Cioè, problema, crisi ...
Una delle parole più presenti nel nostro lessico quotidiano, insieme a “cioè” e a “problema”, è “crisi”. Nell’accezione più comune di rottura, discontinuità, instabilità, incertezza, difficoltà, il termine appartiene alla tradizione medica. Come traslato poi passa alla filosofia, quando si parla di epoche critiche e di crisi del mondo moderno. L’affermazione e il successo di questa parola sono cresciute in maniera esponenziale nella contemporaneità dove c’è crisi di tutto. Oggi, il termine ha finito per perdere completamente il suo significato originario e indica, per tornare alla metafora medica, un disagio che si è cronicizzato, una condizione che non si risolve: la crisi di oggi può accompagnare un uomo per tutta la vita e una società per la durata di un’epoca. E’ facile anche accorgersi che questa parola nella storia del pensiero occidentale viene a occupare il posto lasciato vuoto da Dio. E’ sintomatico infatti che la sua più alta frequenza si verifichi con il diffondersi e l’affermarsi di filosofie e stili di vita che mettono in discussione e negano ogni realtà di Dio. “Crisi” è diventata il surrogato di un’assenza, la spia di un disagio diverso da quello che si crede di indicare quando si parla genericamente di crisi. L’uomo moderno è andato in crisi non solo perché non è più capace di riconoscere i segni di Dio nella sua vita e di ascoltare la sua Parola, ma anche perché è venuto meno quella relazione che poneva di fronte la creatura e il suo Creatore. Se l’uomo ignora e non riesce più a riconoscersi parte di questo rapporto con un’Alterità che lo sostiene e governa, sentirà, come oggi spesso accade, la sua avventura nell’universo come un’esperienza solitaria e titanica, soggetta a mille variabili, sostanzialmente precaria e minacciata; il cosmo si trasformerà, malgrado tutte le scienze e le tecniche, in caos; le forze di natura saranno sentite come immani e distruttive. Lentamente scivolerà nella crisi perchè tutto in questo mondo torna e ricade sempre e solo sull’uomo. E l’uomo è schiacciato da questa responsabilità, che va oltre la finitezza del suo essere creatura. La crisi è questo sapere che non possiamo dominare non solo i grandi eventi della vita, ma anche le piccole catastrofi di cui sono pieni i nostri giorni. Critico è questo tempo di solitudine in cui abbiamo scelto di non dipendere da nessun altro; critico è questo tempo che è diventato di frustrazione e di chiusura che non riesce più a parlare con Dio e a sentirsi opera delle sue mani. |
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