letterina 20090117

L'affondo

“ Essere uniti nella tua mano”

Presentazione

La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2009 parte da uno sforzo unitario di cristiani di varie parti del mondo. In primo luogo si tratta dei cristiani coreani che ci offrono come spunto di meditazione questo versetto tratto dalla seconda grande visione del profeta Ezechiele. I Coreani citano questa visione perché si trovano nella situazione da cui era partito Israele prima dell’esperienza dell’esilio fatto da Ezechiele e dalla sua generazione. Anche la Corea, come Israele di allora, è un paese diviso in due stati: quello del nord e quello del sud, che malgrado la divisione e una terribile guerra di oltre cinquant’anni fa, si sente un’unica nazione. Ma questa è anche la realtà della cristianità di oggi, una realtà divisa ma che ha come speranza centrale quella di “formare un solo bastone nella mano di Dio” (cf Ez 37, 17).

Nella storia d’Israele il periodo dell’esilio e del post-esilio fu senz’altro difficile e sentito come un’immane sciagura, ma fu in quel periodo che il monoteismo si espresse definitivamente e Israele, che era stato uno dei tanti piccoli regni della sponda asiatica del Mediterraneo, diventa il porta bandiera del Dio Creatore e Signore e l’annuncio di una nuova speranza per l’umanità. Il miracolo fu che un popolo disperso dalla zona di Assuan fino alla Tracia, dall’India fino alla Libia, poté portare, anche per il contributo dei persiani, un messaggio unitario al mondo. Il dono che quel popolo portò a termine in quegli anni è la Bibbia ed è un dono di cui non possiamo che dover riconoscenza agli uomini del tempo di Ezechiele e di Esdra.

Anche oggi il mondo cerca unità. È un altro momento in cui sembra impossibile l’intervento di Dio; il mondo occidentale, dove non mancano i mezzi di sussistenza, corre dietro a sogni irraggiungibili e sembra dimenticare quali siano i significati veri della vita. Il cosiddetto terzo mondo si trova nella quasi impossibilità di vivere per la mancanza assoluta dei beni di sostentamento. La natura stessa è così condizionata dall’inquinamento p rodotto dalle grandi nazioni che rende più visibile e di attualità stringente il gemito di cui parla l’apostolo Paolo (“Tutto l’universo aspetta con grande impazienza il momento in cui Dio mostrerà il vero volto dei suoi figli” Rm 8, 19).

Questi ultimi, spesso disorientati e ben divisi sentono l’urgenza di fare propria la visione di Ezechiele: essere riuniti in modo di formare un solo bastone nella mano di Dio. In questa direzione essi hanno una sola arma: la preghiera, che rivolgono a Dio da ogni parte della terra e che esige da loro una conversione all’amore e ad alla giustizia che trovano insieme la loro realizzazione sulla croce di Cristo.

I titoli proposti per ciascuno dei giorni della Settimana sembrano registrare questo schema appena indicato perché pongono le comunità cristiane di fronte alle vecchie e alle nuove divisioni, alla guerra e alla violenza, all’ingiustizia economica e alla povertà, alla crisi ecologica, alla discriminazione e al pregiudizio sociale, alla malattia e alla sofferenza, alla pluralità delle religioni per giungere infine a proclamare la speranza cristiana in un mondo di separazione. Siamo dunque in attesa dello splendido annuncio di Apocalisse 21 “Ora faccio nuova ogni cosa”.

Con cuore rinnovato prepariamoci a questa particolare settimana di preghiera per l’unità.


