Pesi e nodi
I Vangeli di Pasqua ci presentano spesso la morte come questione di pesi e nodi, e la risurrezione come mani che spostano pietre tombali e sciolgono nodi. La vita così torna a sgorgare. Pesi e nodi come in un film famoso del 1986, The Mission, di Roland Joffè, in particolare in una sequenza che vi racconto.
Le missioni dei gesuiti in Sudamerica si son fatte rigogliose, al punto da infastidire i pruriti di avidità di Portogallo e Spagna.
Robert De Niro veste i panni del capitano Mendoza: lo schiavista, 1'aguzzino che si arrampica fin sopra le cascate per catturare i guarani, intrappolarli come animali e venderli bene al mercato degli schiavi. Ma Mendoza è un violento, e pagherà il prezzo del suo sangue impetuoso con una tragedia che si consuma in famiglia: per questioni di onore e di amore uccide in duello il fratello minore. Torturato dal rimorso, si rinchiude in prigione. (Lui non può saperlo, ma "carcere" è un termine che deriva dalla parola aramaica che significa "sepolcro".) Mendoza rinchiude se stesso in un sepolcro: vuole darsi la morte per espiare la colpa. Ci vuole una voce amica; ci vuole qualcuno che sciolga i nodi interiori di quest'uomo, che sposti i suoi pesi. Un gesuita lo va a cercare fin dentro alla sua prigione. Va bene, gli dice, hai ucciso tuo fratello: Ti torturi, non accetti che ci sia un perdono. Dove è finito il condottiero di un tempo? Non si può che ridere di un uomo che rinuncia così a combattere. Non vorresti almeno provare?
La scintilla dell'uomo d'armi gli si riaccende in cuore, ma per una battaglia tutta interiore. E la scena successiva è straordinaria: una avvolgente colonna sonora accompagna 1'ascesa di Mendoza, che trascina una rete con un gran cumulo d'armi. Lance, spade, elmi, corazze, il suo ingombrante passato, l'immagine del suo gravame interiore: un uomo appesantito dal suo dolore, dal senso di colpa, dalla violenza che gli ha mosso la mano e spento il fratello. Si arrampica scortato da cinque gesuiti su per le cascate, nel fango, tra rocce e sudore. Uno dei gesuiti dà voce al pensiero comune. Non può andare avanti così, commenta esasperato, quest'uomo si sta condannando a una pena troppo pesante: così, impugna il machete e trancia i nodi dell' enorme corda, scaricando a valle tutta la massa di armi. E Mendoza lo guarda negli occhi e torna a valle, senza dire parola; recupera il cumulo di ferraglia, riannoda la corda: non ha ancora finito di espiare, nessuno può dirgli quando sarà espiata la colpa, pagato il debito. Nessuno dei gesuiti, quantomeno.
L'arrivo tra i guarani è memorabile: gli indios si avvicinano sospettosi al loro carnefice, colui che ne ha sterminato la comunità. Uno di loro lo affronta rapace, gli punta il coltello alla gola, butta fuori incomprensibili parole rabbiose... e poi taglia la corda e scaraventa l'ammasso di armi nel fiume. E lì Mendoza capisce che la sua espiazione è finita. Scoppia in pianto. Ed ecco, pian piano i guarani gli si fanno attorno: vedono l'aguzzino di un tempo ora in lacrime.
Lo guardano, ammiccano tra loro, cominciano a ridere. Il diavolo si è messo a piangere, si dicono. Allora comincia a ridere anche Mendoza. E c'è il grande abbraccio della comunità - i guarani e i gesuiti insieme - che si stringe attorno alla fragilità di quest'uomo: è una scena miracolosa, una scena di risurrezione.
La devastazione di Mendoza può cominciare a sollevarsi grazie a coloro che erano state le sue vittime. Mani amiche sciolgono nodi, spostano pesi e chiamano il morto fuori dal suo sepolcro. Abbiamo bisogno di voci amiche e mani fedeli, che ci aiutino a uscire dai nostri sepolcri, quelli in cui ci rinchiudiamo, soffocati dalla rabbia e dall' angoscia per aver sbagliato, mancato, tradito.