Giocare con le parole a volte fa emergere aspetti inediti, caleidoscopi di significati che vanno ben oltre l’assonanza dei termini e ti rivela l’uomo così come è.
In questa settimana di Natale, tento questo gioco con tre , inanellate e progressive:
Fatto, sfatto, disfatto.
“Ma ci sei o ti fai?” si sentiva come un tormentone qualche tempo fa, non solo tra i più giovani.
Oppure:”Guarda quello, s’è appena fatto” e non ha molto a che vedere con la persona che si è fatta da sé, senza appoggi o bustarelle…
“Fatto” diventa un modo di porsi di fronte agli altri e nella vita di relazione, al punto che uno non va in discoteca o al pub se non con la carica giusta.
E se la nonna a questo gergo chiede “fatto da chi?” (perché ha in mente il fare, il costruire), il nipote semmai chiede “fatto di cosa?”
Poi ti trovi a parlare con loro mentre sono “fatti” e non sai bene se quello è l’unico momento di verità (perché li senti anche andare oltre la crosta delle solite cose) o se è un altro modo di mascherarsi.
Che peso dare, ad esempio, a un “ti voglio bene” detto da uno “fatto”? E quale, a un “perché Dio non mi risponde”? o ancora “ai miei interessano solo i soldi e la bella casa?”
Eppure qualcosa passerà anche da lì!
Il gioco continua con lo sfatto: modo di fare e stile di vita solo apparentemente trascurato, perché costruito a tavolino con gli accessori giusti, più che il modo di vestirsi del classico bravo ragazzo.
Strappi al punto giusto, lacci a penzoloni, pantaloni a cavallo basso, felpa rigorosamente con cappuccio sulla testa.
Molto tempo per vestirsi da “sfatti”, a dispetto di ciò che poi appare come noncuranza o improvvisazione.
La sensazione comunicata a fior di pelle è che comunque uno “fatto” o “sfatto”, sia sempre anche un po’ “dis-fatto”.
Dis-fatto rispetto alle relazioni,
dis-fatto rispetto alle regole di navigazione,
dis-fatto rispetto alla posta in gioco dell’esistenza.
Poi arriva Natale e, paradossalmente, ti viene consegnato un Dio che nel bambino del presepe si è “fatto”.
Ma “fatto uomo”.
Fatto “persona”.
Il Vangelo che non era ancora stato scritto, si stava facendo nella carne di una donna.
Il Verbo si fa persona.
Letteralmente, si fa “voce che sale”.
Pensa: vivere il Natale come “voce che sale” e ti prende tutto.
Lo scorso anno, vedevo i sorrisini di alcuni adolescenti durante la messa, al canto:
” Dio s’è fatto come noi, per farci come lui…”
Mi pareva di leggere in loro la sorpresa per un linguaggio abbastanza familiare.
Magia del Natale!
Ma non sarà che Dio si è “fatto uomo” proprio per questo uomo sempre più “sfatto” e “dis-fatto?”
Articolo del parroco di Palazzago pubblicato su L’Eco di Bergamo il 23 dicembre 2008