Chiesa Cattolica Vincenzo Paglia - Vescovo di Terni-Narni-Amelia - Presidente, Commissione CEI per l'Ecumenismo e il Dialogo

Federazione delle Chiese Evangeliche in italia - Prof. Domenico Maselli - Presidente

Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia e di Malta ed Esarcato per l’Europa Meridionale -Gennadios Zervos -Arcivescovo-Metropolita Ortodosso d’Italia e di Malta ed Esarca per l’Europa Meridionale

 

letterina 20090111

L'affondo

Sul trapezio della vita,senza  rete

Abbiamo tutti un ricordo lieto o triste di una prima volta. Il primo giorno di scuola, il primo giorno di naia, il primo giorno di matrimonio, il primo bacio, il primo volo, il battesimo dell’aria. E’ stato qualcosa che ci ha iniziato alla vita, che le ha dato un nuovo colore, che ha colorato una lunga preparazione o attesa, che ci è capitato improvviso e ci ha fatto scoprire qualità impensate. Spesso è stata un’investitura:”Adesso sei grande, tocca a te, non tirarti indietro...sei  su un trapezio, non ci sono più reti di protezione”.

Un misto di brivido, di paura, di orgoglio, ci ha fatto decidere.

Non so se Gesù provava qualcuno di questi sentimenti, là al Giordano in quella fila di peccatori; era stato attratto da Giovanni, sentiva che suo Padre non era ingessato nei ritualismi o imprigionato nel tempio, ma era là, nell’attesa della povera gente, povera di speranza, soprattutto, una povertà che attraversa ricchi e poveri, stolti e intelligenti, uomini di potere e servi inutili.

E’ qui al Giordano il Padre, che Lui chiamerà sempre Papà (solo sulla croce lo chiama Dio, quando ripete le parole del salmo:”Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”), ebbene, qui al Giordano è ancora suo Papà che lo offre a noi a mani spiegate, lo manda, lo accredita, lo spinge sul trapezio dell’annuncio e del dono fino alla morte, senza rete. L’unica rete sono le sue braccia. Con questa consapevolezza Gesù guarderà in faccia la morte, supererà le tentazioni, non soffrirà solitudine.

Sei mio figlio, oggi ti ho generato; sei il Prediletto, non ho altro bene fuori di te, ti affido all’ascolto di tutti, ti mando il mio Spirito; il nostro Spirito è la tua compagnia, la tua consolazione, la tua forza.

Oggi lo Spirito aleggia su queste acque, come spirò sulle acque del caos primitivo. E’ una nuova creazione che cammina con te.

Sono disposto a perderti purchè questa fila di peccatori che sta con te nell’acqua del Giordano, diventi una fila di santi, di giusti, di uomini e donne nuovi.

Stare in questa fila mi interessa.

Domenico Sigalini

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letterina 20090104

L'affondo

Dio si è perduto come un bambino

Ne La gaia scienza, Friedrich Nietzsche parla di un uomo folle che cerca Dio con una lanterna alla chiara luce del giorno. Tutti lo deridono e se ne fanno beffe e, a proposito di Dio, gli chiedono:”Si sarà perduto come un bambino o sarà forse morto o se ne sarà andato?”

Questo passo, spesso citato, appare per lo più soltanto come un preambolo all’affermazione del folle secondo cui siamo stati noi a uccidere Dio, e questo evento è tuttavia lontano da noi anni luce.

Ma non dovremmo invece prestar ascolto anche alla verità celata in ciò che la gente dice al folle a proposito di Dio:” Si è forse perduto come un bambino?”

Quando un bambino si perde va a finire dove non è di casa.

Sì, a Natale Dio si è perduto-non solo come un bambino, ma da bambino – là dove non era “di casa”. Non è rimasto nella chiusa beatitudine del suo cielo o dentro lo spazio della nostra devozione, ma si è perduto per i piccoli e i poveri, per coloro che sono malati e in lutto, per i peccatori, per coloro che noi riteniamo lontani da Dio, di cui pensiamo che non abbiano niente a che fare con lui.

Dio si è perduto là dove si è perduto il figliol prodigo, lontano dalla casa paterna, per poi tornare dal Padre, in lui e con lui.

Dio si è perduto come un bambino, solo non si è trattato di un errore, ma dell’azione più divina, che Dio potesse fare. Dio è il Dio di tutti o non è Dio. Dio è il Dio dei piccoli e dei Lontani, o non è Dio.

