letterina 20081228

L'affondo

Tempo

Ciao 2008, grazie di averci svelato il volto di Dio, grazie per le cose belle che abbiamo scoperto, pazienza per quelle dolorose che abbiamo sopportato. Stiamo per celebrare il rito del cambio d’anno, una specie di concessione scaramantica al paganesimo, dopo avere celebrato devotamente il Bambinello Gesù. Notte di eccessi per molti, Capodanno diventa l’occasione, per i discepoli, di meditare sul tempo.

Il tempo che è dono di Dio, occasione per scoprire come vedremo, i passi di un Dio che cammina con noi.

Sappiamo che l’anno che inizia sarà molto simile a quello

trascorso, eppure, potenza dell’ottimismo umano, speriamo tutti che cambi qualcosa, che migliori la nostra vita, che ci porti di più gioia…

Il tempo che passa è solo l’occasione per aprire il cuore a una

dimensione di tempo più vera e profonda, eterna e intensa, di cui scopriamo le tracce in questa vita.

Un pensiero particolare a coloro che vivranno nel dolore questa serata, soli o stanchi. Il vostro Angelo custode vi dia un briciolo di buon umore per festeggiare nel silenzio della vostra stanza.

Siamo nelle mani di Dio, amici, siamo completamente e definitivamente abbandonati a lui.

Buon anno di cuore.


 

letterina 20081221

L'affondo

Natale: la voce che sale

Giocare con le parole a volte fa emergere aspetti inediti, caleidoscopi di significati che vanno ben oltre l’assonanza dei termini e ti rivela l’uomo così come è.

In questa settimana di Natale, tento questo gioco con tre , inanellate e progressive:

Fatto, sfatto, disfatto.

“Ma ci sei o ti fai?” si sentiva come un tormentone qualche tempo fa, non solo tra i più giovani.

Oppure:”Guarda quello, s’è appena fatto” e non ha molto a che vedere con la persona che si è fatta da sé, senza appoggi o bustarelle…

Fatto” diventa un modo di porsi di fronte agli altri e nella vita di relazione, al punto che uno non va in discoteca o al pub se non con la carica giusta.

E se la nonna a questo gergo chiede “fatto da chi?” (perché ha in mente il fare, il costruire), il nipote semmai chiede “fatto di cosa?”

Poi ti trovi a parlare con loro mentre sono “fatti” e non sai bene se quello è l’unico momento di verità (perché li senti anche andare oltre la crosta delle solite cose) o se è un altro modo di mascherarsi.

Che peso dare, ad esempio, a un “ti voglio bene” detto da uno “fatto”? E quale, a un “perché Dio non mi risponde”? o ancora “ai miei interessano solo i soldi e la bella casa?”

Eppure qualcosa passerà anche da lì!

Il gioco continua con lo sfatto: modo di fare e stile di vita solo apparentemente trascurato, perché costruito a tavolino con gli accessori giusti, più che il modo di vestirsi del classico bravo ragazzo.

Strappi al punto giusto, lacci a penzoloni, pantaloni a cavallo basso, felpa rigorosamente con cappuccio sulla testa.

Molto tempo per vestirsi da “sfatti”, a dispetto di ciò che poi appare come noncuranza o improvvisazione.

La sensazione comunicata a fior di pelle è che comunque uno “fatto” o “sfatto”, sia sempre anche un po’ “dis-fatto”.

Dis-fatto rispetto alle relazioni,

dis-fatto rispetto alle regole di navigazione,

dis-fatto rispetto alla posta in gioco dell’esistenza.

Poi arriva Natale e, paradossalmente, ti viene consegnato un Dio che nel bambino del presepe si è “fatto”.

Ma “fatto uomo”.

Fatto “persona”.

Il Vangelo che non era ancora stato scritto, si stava facendo nella carne di una donna.

Il Verbo si fa persona.

Letteralmente, si fa “voce che sale”.

Pensa: vivere il Natale come “voce che sale” e ti prende tutto.

Lo scorso anno, vedevo i sorrisini di alcuni adolescenti durante la messa, al canto:

Dio s’è fatto come noi, per farci come lui…”

Mi pareva di leggere in loro la sorpresa per un linguaggio abbastanza familiare.

Magia del Natale!

Ma non sarà che Dio si è “fatto uomo” proprio per questo uomo sempre più “sfatto” e “dis-fatto?”

Articolo del parroco di Palazzago pubblicato su L’Eco di Bergamo il 23 dicembre 2008

 

letterina 20081207

L'affondo

Attesa

 

Attesa sostantivo del verbo sperare. E questo è un verbo che si coniuga sempre al futuro; “non possiede” né il passato, né il presente. Ciò che è stato ieri non si spera, si ricorda; e ciò che è oggi, accade, si vive! Solo il domani si aspetta. Attendere è un verbo che necessita un complemento oggetto e di un complemento di modo o maniera. Non preoccuparti; non stai leggendo una pagina di sintassi grammaticale, ma… una riflessione di vita che vorrei condividere con te, una riflessione sulla nostra vita.

