letterina 20200419 - La donna e la cipolla

La donna e la cipolla

L’essere tutti sulla stessa barca, come anche papa Francesco diceva nella preghiera in Piazza San Pietro, ci fa riscoprire la forza dei piccoli gesti e, anche, che ci salveremo insieme o non ci salveremo affatto. Una pagina de “I fratelli Karamazov “ (VII, 3) di Fëdor Dostoevskij ce lo dice così:

Vedi, Aljòscecka, - scoppiò e ridere nervosamente Grùscegnka rivolgendosi a lui, - mi sono vantata con Rakìttka di aver dato una cipolla, ma con te non mi vanterò, a te parlerò con un'altra intenzione. E' soltanto una leggenda, ma una bella leggenda, che ancora bambina ho sentito dalla mia Matrjòna, quella che adesso serve da me come cuoca. Senti com'è:

"C'era una volta una donna cattiva cattiva che morì, senza lasciarsi dietro nemmeno un'azione virtuosa. I diavoli l'afferrarono e la gettarono in un lago di fuoco. Ma il suo angelo custode era là e pensava: di quale sua azione virtuosa mi posso ricordare per dirla a Dio? Se ne ricordò una e disse a Dio: - Ha sradicato una cipolla nell'orto e l'ha data a una mendicante. E Dio gli rispose: - Prendi dunque quella stessa cipolla, tendila a lei nel lago, che vi si aggrappi e la tenga stretta, e se tu la tirerai fuori del lago, vada in paradiso; se invece la cipolla si strapperà, la donna rimanga dov'è ora. L'angelo corse della donna, le tese la cipolla: - Su, donna, le disse, attaccati e tieni. E si mise a tirarla cautamente, e l'aveva già quasi tirata fuori, ma gli altri peccatori che erano nel lago, quando videro che la traevano fuori, cominciarono ad aggrapparsi tutti a lei, per essere anch'essi tirati fuori. Ma la donna era cattiva cattiva e si mise a sparar calci contro di loro, dicendo: "E' me che si tira e non voi, la cipolla è mia e non vostra. Appena ebbe detto questo, la cipolla si strappò. E la donna cadde nel lago e brucia ancora. E l'angelo si mise a piangere e si allontanò".

 

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letterina 20200412 - Siamo in guerra?

Siamo in guerra?

Prendo a prestito alcuni stralci di una riflessione del monaco Guido Dotti:

No, non mi rassegno. Questa non è una guerra, noi non siamo in guerra.
Da quando la narrazione predominante della situazione italiana e mondiale di fronte alla pandemia ha assunto la terminologia della guerra – cioè da subito dopo il precipitare della situazione sanitaria in un determinato paese – cerco una metafora diversa che renda giustizia di quanto stiamo vivendo e soffrendo e che offra elementi di speranza e sentieri di senso per i giorni che ci attendono.
Il ricorso alla metafora bellica è stato evidenziato e criticato da alcuni commentatori, ma ha un fascino, un’immediatezza e un’efficacia che non è facile debellare (appunto).
E’ possibile trovare una metafora alternativa? Le decine di artisti, studiosi, intellettuali, attori invitati a scegliere e illustrare una parola significativa in questo momento storico hanno fornito un preziosissimo vocabolario che spazia da “armonia” a “vicinanza”, ma fatico a trovarvi un termine che possa fungere anche da metafora per l’insieme della narrazione della realtà che ci troviamo a vivere. Eppure, come dicevo da subito, non mi rassegno: non siamo in guerra!
Per storia personale, formazione e condizione di vita, conosco bene un crinale discriminante, quello tra lotta spirituale e guerra santa o giusta, lungo il quale è facile perdere l’equilibrio e cadere in una lettura di se stessi, delle proprie vicende e del corso della storia secondo il paradigma della guerra.
Ma allora, se non siamo in guerra, dove siamo? Siamo in cura!
Non solo i malati, ma il nostro pianeta, tutti noi non siamo in guerra ma siamo in cura. E la cura abbraccia – nonostante la distanza fisica che ci è attualmente richiesta – ogni aspetto della nostra esistenza, in questo tempo indeterminato della pandemia così come nel “dopo” che, proprio grazie alla cura, può già iniziare ora, anzi, è già iniziato.
Ora, sia la guerra che la cura hanno entrambe bisogno di alcune doti: forza (altra cosa dalla violenza), perspicacia, coraggio, risolutezza, tenacia anche... Poi però si nutrono di alimenti ben diversi. La guerra necessita di nemici, frontiere e trincee, di armi e munizioni, di spie, inganni e menzogne, di spietatezza e denaro... La cura invece si nutre d’altro: prossimità, solidarietà, compassione, umiltà, dignità, delicatezza, tatto, ascolto, autenticità, pazienza, perseveranza... Per questo tutti noi possiamo essere artefici essenziali di questo aver cura dell’altro, del pianeta e di noi stessi con loro. Tutti, uomini e donne di ogni o di nessun credo, ciascuno per le sue capacità, competenze, principi ispiratori, forze fisiche e d’animo.
Sono artefici di cura medici di base e ospedalieri, infermieri e personale paramedico, virologi e scienziati... Sono artefici di cura i governanti, gli amministratori pubblici, i servitori dello stato, della res publica e del bene comune... Sono artefici di cura i lavoratori e le lavoratrici nei servizi essenziali, gli psicologi, chi fa assistenza sociale, chi si impegna nelle organizzazioni di volontariato... Sono artefici di cura maestre e insegnanti, docenti e discenti, uomini e donne dell’arte e della cultura... Sono artefici di cura preti, vescovi e pastori, ministri dei vari culti e catechisti... Sono artefici di cura i genitori e i figli, gli amici del cuore e i vicini di casa... Sono artefici – e non solo oggetto – di cura i malati, i morenti, i più deboli, beni preziosi e fragili da “maneggiare con cura”, appunto: i poveri, i senza fissa dimora, gli immigrati e gli emarginati, i carcerati, le vittime delle violenze domestiche e delle guerre... Per questo la consapevolezza di essere in cura – e non in guerra – è una condizione fondamentale anche per il “dopo”: il futuro sarà segnato da quanto saremo stati capaci di vivere in questi giorni più difficili, sarà determinato dalla nostra capacità di prevenzione e di cura, a cominciare dalla cura dell’unico pianeta che abbiamo a disposizione. Se sappiamo e sapremo essere custodi della terra, la terra stessa si prenderà cura di noi e custodirà le condizioni indispensabili per la nostra vita. Le guerre finiscono – anche se poi riprendono non appena si ritrovano le risorse necessarie – la cura invece non finisce mai. Se infatti esistono malattie (per ora) inguaribili, non esistono né mai esisteranno persone incurabili. Davvero, noi non siamo in guerra, siamo in cura!
Curiamoci insieme.

