Custodi e non padroni
C’è un uomo sdraiato su una spiaggia. Sul suo volto scivolano lacrime, nel suo pugno della sabbia: è il suo abbraccio ad una terra tanto attesa, sperata, amata. È il 12 ottobre 1492.
Cristoforo Colombo sulle tre celeberrime Caravelle non solo aveva portato le sue conoscenze e la sua curiosità, ma anche il suo cuore. Attraversare l’Oceano significava spingersi oltre le Colonne D’Ercole, ovvero contro ogni certezza posseduta dall’uomo. In fondo, però, solo chi desidera sa volare alla ricerca di gioia vera; il desiderio è proprio un’assenza momentanea di praticità che lascia tempo e spazio alla mente di compiere ricerche appassionate: di speranza, di vita. Salpare alla volta dell’ignoto è una stretta al cuore: è entusiasmo per la possibile realizzazione, è paura di fallire.
L’attesa è quindi tempo fertile, terra momentanea, un ponte tra presente e futuro. Tra pensato, detto e fatto.
In questi giorni nelle nostre realtà sono in tanti ad abbracciare quel pugno di terra: abbiamo già concluso la terza settimana di Cre e la seconda di Baby. Non è un caso che proprio da “humus”, “terra”, derivi l’umiltà. Ciascuno infatti, all’interno del Cre, è chiamato a farsi terra, simbolo della fertilità con cui coltivare ogni relazione e dello sguardo attento e vigile alle piccole cose. Basta abbassarsi, guardare con gli occhi dei più piccoli la realtà, per scoprire e testimoniare gioia di appartenenza.
Ecco la chimica dello sguardo. Ecco lo scambio che fa crescere e riempie il cuore.E non sorprende allora che anche «Uomo» derivi dalla stessa radice di “humus”. L’uomo altro non è che un essere generato dalla terra, chiamato a mostrarsi a sua volta fecondo. “Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo”, vide che era cosa buona e giusta, e ancora oggi ci è chiesto di vivere tenendo presente il nostro essere parte di un tutto, parte di un progetto più grande. All’uomo è affidato il compito di meravigliarsi del creato, di custodirlo, e di testimoniare lo stupore a chiunque incontri.