letterina 20090726

L'affondo

 

Lettera ai cercatori di Dio


Iniziamo a leggere alcuni passaggi della lettera inviata dai Vescovi Italiani

I LE DOMANDE CHE CI UNISCONO

1c.  Quale felicità?


Facciamo fatica ad accettare la scuola della sofferenza per scoprire che cosa sia la vita e la felicità. Nonostante tutte le nostre riflessioni e le nostre proteste, infatti, la debolezza, il dolore, la morte rimangono un mistero. La cultura moderna, non sapendo dare una risposta a queste sfide, cerca di nasconderle con l’ebbrezza del consumismo, del piacere, del divertimento, del non pensarci. In tal modo, però, si nega il significato profondo della debolezza e della vulnerabilità umane e se ne ignora sia il peso di sofferenza, sia il valore e la dignità: e questo rende interiormente aridi e induce a vivere in modo superficiale.  
L’esperienza della fragilità, del limite, della malattia e della morte può insegnarci alcune cose fondamentali. La prima è che non siamo eterni: non siamo in questo mondo per rimanerci per sempre; siamo pellegrini, di passaggio. La seconda è che non siamo onnipotenti: nonostante i progressi della scienza e della tecnica, la nostra vita non dipende solo da noi, la nostra fragilità è segno evidente del limite umano. Infine, l’esperienza della fragilità ci insegna che i beni più importanti sono la vita e l’amore: la malattia, ad esempio, ci costringe a mettere nel giusto ordine le cose che contano davvero.  

La fragilità è una grande sfida anche per la fede nel Dio di Gesù Cristo.  
Il Signore ci ha creati per la vita, per la felicità. Perché, allora, permette il dolore, l’invecchiamento, la morte? Quante domande di fronte a un dolore o a un lutto che fa sanguinare il cuore! Si può perfino dire che la sofferenza e la morte sono la più grossa sfida contro Dio. C’è chi si è dichiarato “ateo” per amore di Dio, per giustificare la sua assenza e il suo silenzio davanti al dolore innocente.


 

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letterina 20090719

L'affondo

 

Lettera ai cercatori di Dio

 
Iniziamo a leggere alcuni passaggi della lettera inviata dai Vescovi Italiani

I LE DOMANDE CHE CI UNISCONO

1b.  L’esperienza della fragilità


Come credenti, abbiamo una convinzione irrinunciabile, che ci viene dalla nostra esperienza cristiana. Su di essa cerchiamo il confronto con tutti coloro che preferiscono la vita alla morte e cercano la felicità come la qualità profonda di questa stessa vita. La vita è bella nonostante tutte le prove e le disavventure, perché esistiamo e sperimentiamo l’amore. Non per tutti, certo, è così. La vita è segnata in tutte le sue fasi e le sue forme dalla fragilità: la fragilità del nascituro, del bambino, dell’anziano, del malato, del povero, dell’abbandonato, dell’emarginato, dell’immigrato, del carcerato. In tutte le età ci sono sofferenze fisiche, psichiche, sociali. Come avviene per la felicità, anche l’esperienza del dolore ci accomuna tutti. Come in ogni situazione umana si sperimenta la fragilità, così ogni ambiente vitale è frutto di un fragile equilibrio. Nei volti delle famiglie ci sono spesso più lacrime da asciugare che sorrisi da raccogliere. Nella vita ci sono sofferenze che arrivano contro ogni nostra aspettativa e ci sono anche sofferenze che nascono dai nostri errori e dalle nostre colpe, quelle che costruiamo con le nostre mani: quando, ad esempio, diamo la prevalenza all’avere sull’essere; quando ci carichiamo di cose inutili; quando diamo la precedenza alle cose sulle persone, agli interessi materiali sugli affetti. La fragilità rimane una grande sfida: da sempre essa ha suscitato interrogativi, problemi, dubbi. Un personaggio della Bibbia è diventato una sorta di riferimento per coloro che hanno il coraggio di riflettere sul dolore. Si tratta di Giobbe: con il suo nome chiamiamo chi soffre ingiustamente e chi giustamente ha motivi per lamentarsi. Con Giobbe ci chiediamo: perché dobbiamo soffrire e morire?
Molti non conoscono le parole che la Bibbia mette sulle labbra di Giobbe nel momento in cui il contatto con il dolore diventa bruciante. Parole simili, forse, le abbiamo gridate noi stessi, una o tante volte:
Perisca il giorno in cui nacqui... Perché non sono morto fin dal seno di mia madre e non spirai appena uscito dal grembo? Perché due ginocchia mi hanno accolto, e due mammelle mi allattarono? ... Come lo schiavo sospira l’ombra e come il mercenario aspetta il suo salario, così a me sono toccati mesi di illusione e notti di affanno mi sono state assegnate... Ricordati che un soffio è la mia vita, il mio occhio non rivedrà più il bene.
(Giobbe 3,3. 11-12; 7,2-3. 7)

