé la propria salvezza e di doverla meritare. I cristiani devono essere felici di poter contare sulla grazia misericordiosa di Dio. Invece, poiché la chiesa supera di molto la chiesa terrena, che è anche celeste e in via di purificazione, e dato che Dio può far brillare ovunque la grazia della sua bontà, noi possiamo, qui sulla terra, pregare i santi e supplicarli, e aiutare con la nostra preghiera coloro che aspettano di entrare nella chiara visione. E’ il mistero della comunione dei santi. E’ una pietra di paragone della nostra fede.
"Se l’uomo non si è lasciato purificare sufficientemente sulla terra, dovrà lasciarlo fare a Dio nel purgatorio fino a che avrà un animo di figlio, capace di ricevere l’ultimo e definitivo bacio di Dio"

Da: Godfried Danneels: REIMPARARE A PREGARE
 

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