Arriviamo alla settimana delle feste patronali con un ricco programma che di anno in anno sta prendendo una sua identità, sollecitando sempre più un dinamismo legato allo stare insieme nel nome del Signore, come comunità credente. Ma chi pensa, prepara e porta avanti tutto questo? (come del resto tutte le altre numerose proposte comunitarie) Nella mente scorrono tanti volti di persone che con disponibilità e passione si mettono in gioco, alle quali va il mio grazie (che dico sempre anche al Signore) e quello di tutti. A volte, però, in questo scorrere di volti c’è come una nuvoletta che oscura la luce: quella persona non c’è perché ha avuto da dire con quel tale e allora ha detto basta, io non ci sto più, io mi tiro fuori. Rispetto ogni scelta, ma mi permetto di esternare almeno alcuni interrogativi che mi faccio: si è così sprovveduti da pensare che stare insieme e fare insieme -anche con un obiettivo comunitario- sia senza difficoltà? Basta un’incomprensione, una parola di troppo... per far spegnere l’entusiasmo? Non si crede proprio alla “rivoluzione” del perdono, al desiderio di andare avanti proprio perché non è tutto facile? E poi, mi dico, se anch’io usassi questo metro, che ci starei a fare qui? Cioè: anche un prete in una comunità si trova di fronte a dei no, a delle lentezze, a delle fatiche, a delle incomprensioni, anche con la sensazione che si chieda tanto e ci sia poca disponibilità a fare un passettino. Per intenderci (ma prendo gli esempi più generali): quante volte si chiede di aiutare i celebranti occupando posti piu’ avanti in chiesa, perché non si guardi il vuoto per diversi metri, oppure di cantare, partecipare, essere propositivi e non farsi sempre “tirare”? Se dovessi bloccarmi di fronte ai no, sarei sceso da un pezzo. Alla fine, penso che le feste patronali -perché da queste sono partito- che una comunità celebra andando alle fondamenta del proprio essere, ci dicano che non è tempo di dire “basta”, che non bisogna gettare la spugna davanti alla prima difficoltà, che c’è posto per chi sente la comunità un po’ sua. E le vuole bene. Insomma: tempo di MISSIONE e non di DIMISSIONE…
don Giuseppe
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