Adesso, forse, tutti hanno capito chi comanda in quel mondo lì. Se ancora non era chiaro, se ancora serviva qualche plastica dimostrazione, ecco serviti anche i soggetti dotati di comprendonio particolarmente resistente. Nel calcio comandano loro. Nel calcio comanda il ricatto degli ultrà. Comanda sui giocatori, comanda spesso sui presidenti, comanda talvolta sui giornalisti. Un ricatto non sempre violento e manifesto, alla luce del sole e persino senza passamontagna, come quello di ieri a Genova, culminato con l’umiliazione pubblica del calciatore reo di perdere una partita, finanche di perdere un campionato. E allora via le maglie, perché nel calcio comandano loro, e sono loro a stabilire chi è degno di indossare quella maglia, e chi non lo è. Via quelle maglie, lì in mezzo al campo, altrimenti vedi che succede. È il ricatto della violenza. È il ricatto della paura, che fa cedere perché poi lì non c’è solo la feccia, ci sono i papà coi bimbi, la maggioranza non contaminata, e non puoi mai sapere come va a finire. Adesso forse avranno tutti capito come funziona in quel mondo: è una logica di puro potere, di pura visibilità, di puro spazio d’azione guadagnato passo dopo passo. È una logica – se l’accostamento non scandalizza – politica e mafiosa. Cos’hanno ottenuto i tifosi del Genoa? La vittoria sul Siena? No, anzi: otterranno forse la serie B. Ma ora è chiaro che lì non comanda un presidente, non comanda un capitano e nemmeno uno straccio di questore. Comandano loro: retrocessi, ma temuti e rispettati. E tra le due, la priorità è questa: è si tifo, ma c’è chi ci campa. È la resa, questa giornata. Perché puoi controllare tasche e giubbotti, ma i cervelli no. Puoi mettere tornelli su tornelli, puoi approvare tutte le leggi più restrittive. Ma in questo calcio ci sono armi che colpiscono più dei randelli, più delle coltellate. Sono le idee. È quel fanatismo strisciante che dice di odiare il calcio moderno, ma in verità odia tutto quel che non è come lui. È quell’imbottitura di ideologia blaterante di rispetto e onore, ma che finisce per rispettare solo il simile, vestito delle stesse strisce. Il resto, carne da macello. Pensateci. Otto giorni fa il calcio si era fermato, la morte di Piermario Morosini aveva persino creato una bolla d’illusione, quelle sciarpe da sempre nemiche, ma per un giorno sorelle, ci avevano fatto sperare che un fiore nuovo potesse nascere. Otto giorni dopo, capiamo l’errore. Umiliata, anche quella speranza.
Da un articolo di Roberto Belingheri de L’Eco di Bergamo, 23 aprile 2012
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