Memoria, invocazione, attesa
Entriamo nel tempo dell’avvento, il tempo della memoria, dell’invocazione e dell’attesa della venuta del Signore. Lo viviamo anche come seconda tappa del nostro itinerario pastorale, guidati dall’invito: Tocca con mano il Dio che si fa Bambino, il Dio che si fa pane. Di pane parleremo molto, giungendo a Betlemme, casa-del-pane. Tuttavia, questo tempo non ci deve far dimenticare che il credente attende la venuta del suo Signore, in “quel giorno” annunciato da tutti i profeti; Gesù stesso più volte ha parlato della sua venuta nella gloria quale Figlio dell’Uomo, per porre fine a questo mondo e inaugurare un cielo nuovo e una terra nuova. Per molti l’Avvento è una semplice preparazione al Natale, quasi che si attendesse ancora la venuta di Gesù nella carne della nostra umanità e nella povertà di Betlemme. Ingenua regressione devota che depaupera la speranza cristiana! In verità, il cristiano ha consapevolezza che se non c’è la venuta del Signore nella gloria allora egli è da compiangere più di tutti i miserabili della terra (cf. 1Cor 15,19, dove si parla della fede nella resurrezione), e se non c’è un futuro caratterizzato dal novum che il Signore può instaurare, allora la sequela di Gesù nell’oggi storico diviene insostenibile. Un tempo sprovvisto di direzione e di orientamento, che senso può avere e quali speranze può dischiudere? In questi giorni di Avvento occorre dunque porsi delle domande: noi cristiani non ci comportiamo forse come se Dio fosse restato alle nostre spalle, come se trovassimo Dio solo nel bambino nato a Betlemme? Sappiamo cercare Dio nel nostro futuro avendo nel cuore l’urgenza della venuta di Cristo, come sentinelle impazienti dell’alba? E dobbiamo lasciarci interpellare dal grido più che mai attuale di Teilhard de Chardin: “Cristiani, incaricati di tenere sempre viva la fiamma bruciante del desiderio, che cosa ne abbiamo fatto dell’attesa del Signore?”. |
|