Il Vangelo risuona di un canto continuo, canto del seme, del lievito, di alberi che mettono gemme. Tipica di Gesù è questa teologia degli inizi, la più vera teologia della speranza. Dio immette perennemente in noi e nel cosmo le sue energie in forme seminali, germinali. Il compito nostro, sacro e umano, è far fiorire i semi di Dio. Il granello di senapa non salverà il mondo, noi non salveremo il mondo. Ma il piccolo seme diventerà un albero grande, e verranno gli uccelli e faranno il nido tra i suoi rami (cfr. Mt 13,32). Con questa metafora Gesù ci dice: tu vivrai e farai vivere. Vivrai e darai vita. La teologia evangelica del seme è la teologia dei mezzi poveri, degli stracci con cui possiamo e dobbiamo confezionare l’abito da festa. Ogni vita nasce povera, piccola, indifesa eppure fortissima. E si trasmette per piccolissimi semi. Ma i mezzi poveri sono l’atto di fede nella forza segreta delle cose buone, nella forza inflessibile del buon seme di Dio.
Noi siamo chiamati a compiere il gesto di Dio, il gesto del seminatore. Invece di denunciare sempre la tristezza dei tempi o la caduta dei valori, dovremmo coltivare una fiducia nuova nella forza contenuta nei poveri e piccoli semi del Regno, nelle gemme di bontà e di giustizia che spuntano e sono vincenti. Anche se talvolta appare gravida di morte, la storia in realtà è incinta di Dio, di risurrezione. Dio è ancora all’opera in seno alla terra, in alto silenzio e con piccole cose.
Se accostiamo l’orecchio al cuore della vita, al pulsare del cosmo, sentiamo, come nella notte della risurrezione, un rotolio profondo di pietre smosse, come il rotolare della pietra dal sepolcro di Cristo. Sentiamo milioni di semi che premono alle frontiere della vita, smuovono, attraversano, aprono zolle che parevano impenetrabili.
Cfr Ermes Ronchi, Al mercato della speranza
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