Assunta: festa rischiosa

Assunta: festa rischiosa

Nel cielo dell’Apocalisse, che si apre con la lettura della solennità dell’Assunta, troviamo il grande segno della donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi... incinta, che gridava per le doglie del parto. Poi, un altro segno. Un enorme drago rosso con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi... Alcuni passaggi di don Alessandro Dehò ci aiutano a guardare il drago.

Ed eccolo il drago, e in quel drago non dobbiamo avere fretta di vederci il maligno che ci piace pensare sempre altro da noi. Drago è il male che abbiamo dentro e fuori, drago è la paura di sognare, drago è ogni paura di cambiare, drago è un colpo di coda violento a “trascinare un terzo delle stelle del cielo”: drago è ogni volta che per paura o comodità ci sbarazziamo dei sogni. Drago è il potere di qualsiasi Erode che, per incapacità di cambiare, uccide ogni bambino. Drago è il moralismo che ci portiamo dentro, ereditario, contagioso. Drago è “si è sempre fatto così”, drago è fingere che non si possa cambiare, drago è circondarsi di persone che assecondano sempre e comunque, drago è vedere in chi prende le distanze un oppositore, drago è non ascoltare, drago è il male, soprattutto quello che finge: di ascoltare, di amare, di comprendere.
C’è sempre un drago appostato davanti ad ogni possibilità di nascita. C’è un drago tra il bambino e la madre. Il bimbo è rapito verso Dio, la donna è affidata al deserto. Tra i due c’è una distanza.
È una donna, è Maria? È la nostra fede? È la nostra storia? È tutto? Siamo noi. Nel deserto, in fuga e in cammino, nella speranza di essere assunti in cielo, per andare a riprenderci quel bambino che ci è stato strappato. Che bella sarebbe la Chiesa se avesse il coraggio di mostrarsi così, non solo madre rassicurante, non più padre normativo e anaffettivo, ma donna gettata nel deserto, madre a cui è stato strappato un figlio, madre e come tale animale ferito e pericoloso, che è il drago che deve avere paura di una donna a cui è strappato il figlio. E non ci si aspetta dalla donna parole di conforto, non manti azzurri e spiritualizzanti sguardi vacui, la donna apocalittica è una tigre a cui sono stati strappati i piccoli, vaga nel deserto della vita con passo sicuro e attento, è pronta a ruggire, non ha paura del drago, il cuore è pieno di nostalgia feroce. Nel deserto ha un rifugio ma dal rifugio parte, si espone, cammina, in esodo continuo. Assunzione è festa rischiosa, a sentir l’Apocalisse, è sperare che la Chiesa si ricordi di essere donna, e madre a cui è stato strappato il figlio, e che non abbia più paura del drago perché in nome di un figlio niente fa più paura, e non abbia paura di gridare d’amore perché l’Amore ferito non se ne fa nulla di sterili formule romantiche.
Amatissima Chiesa quando torneremo a camminare con l’eleganza di una tigre dal cuore inquieto e ferito? Quando torneremo a gridare al mondo la nostalgia bruciante della vita?
 

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