Buona Pasqua

Don Giuseppe, don Roberto, don Paolo, don Giampaolo

 

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letterina 20200405 - Pasqua con... i tuoi

Pasqua con... i tuoi

Non potremo celebrare la Pasqua insieme, nelle nostre chiese, come Comunità. E tuttavia dobbiamo in ogni caso “celebrare la Pasqua”. Ma come? La celebreremo nelle case.
Come il popolo di Israele in esilio – quando appunto era senza tempio, senza sacerdoti – ha iscritto la celebrazione della Pasqua nella ritualità familiare, così dovremmo imparare a celebrare nelle case, ponendo al centro la Parola di Dio. La memoria della Pasqua è al cuore delle Scritture, è il momento culmine della vita di Gesù: la celebra perché i suoi discepoli non si perdano nella prova, e questo è drammaticamente vero per noi oggi.
Celebriamo la Pasqua “restando a casa”. Lo spazio della casa è chiamato a diventare luogo del culto spirituale, dove «offrire i vostri corpi» (Rm 12,1), come dice Paolo. Le relazioni più intime, se vere, se vissute in Cristo, diventano «tempio dello Spirito» (1Cor 6,19). 
Accade già, ogni giorno, nella cura del cibo, nella cura del corpo, nella malattia, nell’amore... ma ora tutto questo deve essere celebrato in memoria della Pasqua di Gesù. Ogni famiglia deve inventarsi uno spazio con dei segni che richiamino la fede: un cero, un crocifisso, una tovaglia particolare che viene messa sulla tavola nei momenti celebrativi... colta le tue preghiere forse ancora di più perché segrete!
Le chiese rimangono aperte perché rappresentano il segno che la fede non mai un fatto individualistico e neppure “familistico”.
C’è una famiglia più grande, nella quale ciascuno è inserito, di cui sentirsi parte, fratelli e sorelle e tutti insieme figli e figlie. Per questo serve una parola che venga dalla Chiesa. Quale e come? Ascoltare la predicazione del papa ci fa sentire parte di una Chiesa universale, ascoltare la parola del Vescovo ci inserisce nella Chiesa particolare di cui siamo parte; poter ascoltare anche una parola che viene dalla nostra parrocchia, richiama il legame più prossimo con una concreta comunità di credenti. Per questo è utile che i mezzi di comunicazione rendano possibile ascoltare, restando a casa la parola della Chiesa.
Forse questa “emergenza” è l’occasione perché «emerga» il popolo di Dio come soggetto vivo della fede. Non come soggetto passivo, che assiste ad un rito che altri per lui celebrano, ma che si scopre «popolo sacerdotale», in grado di celebrare. È un’occasione unica, non avremo – speriamo – molte altre opportunità che ci costringano a compiere quel salto di qualità che il Concilio ci ha indicato ma che fatichiamo così tanto a mettere in opera.
Ma allora che suggerimenti potremmo dare per celebrare il Triduo pasquale nelle case? Qui provo solo a dare qualche spunto minimo.

