L'affondo
Funghi in città
Ancora CRE e ancora una riflessione sul tema della terra.
Raccontando lo scorrere delle stagioni in città percepito dall’animo semplice di Marcovaldo, uomo poco adatto alla vita della metropoli, Calvino immortala un "disadattato" che non ha perso il gusto di lasciarsi trasportare da quello che la natura - il vento in questo caso - dona ai suoi occhi.
C’è una profonda saggezza nel sapere osservare e mettersi in ascolto di quello che la terra suggerisce con il mutare dei colori, i piccoli insetti inseriti nei pertugi, i segni di vita che abitano spazi inconsueti.
Allora ci si accorge degli spazi di vita dentro e intorno a noi, delle novità che possono riempire le giornate, del tempo che scorre tra sogni e realtà, desideri e realizzazioni concrete, dei colori che si alternano a certi spazi grigi e uniformi. Ci si accorge che nel mutare della natura è iscritto il nostro mutamento, nella ricchezza dei tempi e delle stagioni la nostra ricchezza.
Italo Calvino, Funghi in città (da Marcovaldo, raccolta di novelle, 1996)
Il vento venendo in città da lontano, le porta doni inconsueti, di cui si accorgono solo poche anime sensibili, come i raffreddati del fieno che starnutono per pollini di fiori d'altre terre.
Un giorno, sulla striscia d'aiola d'un corso cittadino, capitò chissà donde una ventata di spore e ci germinarono dei funghi. Nessuno se ne accorse tranne il manovale Marcovaldo che proprio lì prendeva ogni mattina il tram.
Aveva, questo Marcovaldo, un occhio poco adatto alla vita di città: cartelli, semafori, vetrine, insegne luminose, manifesti, per studiati che fossero a colpire l’attenzione, mai fermavano il suo sguardo che pareva scorrere sulle sabbie del deserto.
Invece, una foglia che ingiallisse su un ramo, una piuma che si impigliasse a una tegola, non gli sfuggivano mai: non c’era tafano sul dorso d’un cavallo, pertugio di tarlo in una tavola, buccia di fico spiaccicata sul marciapiede che Marvovaldo non notasse e non facesse oggetto di ragionamento scoprendo i mutamenti della stagione, i desideri del suo animo e le miserie della sua esistenza.
Così un mattino, aspettando il tram che lo portava alla ditta SBAV dov’era uomo di fatica, notò qualcosa di insolito presso la fermata, nella striscia sterile e incrostata che segue l’alberatura del viale: in certi punti al ceppo degli alberi sembrava si gonfiassero bernoccoli che qua e là si aprivano e lasciavano affiorare tondeggianti corpi sotterranei.
Si chinò a legarsi le scarpe e guardò meglio: erano funghi, veri funghi che stavano spuntando proprio nel cuore della città!
A Marcovaldo parve che il mondo grigio e misero che lo circondava diventasse d’un tratto generoso di ricchezze nascoste e che dalla vita ci si potesse ancora aspettare qualcosa, oltre la paga oraria del salario contrattuale, la contingenza, gli assegni familiari e il caro pane.
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