letterina 20090208

L'affondo

Un piccolo animale

Chi non si commuove davanti ad un piccolo animale?
Da più parti, movimenti e associazioni si son mosse a far valere i diritti di chi non ha voce (ma chi l’ha detto che questi siano solo animali?), a trovare un tetto, delle cure, del cibo (ma vi pare di vedere tanta attenzione intorno all’”animale-uomo” di ogni colore, razza, cultura,…?).
Le nostre case si riempiono sempre più di piccoli animali (il 58% dice una pubblicità).
Dopo le cliniche specifiche, eccoti i necrologi, i cimiteri e le fotografie (avessero almeno il buon gusto di non metterci i volti dei loro padroncini sulle lapidi…).
Ma come la mettiamo quando il piccolo animale è in noi?
Di tanto in tanto le cronache vicine e lontane ci buttano in faccia le storie di gruppi di ragazzini che diventano stupratori, ladri, microcriminali.
E le reazioni della gente sempre le stesse: “ragazzi di buona famiglia”, “presi da soli non sono cattivi”, “i mie figli andavano alle loro feste di compleanno”,… . Eppure….
Eppure li ritroviamo sbattuti sulle pagine dei giornali, nei servizi dei TG, al centro dei salotti di psicologi e criminologi.
“Branco” il termine che va per la maggiore: è il branco che comanda, è il branco che spaccia, è il branco che violenta. Si parla, appunto, di una psicologia del branco. E li vedi scorrazzare dal parco al bar, dalle panchine allo stadio, dalla casa libera di uno di loro al campetto, … .
In mano sempre qualcosa: una birra, la sigaretta, la moto, una ragazza.
Il rischio è proprio questo, che tutto si appiattisca: come ti scolo la birra, così “ti faccio la tipa”… .
Sapete come lo chiamano questo stile gli addetti ai lavori? CONSUMISMO DEL PIACERE: in genere tocca i teenager che vogliono tutto quello che li attrae. E subito. Se non possono prendono lo stesso: un muro è subito scavalcato, una porta subito scassinata, un lucchetto presto saltato. E un no della tipa? Un po’ di forza, dei ricatti ed è subito fatta.
Fanno da loro leggi, regole e violenze. Vivono di velocità. Senza il tempo di educare il piccolo animale che c’è dentro. E poi, quando succede qualcosa, come piccoli animali feriti soffrono.
Ci credo a questa sofferenza.
Ci credo a queste lacrime.
Vorrei credere che non sia l’ultima parola ma che si imparasse ad educare… il piccolo animale che è in ciascuno… .

Da un articolo di don Giuseppe  

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letterina 20090201

L'affondo

Messaggio per la 31ª Giornata per la vita

 “La forza della vita nella sofferenza”

La vita è fatta per la serenità e la gioia. Purtroppo può accadere, e di fatto accade, che sia segnata dalla sofferenza. Ciò può avvenire per tante cause. Si può soffrire per una malattia che colpisce il corpo o l’anima; per il distacco dalle persone che si amano; per la difficoltà a vivere in pace e con gioia in relazione con gli altri e con se stessi. La sofferenza appartiene al mistero dell’uomo e resta in parte imperscrutabile: solo «per Cristo e in Cristo si illumina l’enigma del dolore e della morte» (GS 22).

Se la sofferenza può essere alleviata, va senz’altro alleviata. In particolare, a chi è malato allo stadio terminale o è affetto da patologie particolarmente dolorose, vanno applicate con umanità e sapienza tutte le cure oggi possibili. Chi soffre, poi, non va mai lasciato solo. L’amicizia, la compagnia, l’affetto sincero e solidale possono fare molto per rendere più sopportabile una condizione di sofferenza. Il nostro appello si rivolge in particolare ai parenti e agli amici dei sofferenti, a quanti si dedicano al  volontariato, a chi in passato è stato egli stesso sofferente e sa che cosa significhi avere accanto qualcuno che fa compagnia, incoraggia e dà fiducia.