Giovedì Santo
Giovanni nel suo Vangelo non riporta l’ultima cena ma la lavanda dei piedi. Potrebbe questo essere un rito che in casa ogni componente può ripetere l’un l’altro, per ricordare che l’eucaristia è celebrata quando ci mettiamo a servizio gli uni degli altri. Poi si potrebbero rileggere i testi che istituiscono il memoriale (dal libro dell’Esodo, dalla prima lettera di Paolo ai Corinti, dai Sinottici). Non possiamo celebrare l’Eucaristia in casa, ma spezzare un pane e condividerlo può rimandare al senso di quello che ogni domenica viviamo con tutti i credenti.

Venerdì Santo
Al centro del Venerdì Santo c’è la croce di Gesù e il racconto della sua morte. Diventa importante scegliere una croce da mettere al centro, che sia quella che poi ogni volta ci invita a pregare. Davanti alla croce, tre momenti: il racconto della passione e morte del Signore; il bacio alla croce (che diventa intimo, familiare, passando il crocifisso di mano in mano); e una preghiera universale, perché la croce ci raccoglie tutti

Sabato Santo
Questo è un giorno particolare dove regnano il silenzio e l’assenza di celebrazioni. Abbiamo vissuto tutta la quaresima come un lungo Sabato Santo di silenzio e senza riti. Allora questo giorno lo si potrebbe consacrare al silenzio. Si pongono i segni (una candela spenta, un crocifisso coperto, una tavola spoglia) ma sono segni dell’assenza. Vivere la mancanza come grembo del desiderio, come tempo nel quale prepararsi all’incontro. In casa si potrebbe preparare tutto quello che poi nel giorno successivo, vuole essere motivo di festa: il cibo, i fiori, un disegno...

Domenica di Pasqua
La domenica di Pasqua la si vive come ogni domenica senza la celebrazione della messa in chiesa. Una celebrazione della Parola che si conclude con una festa, il pranzo condiviso nella gioia. Senza dimenticare chi è solo: si potrebbe decidere di telefonare a amici e parenti, a chi sappiamo essere solo per uno scambio di auguri, per dare una parola di vicinanza e di speranza.

Sono solo suggerimenti di gesti minimi. Ma offrono l’occasione per iscrivere la fede e la sua celebrazione nella vita quotidiana, tra le mura di casa.
Ora, un Triduo strano come questo, va preparato.
«Dove vuoi che prepariamo per celebrare la Pasqua?» (Mt 26,17) chiedono i discepoli a Gesù. Scopriamo anche questo: non si celebra la Pasqua se non la prepariamo.

La Pasqua non la si assiste, la si celebra e quindi ci si prepara, forse questa volta come mai prima.

 

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letterina 20200329 - E i sacramenti?

E i sacramenti?