 

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letterina 20090712

L'affondo

 

Lettera ai cercatori di Dio

 
Iniziamo a leggere alcuni passaggi della lettera inviata dai Vescovi Italiani

I LE DOMANDE CHE CI UNISCONO

1. FELICITÀ’ E SOFFERENZA

Siamo cercatori di felicità, appassionati e mai sazi. Questa inquietudine ci accomuna tutti. Sembra quasi che sia la dimensione più forte e consistente dell’esistenza, il punto di incontro e di convergenza delle differenze. Non può essere che così: è la nostra vita quotidiana il luogo da cui sale la sete di felicità. Nasce con il primo anelito di vita e si spegne con l’ultimo. Nel cammino tra la nascita e la morte, siamo tutti cercatori di felicità. Certo, questa esperienza comune si frastaglia in mille direzioni differenti. Tutti possiamo riconoscerci nel bisogno di felicità:
ma quale felicità cerchiamo? come la cerchiamo? quali strumenti ce ne assicurano il possesso? e gli altri, in questa appassionata ricerca, che posto hanno?
Qualcuno ha accusato la tradizione cristiana di opporsi alla voglia di felicità, di guardare eccessivamente al futuro dimenticando il presente. Qualche volta è stato contestato ai credenti in Cristo l’eccessivo prezzo da pagare per assicurare la felicità, o si sono loro rimproverati i modelli dal sapore rinunciatario, persino un poco masochista, presentati come condizione per raggiungere la felicità. Qualcuno è arrivato alla decisione di dover liberare l’uomo da Dio per restituirgli il diritto alla felicità.
Le provocazioni ci sfidano e ci aiutano a pensare, facendoci riscoprire alla radice dell’esperienza cristiana la figura di Gesù, che ci ha offerto il volto di un Dio amante della vita e della felicità dell’uomo. Peraltro, le crisi nel rapporto tra vita e felicità non riguardano solo noi cristiani. Chiunque ama la vita e cerca la gioia duratura per sé e per gli altri, non riuscirà certamente ad accontentarsi di proposte che legano la felicità unicamente al possesso, alla conquista, al potere, al solo piacere, all’egoismo personale o di gruppo.

 

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letterina 20090705

L'affondo

 

Vivere delle sorgenti


Di che cosa vivo io?
Io vivo di persone, innanzitutto. Mi fanno vivere le persone, dall’amore che mi ha concepito, agli incontri di ogni giorno, a sguardi che aprono oceani ed evitano naufragi, o semplicemente quando mi accorgo che a qualcuno importa di me e della mia vita. Io vivo dei miei desideri, delle mie passioni,: per la bellezza, per la musica, per la natura, per l’arte, per tutti quei germi di vita che la mano viva del Creatore ha messo dentro di me e che devono fiorire in pienezza, grano che deve raggiungere l’altezza del cuore. Io vivo delle mie sorgenti, come un fiume che vive se vivono perenni le sue sorgenti, come un albero vive delle sue radici. Io vivo di ogni cosa che apre nei miei giorni la dimensione del trascendente, e ne fa una vita verticale.
La Parola che crea universi, che disegna mondi, che semina futuro, "la Parola di Dio opera in voi che credete" (1Ts 2,13), "è viva ed efficace" (Eb 4,12): orienta, illumina, traccia strade, seduce, semina, abbatte le chiusure, penetra, pronuncia il mio nome più vero, la mia origine e il mio futuro. Ma soprattutto la Parola mi genera:"Ci ha generati con una parola di verità" (Gc 1,18) e poi ancora mi "rigenera da un seme immortale" (1Pt 1,23). Io vivo perché Dio pronuncia, ora, il mio nome, perché lui mi pronuncia.
La Parola è un incremento di vita in noi: questa è l’esperienza di ogni ritorno alle sorgenti.