A soffrire, oggi, sono spesso molti anziani, dei quali i parenti più prossimi, per motivi di lavoro e di distanza o perché non possono assumere l’onere di un’assistenza continua, non sono in grado di prendersi adeguatamente cura. Accanto a loro, con competenza e dedizione, vi sono spesso persone giunte dall’estero. In molti casi il loro impegno è encomiabile e va oltre il semplice dovere professionale: a loro e a tutti quanti si spendono in questo servizio, vanno la nostra stima e il nostro apprezzamento.

Talune donne, spesso provate da un’esistenza infelice, vedono in una gravidanza inattesa esiti di insopportabile sofferenza. Quando la risposta è l’aborto, viene generata ulteriore sofferenza, che non solo distrugge la creatura che custodiscono in seno, ma provoca anche in loro un trauma, destinato a lasciare una ferita perenne. In realtà, al dolore non si risponde con altro dolore: anche in questo caso esistono soluzioni positive e aperte alla vita, come dimostra la lunga, generosa e lodevole esperienza promossa dall’associazionismo cattolico.

C’è, poi, chi vorrebbe rispondere a stati permanenti di sofferenza, reali o asseriti, reclamando forme più o meno esplicite di eutanasia. Vogliamo ribadire con serenità, ma anche con chiarezza, che si tratta di risposte false: la vita umana è un bene inviolabile e indisponibile, e non può mai essere legittimato e favorito l’abbandono delle cure, come pure ovviamente l’accanimento terapeutico, quando vengono meno ragionevoli prospettive di guarigione. La strada da percorrere è quella della ricerca, che ci spinge a moltiplicare gli sforzi per combattere e vincere le patologie – anche le più difficili – e a non abbandonare mai la speranza.

La via della sofferenza si fa meno impervia se diventiamo consapevoli che è Cristo, il solo giusto, a portare la sofferenza con noi. È un cammino impegnativo, che si fa praticabile se è sorretto e illuminato dalla fede: ciascuno di noi, quando è nella prova, può dire con San Paolo «sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne» (Col 1,24). Quando il peso della vita ci appare intollerabile, viene in nostro soccorso la virtù della fortezza. È la virtù di chi non si abbandona allo sconforto: confida negli amici; dà alla propria vita un obiettivo e lo persegue con tenacia. È sorretta e consolidata da Gesù Cristo, sofferente sulla croce, a tu per tu con il mistero del dolore e della morte. Il suo trionfo il terzo giorno, nella risurrezione, ci dimostra che nessuna sofferenza, per quanto grave, può prevalere sulla forza dell’amore e della vita.

CONSIGLIO EPISCOPALE PERMANENTE

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letterina 20090124

L'affondo

PREGHIERA ISPIRATA ALL’ANNO PAOLINO

 

Padre Santo e buono, attraverso il tuo figlio Gesù,

imprevedibile e stupendo, tu scegli e chiami in ogni situazione:

hai sconvolto la vita di Saulo sulla via di Damasco,

l’hai chiamato per nome, con amore,

lo hai conquistato per fargli iniziare il suo cammino

da persecutore a testimone, da nemico ad apostolo

capace di gridare «per me il vivere è Cristo »,

da tenace oppositore della sua prima Chiesa

a costruttore infaticabile,

ad annunciatore appassionato e coraggioso

- con la parola e con la vita – del tuo Vangelo.

Tu hai chiamato anche noi,

ci hai chiamati ad essere collaboratori

nell'annuncio della tua Parola

e testimoni di speranza in un mondo che ne ha disperatamente bisogno.

Padre, fa' nascere in noi la fame della tua Parola

insieme al desiderio di condividerla

con le nostre sorelle e i nostri fratelli.

Non stancarti di chiamarci e non arrenderti quando,

presi dai nostri mille problemi quotidiani,

facciamo finta di non sentire

per continuare ad illuderci di poter fare qualcosa anche senza di te.

Come hai fatto con Saulo insisti, aprici gli occhi

perché possiamo riconoscerti nella tua Parola

che fa ardere il cuore e nel pane spezzato insieme .

.Allora con infinita gratitudine scopriremo che solo in Lui

la nostra vita acquista significato, si trasforma in danza

di gioia, scopriremo che, nella sua Chiesa,

Egli è con noi tutti i giorni, sino alla fine del mondo.