Troviamo Dio là dove si è “perduto” o non lo troviamo affatto.

“Fatti trovare dove tu, Dio, ti sei perduto come un bambino.

Sì, lascia che diveniamo noi stessi bambino, nel quale tu ti perdi

per gli altri, per tutti!”

Klaus Hemmerle

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letterina 20081228

L'affondo

Tempo

Ciao 2008, grazie di averci svelato il volto di Dio, grazie per le cose belle che abbiamo scoperto, pazienza per quelle dolorose che abbiamo sopportato. Stiamo per celebrare il rito del cambio d’anno, una specie di concessione scaramantica al paganesimo, dopo avere celebrato devotamente il Bambinello Gesù. Notte di eccessi per molti, Capodanno diventa l’occasione, per i discepoli, di meditare sul tempo.

Il tempo che è dono di Dio, occasione per scoprire come vedremo, i passi di un Dio che cammina con noi.

Sappiamo che l’anno che inizia sarà molto simile a quello

trascorso, eppure, potenza dell’ottimismo umano, speriamo tutti che cambi qualcosa, che migliori la nostra vita, che ci porti di più gioia…

Il tempo che passa è solo l’occasione per aprire il cuore a una

dimensione di tempo più vera e profonda, eterna e intensa, di cui scopriamo le tracce in questa vita.

Un pensiero particolare a coloro che vivranno nel dolore questa serata, soli o stanchi. Il vostro Angelo custode vi dia un briciolo di buon umore per festeggiare nel silenzio della vostra stanza.

Siamo nelle mani di Dio, amici, siamo completamente e definitivamente abbandonati a lui.

Buon anno di cuore.


 

letterina 20081221

L'affondo

Natale: la voce che sale

Giocare con le parole a volte fa emergere aspetti inediti, caleidoscopi di significati che vanno ben oltre l’assonanza dei termini e ti rivela l’uomo così come è.

In questa settimana di Natale, tento questo gioco con tre , inanellate e progressive:

Fatto, sfatto, disfatto.

“Ma ci sei o ti fai?” si sentiva come un tormentone qualche tempo fa, non solo tra i più giovani.

Oppure:”Guarda quello, s’è appena fatto” e non ha molto a che vedere con la persona che si è fatta da sé, senza appoggi o bustarelle…

Fatto” diventa un modo di porsi di fronte agli altri e nella vita di relazione, al punto che uno non va in discoteca o al pub se non con la carica giusta.

E se la nonna a questo gergo chiede “fatto da chi?” (perché ha in mente il fare, il costruire), il nipote semmai chiede “fatto di cosa?”

Poi ti trovi a parlare con loro mentre sono “fatti” e non sai bene se quello è l’unico momento di verità (perché li senti anche andare oltre la crosta delle solite cose) o se è un altro modo di mascherarsi.

Che peso dare, ad esempio, a un “ti voglio bene” detto da uno “fatto”? E quale, a un “perché Dio non mi risponde”? o ancora “ai miei interessano solo i soldi e la bella casa?”

Eppure qualcosa passerà anche da lì!

Il gioco continua con lo sfatto: modo di fare e stile di vita solo apparentemente trascurato, perché costruito a tavolino con gli accessori giusti, più che il modo di vestirsi del classico bravo ragazzo.

Strappi al punto giusto, lacci a penzoloni, pantaloni a cavallo basso, felpa rigorosamente con cappuccio sulla testa.

Molto tempo per vestirsi da “sfatti”, a dispetto di ciò che poi appare come noncuranza o improvvisazione.

La sensazione comunicata a fior di pelle è che comunque uno “fatto” o “sfatto”, sia sempre anche un po’ “dis-fatto”.

Dis-fatto rispetto alle relazioni,

dis-fatto rispetto alle regole di navigazione,

dis-fatto rispetto alla posta in gioco dell’esistenza.