Dicono che l’Avvento sia il tempo dell’attesa per eccellenza, io dico che tutta la nostra esistenza è e dovrebbe essere un Avvento. Ad uno sguardo superficiale l’atteggiamento potrebbe apparirci come qualcosa di statico, di fermo: aspetto inerme che qualcosa accada, perché tanto ciò che l’esistenza ha deciso accadrà! Più o meno la stessa cosa quando il rosso di un semaforo ci costringe a fermarci nell’attesa del verde; o quando alla fermata del tram aspettiamo che esso arrivi! Ora fermati su questi due esempi! Cosa fai, cosa pensi, cosa decidi in quel tempo che intercorre tra il rosso e il verde? in quel tempo di attesa? Prova a rispondere! È importante! È importante perché noi siamo le nostre attese. Il come aspettiamo (complemento di modo o maniera) non è meno importante del che cosa aspettiamo (complemento oggetto) se…aspettiamo. A questo proposito scriveva don Tonino Bello: “la vera tristezza non è quando la sera non sei atteso da nessuno al rientro in casa tua, ma quando tu non attendi più nulla dalla vita. È tristezza quando non aspetti più neppure “la vita del mondo che verrà” quando pensi che oramai i giochi sono fatti, che la musica è finita, gli amici se ne vanno”…Hanno detto che la santità di una persona si commisura con lo spessore delle sue attese. Se questo è vero, aspettare non è solo una questione spazio-temporale, ma è anche e soprattutto una questione affettivo-spirituale; una questione che va a toccare le corde più intime di me, dei miei sentimenti e delle mie speranze, dei miei sogni! L’attesa non ci mette solo in relazione con il trascorrere del tempo (crono), proiettandoci nell’attesa di…, ma ci fa vivere il qui e ora con quegli atteggiamenti che, a seconda della mia decisione, faranno la differenza (kairos) non soltanto nel e per il nostro attendere quotidiano, ma anche nella e per la nostra intera esistenza e in particolare per quell’ora in cui sentiamo alla fine il grido “ecco lo sposo”, grido che il “complemento oggetto” ultimo di ogni attesa umana, omega della nostra esistenza terrena che ognuno di noi attende, consapevole o no. Verità ultima dell’Avvento!

Beati coloro che sanno attendere ogni giorno con gli occhi semplici e curiosi di un bambino perché, anche quando i sogni sono infranti, la speranza non li abbandonerà mai.

Suor Donatella Alessio del Caritas Baby Hospital di Betlemme

 

 

letterina 20081130

L'affondo

“STATO INTERESSANTE”

Sarà per la statua della Madonna incinta che ho spesso davanti agli occhi -raramente ma teneramente fissata in quei nove mesi che lei pure avrà vissuto col pancione- ma pensare all’Avvento e all’attesa, mi richiama immediatamente un grembo. Non per niente, di una donna incinta si dice “in attesa” ma, anche, la si colloca in uno “stato interessante”. Questa è bella: l’attesa è interessante e, forse proprio per questo, ogni anno ci misuriamo con essa. E in questo “stato interessante” la “tensione” non finisce mai: cosa mi succede? Ce la farò? Posso muovermi liberamente? Sarà sano? E se mangio qualcosa di piccante? Se faccio degli sforzi? Posso continuare a ballare? Sarà maschio o femmina? Avrà i begli occhi del papà?

La tensione per ciò che sarà diventa attenzione per ciò che già c’è e si sente. Forse, questo tempo, dovrebbe poter coniugare tensione e attenzione.

Ecco quindi l’Avvento: l’esatto contrario della disattenzione.

Ma allora attendere è vocazione all’attenzione, simile a quella di una madre che custodisce la vita nel grembo; molto vicina allo sguardo del contadino sul campo seminato, d’inverno. Uguale al fremito per lo squillo del telefono con una voce tanto desiderata. Attendere è sentire tua la sorte di ogni creatura. E’ vivere tra le stranezze dell’uomo e le consolazioni di Dio. Attendere è tensione per il bello, il giusto, il vero. E poiché “il pericolo non sta nella partenza e nemmeno nell’arrivo. Il rischio è la traversata” (Joào Guimaràes Rosa), esso è pure ricerca di una stella polare e obbedienza a qualche regola di navigazione. E’ già e non-ancora. E’ Proprio perché “è”, l’attesa si trasforma in “c’è”.

Avvento-Natale: l’”è” e il “c’è” di Dio, per l’uomo.

E per il suo at-tendere.

Questo è veramente uno “stato interessante”…

P.S.: articolo apparso su L’Eco di Bergamo martedì 25 novembre 2008