Amen.

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letterina 20090117

L'affondo

“ Essere uniti nella tua mano”

Presentazione

La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2009 parte da uno sforzo unitario di cristiani di varie parti del mondo. In primo luogo si tratta dei cristiani coreani che ci offrono come spunto di meditazione questo versetto tratto dalla seconda grande visione del profeta Ezechiele. I Coreani citano questa visione perché si trovano nella situazione da cui era partito Israele prima dell’esperienza dell’esilio fatto da Ezechiele e dalla sua generazione. Anche la Corea, come Israele di allora, è un paese diviso in due stati: quello del nord e quello del sud, che malgrado la divisione e una terribile guerra di oltre cinquant’anni fa, si sente un’unica nazione. Ma questa è anche la realtà della cristianità di oggi, una realtà divisa ma che ha come speranza centrale quella di “formare un solo bastone nella mano di Dio” (cf Ez 37, 17).

Nella storia d’Israele il periodo dell’esilio e del post-esilio fu senz’altro difficile e sentito come un’immane sciagura, ma fu in quel periodo che il monoteismo si espresse definitivamente e Israele, che era stato uno dei tanti piccoli regni della sponda asiatica del Mediterraneo, diventa il porta bandiera del Dio Creatore e Signore e l’annuncio di una nuova speranza per l’umanità. Il miracolo fu che un popolo disperso dalla zona di Assuan fino alla Tracia, dall’India fino alla Libia, poté portare, anche per il contributo dei persiani, un messaggio unitario al mondo. Il dono che quel popolo portò a termine in quegli anni è la Bibbia ed è un dono di cui non possiamo che dover riconoscenza agli uomini del tempo di Ezechiele e di Esdra.

Anche oggi il mondo cerca unità. È un altro momento in cui sembra impossibile l’intervento di Dio; il mondo occidentale, dove non mancano i mezzi di sussistenza, corre dietro a sogni irraggiungibili e sembra dimenticare quali siano i significati veri della vita. Il cosiddetto terzo mondo si trova nella quasi impossibilità di vivere per la mancanza assoluta dei beni di sostentamento. La natura stessa è così condizionata dall’inquinamento p rodotto dalle grandi nazioni che rende più visibile e di attualità stringente il gemito di cui parla l’apostolo Paolo (“Tutto l’universo aspetta con grande impazienza il momento in cui Dio mostrerà il vero volto dei suoi figli” Rm 8, 19).

Questi ultimi, spesso disorientati e ben divisi sentono l’urgenza di fare propria la visione di Ezechiele: essere riuniti in modo di formare un solo bastone nella mano di Dio. In questa direzione essi hanno una sola arma: la preghiera, che rivolgono a Dio da ogni parte della terra e che esige da loro una conversione all’amore e ad alla giustizia che trovano insieme la loro realizzazione sulla croce di Cristo.

I titoli proposti per ciascuno dei giorni della Settimana sembrano registrare questo schema appena indicato perché pongono le comunità cristiane di fronte alle vecchie e alle nuove divisioni, alla guerra e alla violenza, all’ingiustizia economica e alla povertà, alla crisi ecologica, alla discriminazione e al pregiudizio sociale, alla malattia e alla sofferenza, alla pluralità delle religioni per giungere infine a proclamare la speranza cristiana in un mondo di separazione. Siamo dunque in attesa dello splendido annuncio di Apocalisse 21 “Ora faccio nuova ogni cosa”.

Con cuore rinnovato prepariamoci a questa particolare settimana di preghiera per l’unità.


Chiesa Cattolica Vincenzo Paglia - Vescovo di Terni-Narni-Amelia - Presidente, Commissione CEI per l'Ecumenismo e il Dialogo

Federazione delle Chiese Evangeliche in italia - Prof. Domenico Maselli - Presidente

Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia e di Malta ed Esarcato per l’Europa Meridionale -Gennadios Zervos -Arcivescovo-Metropolita Ortodosso d’Italia e di Malta ed Esarca per l’Europa Meridionale

 

letterina 20090111

L'affondo

Sul trapezio della vita,senza  rete

Abbiamo tutti un ricordo lieto o triste di una prima volta. Il primo giorno di scuola, il primo giorno di naia, il primo giorno di matrimonio, il primo bacio, il primo volo, il battesimo dell’aria. E’ stato qualcosa che ci ha iniziato alla vita, che le ha dato un nuovo colore, che ha colorato una lunga preparazione o attesa, che ci è capitato improvviso e ci ha fatto scoprire qualità impensate. Spesso è stata un’investitura:”Adesso sei grande, tocca a te, non tirarti indietro...sei  su un trapezio, non ci sono più reti di protezione”.