Poi arriva Natale e, paradossalmente, ti viene consegnato un Dio che nel bambino del presepe si è “fatto”.

Ma “fatto uomo”.

Fatto “persona”.

Il Vangelo che non era ancora stato scritto, si stava facendo nella carne di una donna.

Il Verbo si fa persona.

Letteralmente, si fa “voce che sale”.

Pensa: vivere il Natale come “voce che sale” e ti prende tutto.

Lo scorso anno, vedevo i sorrisini di alcuni adolescenti durante la messa, al canto:

Dio s’è fatto come noi, per farci come lui…”

Mi pareva di leggere in loro la sorpresa per un linguaggio abbastanza familiare.

Magia del Natale!

Ma non sarà che Dio si è “fatto uomo” proprio per questo uomo sempre più “sfatto” e “dis-fatto?”

Articolo del parroco di Palazzago pubblicato su L’Eco di Bergamo il 23 dicembre 2008

 

letterina 20081207

L'affondo

Attesa

 

Attesa sostantivo del verbo sperare. E questo è un verbo che si coniuga sempre al futuro; “non possiede” né il passato, né il presente. Ciò che è stato ieri non si spera, si ricorda; e ciò che è oggi, accade, si vive! Solo il domani si aspetta. Attendere è un verbo che necessita un complemento oggetto e di un complemento di modo o maniera. Non preoccuparti; non stai leggendo una pagina di sintassi grammaticale, ma… una riflessione di vita che vorrei condividere con te, una riflessione sulla nostra vita.

Dicono che l’Avvento sia il tempo dell’attesa per eccellenza, io dico che tutta la nostra esistenza è e dovrebbe essere un Avvento. Ad uno sguardo superficiale l’atteggiamento potrebbe apparirci come qualcosa di statico, di fermo: aspetto inerme che qualcosa accada, perché tanto ciò che l’esistenza ha deciso accadrà! Più o meno la stessa cosa quando il rosso di un semaforo ci costringe a fermarci nell’attesa del verde; o quando alla fermata del tram aspettiamo che esso arrivi! Ora fermati su questi due esempi! Cosa fai, cosa pensi, cosa decidi in quel tempo che intercorre tra il rosso e il verde? in quel tempo di attesa? Prova a rispondere! È importante! È importante perché noi siamo le nostre attese. Il come aspettiamo (complemento di modo o maniera) non è meno importante del che cosa aspettiamo (complemento oggetto) se…aspettiamo. A questo proposito scriveva don Tonino Bello: “la vera tristezza non è quando la sera non sei atteso da nessuno al rientro in casa tua, ma quando tu non attendi più nulla dalla vita. È tristezza quando non aspetti più neppure “la vita del mondo che verrà” quando pensi che oramai i giochi sono fatti, che la musica è finita, gli amici se ne vanno”…Hanno detto che la santità di una persona si commisura con lo spessore delle sue attese. Se questo è vero, aspettare non è solo una questione spazio-temporale, ma è anche e soprattutto una questione affettivo-spirituale; una questione che va a toccare le corde più intime di me, dei miei sentimenti e delle mie speranze, dei miei sogni! L’attesa non ci mette solo in relazione con il trascorrere del tempo (crono), proiettandoci nell’attesa di…, ma ci fa vivere il qui e ora con quegli atteggiamenti che, a seconda della mia decisione, faranno la differenza (kairos) non soltanto nel e per il nostro attendere quotidiano, ma anche nella e per la nostra intera esistenza e in particolare per quell’ora in cui sentiamo alla fine il grido “ecco lo sposo”, grido che il “complemento oggetto” ultimo di ogni attesa umana, omega della nostra esistenza terrena che ognuno di noi attende, consapevole o no. Verità ultima dell’Avvento!

Beati coloro che sanno attendere ogni giorno con gli occhi semplici e curiosi di un bambino perché, anche quando i sogni sono infranti, la speranza non li abbandonerà mai.

Suor Donatella Alessio del Caritas Baby Hospital di Betlemme