Ermes Ronchi


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letterina 20090628

L'affondo

 

Dio ha un pensiero


Dio non basta accoglierlo, occorre saper accogliere un Dio diverso da come te lo aspettavi. E’ il Dio dei ribaltamenti. Giovanni uomo austero, fuori da ogni moda, che non concentra su di sé, ma rimanda ad un altro, che non predica sulle piazze ma nel deserto, che non va a cercare la gente ma è la gente ad andare da lui. Grida e vive nel deserto e nel silenzio, nel luogo dove ognuno è ripulito dall’abitudine e ritrova il suo splendore e la sua forza originaria, dove ci sono parole che ti trasformano. Giovanni richiama un’esigenza fondamentale per ognuno: ri-ordinare la propria esistenza. Giovanni con la sua austera coerenza e il suo distacco da ogni ambizione personale, sembra sbatterci in faccia la domanda. "Chi sei?".
La gente va da lui a chiedere:"Cosa dobbiamo fare?"
La sua risposta è sempre pratica e riguarda la giustizia:"Non esigete niente di più di quanto fissato"; la carità :"Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ce l’ha"; il rispetto:"Non maltrattate, né estorcete niente a nessuno". Chiede di rimanere al proprio posto in modo diverso.
Giovanni è figlio di Zaccaria e Zaccaria in ebraico significa: Dio ha un pensiero. Ecco il pensiero e il sogno di Dio: trovare persone come Giovanni che non hanno bisogno di protagonismo, né di cercare proseliti e tantomeno di rumore.
Prima di partorire Giovanni, Elisabetta sua madre, rimane chiusa cinque mesi in casa per la vergogna di essere incinta a quell’età, e suo padre Zaccaria resta muto per tre mesi per la sua mancanza di fiducia. Ci vuole silenzio e umiltà quando Dio si fa così vicino.


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letterina 20090621

L'affondo

 

Preghiera per l'anno sacerdotale

Signore Gesù, che in san Giovanni Maria Vianney hai voluto donare alla Chiesa una toccante immagine della tua carità pastorale, fa' che,in sua compagnia e sorretti dal suo esempio, viviamo in pienezza quest'Anno Sacerdotale.
Fa' che, sostando come lui davanti all'Eucaristia, possiamo imparare quanto sia semplice e quotidiana la tua parola che ci ammaestra; tenero l'amore con cui accogli i peccatori pentiti; consolante l'abbandono confidente alla tua Madre Immacolata.
Fa', o Signore Gesù, che, per intercessione del Santo Curato d'Ars, le famiglie cristiane divengano « piccole chiese », in cui tutte le vocazioni e tutti i carismi, donati dal tuo Santo Spirito, possano essere accolti e valorizzati. Concedici, Signore Gesù, di poter ripetere con lo stesso ardore del Santo Curato le parole con cui egli soleva rivolgersi a Te:
« Ti amo, o mio Dio, e il mio solo desiderio è di amarti fino all'ultimo respiro della mia vita.
Ti amo, o Dio infinitamente amabile, e preferisco morire amandoti piuttosto che vivere un solo istante senza amarti.
Ti amo, Signore, e l'unica grazia che ti chiedo è di amarti eternamente.
Mio Dio, se la mia lingua non può dirti ad ogni istante che ti amo, voglio che il mio cuore te lo ripeta tante volte quante volte respiro.
Ti amo, o mio Divino Salvatore, perché sei stato crocifisso per me, e mi tieni quaggiù crocifisso con Te. Mio Dio, fammi la grazia di morire amandoti e sapendo che ti amo». Amen.
Papa Benedetto XVI


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