Un misto di brivido, di paura, di orgoglio, ci ha fatto decidere.

Non so se Gesù provava qualcuno di questi sentimenti, là al Giordano in quella fila di peccatori; era stato attratto da Giovanni, sentiva che suo Padre non era ingessato nei ritualismi o imprigionato nel tempio, ma era là, nell’attesa della povera gente, povera di speranza, soprattutto, una povertà che attraversa ricchi e poveri, stolti e intelligenti, uomini di potere e servi inutili.

E’ qui al Giordano il Padre, che Lui chiamerà sempre Papà (solo sulla croce lo chiama Dio, quando ripete le parole del salmo:”Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”), ebbene, qui al Giordano è ancora suo Papà che lo offre a noi a mani spiegate, lo manda, lo accredita, lo spinge sul trapezio dell’annuncio e del dono fino alla morte, senza rete. L’unica rete sono le sue braccia. Con questa consapevolezza Gesù guarderà in faccia la morte, supererà le tentazioni, non soffrirà solitudine.

Sei mio figlio, oggi ti ho generato; sei il Prediletto, non ho altro bene fuori di te, ti affido all’ascolto di tutti, ti mando il mio Spirito; il nostro Spirito è la tua compagnia, la tua consolazione, la tua forza.

Oggi lo Spirito aleggia su queste acque, come spirò sulle acque del caos primitivo. E’ una nuova creazione che cammina con te.

Sono disposto a perderti purchè questa fila di peccatori che sta con te nell’acqua del Giordano, diventi una fila di santi, di giusti, di uomini e donne nuovi.

Stare in questa fila mi interessa.

Domenico Sigalini

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letterina 20090104

L'affondo

Dio si è perduto come un bambino

Ne La gaia scienza, Friedrich Nietzsche parla di un uomo folle che cerca Dio con una lanterna alla chiara luce del giorno. Tutti lo deridono e se ne fanno beffe e, a proposito di Dio, gli chiedono:”Si sarà perduto come un bambino o sarà forse morto o se ne sarà andato?”

Questo passo, spesso citato, appare per lo più soltanto come un preambolo all’affermazione del folle secondo cui siamo stati noi a uccidere Dio, e questo evento è tuttavia lontano da noi anni luce.

Ma non dovremmo invece prestar ascolto anche alla verità celata in ciò che la gente dice al folle a proposito di Dio:” Si è forse perduto come un bambino?”

Quando un bambino si perde va a finire dove non è di casa.

Sì, a Natale Dio si è perduto-non solo come un bambino, ma da bambino – là dove non era “di casa”. Non è rimasto nella chiusa beatitudine del suo cielo o dentro lo spazio della nostra devozione, ma si è perduto per i piccoli e i poveri, per coloro che sono malati e in lutto, per i peccatori, per coloro che noi riteniamo lontani da Dio, di cui pensiamo che non abbiano niente a che fare con lui.

Dio si è perduto là dove si è perduto il figliol prodigo, lontano dalla casa paterna, per poi tornare dal Padre, in lui e con lui.

Dio si è perduto come un bambino, solo non si è trattato di un errore, ma dell’azione più divina, che Dio potesse fare. Dio è il Dio di tutti o non è Dio. Dio è il Dio dei piccoli e dei Lontani, o non è Dio.

Troviamo Dio là dove si è “perduto” o non lo troviamo affatto.

“Fatti trovare dove tu, Dio, ti sei perduto come un bambino.

Sì, lascia che diveniamo noi stessi bambino, nel quale tu ti perdi

per gli altri, per tutti!”

Klaus Hemmerle

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