letterina 20120505

Ai piedi di Dio (1)

Gli uomini sono andati a cercare lontano, molto lontano, le parole più adatte per esprimere il senso della preghiera. Le hanno cercate dalla parte della vita e non dei concetti. Studiare la radice e l’origine delle parole è come perforare strati successivi di stori, risalire il fiume dei millenni fino a giungere al momento sorgivo.
Così accade con due parole legate all’esperienza religiosa universale:
<<preghiera>> e <<supplica>>.

La parola <<preghiera>> deriva da una radice latina (prex) che indica una domanda fatta per ottenere qualcosa.
La sorpresa nasce quando cerchiamo di intuire che cosa esattamente soggiace alla domanda.
Ce lo rivela il termine latino procus, che ha la medesima origine: si tratta di colui che rivolge una domanda – preghiera al padre di famiglia, una richiesta particolare:
chiede una figlia in matrimonio. L’obiettivo del procus, lo scopo della sua richiestapreghiera non è ottenere delle cose, ma raggiungere una persona. E non una persona qualsiasi, ma la persona amata. La parola preghiera ha radici fragranti che parlano di qualcosa – una donna, una figlia, una creatura, un Dio- che piace al punto tale da volersi unire a esso; racconta di una ricerca amante, di una bellezza desiderata, di un eros primigenio fuoco e forza della vita. All’origine della parola preghiera, allora, affiora l’eco di un innamoramento, che è un’esperienza mistica allo stato selvatico, forse l’unica esperienza mistica che a tutti, in qualche modo e in qualche tempo della vita, è dato di compiere. E in cui echeggia il vangelo: <<Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito>> (Gv 3,16). Gli uomini hanno sentito che l’esperienza d’amore e l’esperienza del sacro sono strettamente legate e lo hanno espresso adottando il medesimo vocabolario. Come è accaduto per il Cantico di Cantici, dove il racconto dell’amore tra un uomo e una donna diventa la narrazione dell’amore tra Dio e la creatura. <<Guarda con amore alla tua chiesa>>, prega la liturgia. Guarda con amore, nient’altro, ma è già tutto.

(da: Come un girasole di E. Ronchi)

Continua la prossima settimana con “supplica

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