Il nostro Vescovo Francesco, più volte in questo tempo raggiunge sacerdoti e Comunità attraverso proposte, riflessioni e indicazioni. Lo ringraziamo di cuore. Tra queste ce ne sono alcune che sottopongo anche a voi riguardanti la vita delle nostre parrocchie.
-“Desideriamo manifestare la nostra vicinanza a tutti e a ciascuno, consapevoli che, con il passare dei giorni, le forze e le energie si assottigliano, ma che proprio noi possiamo rappresentare una risorsa spirituale inesauribile, non per particolari qualità, ma per il dono che abbiamo ricevuto: quello di poter attingere alla sorgente inesauribile della speranza che è il Signore Vivente e il suo Spirito.
Percorriamo con tutti la strada del Calvario, ma ugualmente vorremmo condurre tutti a quel sepolcro vuoto che è segno non di un’ultima assenza, ma porta di un passaggio che Gesù ha aperto definitivamente. Per questo non cessiamo di pregare e celebrare, certamente per i malati, le loro famiglie, i medici e gli operatori sanitari, per le autorità e tutti coloro che sostengono le condizioni essenziali del nostro vivere comune, ma celebriamo e preghiamo anche per tutti i nostri defunti.
...Certamente, nel momento in cui potremo riprendere la vita comunitaria, individueremo sia a livello diocesano, sia a livello parrocchiale, le modalità per celebrare la nostra fede in Cristo Crocifisso e Risorto, primizia di coloro che sono morti, per innalzare nell’Eucaristia il suffragio per tutti i defunti e per donare ai loro cari la consolazione, frutto di questa fede”.
-Per quanto riguarda i Sacramenti dell’Unzione degli infermi e della Confessione, si prevede il dono dell’indulgenza e in alcuni casi la possibilità di donare l’assoluzione generale. Nel limite del possibile, le persone destinatarie dell’assoluzione generale devono essere consapevoli del gesto santo compiuto su di loro e per loro, fatti salve le situazioni in cui le persone non possono più essere coscienti. Per altre situazioni è meglio suggerire la formula della confessione di desiderio, che anche il Papa ha proposto nell’omelia del 20 marzo.
-Per la Settimana Santa e la Pasqua di Risurrezione. Gli orientamenti annunciati e la situazione che sta sotto i nostri occhi aprono la prospettiva che prevede l’impossibilità di celebrare questi riti così significativi con la presenza della Comunità. Ritengo comunque, che, nelle modalità adeguate, sia importante che vengano celebrati, che la Comunità lo sappia e sia coinvolta nei modi più opportuni, che si immagini un segno pasquale che possa raggiungere tutte le nostre case, nelle modalità rispettose delle misure imposte.
-Vi è un altro aspetto importante della vita comunitaria, che viene investito da questo stravolgimento di abitudini e tradizioni che ci appartengono: si tratta della celebrazione delle Prime Confessioni, Prime Comunioni e Cresime. Se per le prime, i calendari, i percorsi catechistici, il coinvolgimento dei genitori, sono fortemente connotati dalle scelte che ogni parrocchia ha sempre assunto in modo autonomo, per quanto riguarda le Cresime, il coinvolgimento della diocesi, particolarmente per la distribuzione dei ministri (Vescovo e Ministri straordinari) è più evidente. Sono consapevole che la dimensione della festa familiare è un aspetto da non sottovalutare, e nello stesso tempo che questa situazione di emergenza eccezionale ne condiziona le caratteristiche. Alla luce di tutto questo, ritengo che le date delle celebrazioni di Confessioni e Prime Comunioni siano stabilite dai Parroci, con i loro Consigli e con i genitori, così come è sempre avvenuto. Per quanto riguarda la celebrazione delle Cresime, vengono spostate a dopo l’estate, mantenendo nel limite del possibile l’organigramma attuale”.
Alla luce di tutto questo e in sintonia con le Parrocchie della Fraternità, viene sospesa, nelle Comunità di Burligo e Palazzago, la celebrazione dei Sacramenti come avevamo stabilito nella Guida Pastorale, (19 aprile Prima Confessione, 10 e 17 maggio Prima Comunione, 23 e 31 maggio Cresima) rimandandola agli inizi del nuovo anno pastorale ( settembre, ottobre...) nelle date che, appena possibile, cercheremo di stabilire insieme. Continuiamo a sentirci uniti nel ricordo, nell’affetto, nella preghiera e nelle forme che stiamo utilizzando.

+Francesco

 

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letterina 20200322 - La telefonata del Papa

La telefonata del Papa

Questa mattina [mercoledì 18 marzo] mi ha chiamato al telefono Papa Francesco.
Il Santo Padre è stato molto affettuoso manifestando la sua paterna vicinanza, a me, ai sacerdoti, ai malati, a coloro che li curano e a tutta la nostra Comunità. Ha voluto chiedere dettagli sulla situazione che Bergamo sta vivendo, sulla quale era molto informato.
È rimasto molto colpito dalla sofferenza per i moltissimi defunti e per il distacco che le famiglie sono costrette a vivere in modo così doloroso. Mi ha pregato di portare a tutti e a ciascuno la sua benedizione confortatrice e portatrice di grazia, di luce e di forza. In modo particolare mi ha chiesto di far giungere la sua vicinanza ai malati e a tutti coloro che in diverso modo stanno prodigandosi in modo eroico per il bene degli altri: medici, infermieri, autorità civile e sanitarie, forze dell’ordine. Un sentimento di profondo compiacimento lo ha espresso verso i nostri sacerdoti, colpito dal numero dei morti e dei ricoverati, ma anche impressionato in positivo dalla fantasia pastorale con cui è stata inventata ogni forma possibile di vicinanza alle famiglie, agli anziani e ai bambini, segno della vicinanza stessa di Dio. Papa Francesco ha promesso che ci porta nel suo cuore e nelle sue preghiere quotidiane.
Questo suo gesto così delicato di premura e la sua benedizione di padre è stata una eco, una continuazione, una realizzazione concreta per me e sono convinto per l’intera diocesi e per ciascuno di quella carezza del nostro santo Giovanni XXIII che ieri abbiamo invocato nella supplica e che la natura con i primi germogli di primavera ci sta riconsegnando.

+Francesco

 

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