letterina 20131019

Servo inutile 2

Continua la riflessione di un prete, iniziata settimana scorsa.

"Servo inutile" significa capire di essere un "guaritore ferito".
Questo è il miracolo che ogni sera, nell’esame di coscienza, lascia ogni prete a bocca aperta: lo scoprire quante cose buone Dio riesce comunque a fare, nonostante me. Questo è per il prete il sentire la vicinanza del Signore che si fa forza non solo nei tanti momenti belli, ma anche quando le lacrime dell'incomprensione bruciano gli occhi o il cuore piange perché hai inquinato attese e deluso speranze, o la solitudine ti fa guardare tutta notte al soffitto della camera, o la sofferenza e il nero degli altri che ti hanno buttato addosso ti brucia lo stomaco tra i battiti del cuore e i dibattiti della mente.
Ma una delle cose belle di essere prete, per cui dire tanti grazie, è l'avere ogni giorno una scuola per imparare l'arte di essere uomo:
l’aula è la comunità e gli insegnanti sono le persone che incontri.
Ciascuno è un tuo maestro: non importa se è adulto o piccolino, sano o ammalato, santo o peccatore, credente o ateo.
Un prete osserva e ne fa tesoro: la mamma con il suo bambino, il nonno con il suo nipotino, l’innamorato con la sua ragazza, l’ammalato con la sua croce, l'anziano con la sua preghiera, l'ateo col suo distacco, il fedele col suo impegno costante, l'arrabbiato con la sua rivendicazione, l'amico col suo esserci.
"Siamo servi inutili", così Gesù oggi ci suggerisce di ripeterci.
Ben fa eco Jean Guitton: “Il prete sta tra Dio e gli uomini, ma deve cercare di fare meno ombra possibile”. Chiedo alla luce di Dio di sciogliere le ombre che ho creato io. Pregate per me.

dgd

 

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letterina 20131012

Servo inutile 1

Un prete, partendo dal Vangelo della scorsa Domenica, così scriveva:

"Siamo servi inutili, abbiamo fatto quanto dovevamo fare".

Vorrei ribaltare la prospettiva: il prete di solito parla degli altri offrendo omelie per riflettere, per correggere, per sostenere. Oggi vorrei invece parlare dei preti.
Di me stesso e a me stesso. Se si pensa al modo più comune di parlare dei preti, per la gente il buono che fa un prete è dovuto, ma il fragile è subito additato; la disponibilità è sempre pretesa, la debolezza è detestata; se fa cose belle sono scontate, quelle sbavate sono chiacchierate.
Capita poi che un gesto generi insieme consensi e avversioni.
Ma voi credete che per un prete sia facile dare la comunione?
Quante volte sento le mie mani sporche nel porre indegnamente il pane santo del corpo di Cristo in mani che so davvero sante, oppure in mani che magari io stesso ho rifiutato o reso pugno. Qui, da parte mia, è doverosa una sincera richiesta di perdono. San Paolo dice: "Dio sceglie per sé ciò che è debole e stolto per mostrare la sua grandezza". Dio fa marketing al contrario.
In televisione grandi venditori ammaliano per prodotti scadenti. Il Signore invece si affida a rappresentanti scarsi perché è sicuro che il prodotto è letteralmente "divino". È una sfida non umana. Il prete ha fede ma ha anche dubbi, ha speranze e scoraggiamenti, ha illusioni e delusioni, ha sentimenti dolci e lacrime amare, ha benedizioni ma anche peccati, ha parole sante e idee storte. All’altare o al bar, mentre va a farsi la spesa o fa catechismo, durante una riunione o mentre confessa, il prete è un uomo. "Uomo di Dio", si dice, ma pur sempre innanzitutto un uomo. Un uomo con palpiti e sbagli, sentimenti e cadute, ideali e colpe.
Molti pretendono invece che sia “un angelo” senza incoerenze, senza sbavature, ritardi, lentezze, fatiche, difficoltà, debolezze, un angelo profumato d'incenso su una nuvoletta bianca e invece è uno che puzza di umanità con le mani infangate di fragilità. Mi consola che Gesù non è nato in profumeria, ma in una stalla e adulto non ha avuto schifo ad avere vicino traditori e prostitute (chissà cosa avranno pensato di lui, ma per lui era far rinascere).

Non ci sta tutto: continua la prossima settimana

 

 

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letterina 20131005

Anche a Palazzago

Anche a Palazzago si fuma. Anche a Palazzago ci si fa le canne.
Anche a Palazzago ci sono ragazzi che fumano e si spinellano. E non solo.
Immediatamente uno potrebbe dire: fuori  i nomi!
No, questo non è lo stile (veniamo da due settimane in cui troppe cose sono state dette troppo in fretta e con un vizio di partenza, l’anonimato).
Ma qualcosa si può tirar fuori.
Ad esempio il desiderio di informarsi, di sapere, di capire, di confrontarsi, di uscire allo scoperto, di giocare alcune carte.
Dal momento che si cerca di essere attenti alla realtà in cui si vive e si cerca anche di fornire delle possibili piste di aiuto (cioè non bla -bla e basta, sulle piazze, virtuali o reali), abbiamo pensato, per la quarta edizione dell’itinerario per genitori di terza media e adolescenti, di invitare don Chino Pezzoli, fondatore della Comunità di recupero “Promozione Umana”.
Don Chino indica così le fasi: “la scoperta e il piacere; scegliere lei (la droga) ai tuoi cari e infine la solitudine. A questo punto puoi renderti conto dell’errore e farti forza per ricominciare a vivere una vita reale, oppure ti arrendi definitivamente a lei, aspettando la fine.”
“In effetti la Comunità non è le quattro mura, ma i ragazzi che vivono e passano giornate intere, condividendo successi e delusioni.”

Il percorso sarà così articolato nei martedì di ottobre, alle ore 20.30:
*8 ottobre 2013: Il consumismo del divertimento. La cultura della droga.
don Chino e don Mario (Teatro Palazzago)
*15 ottobre: L’arte del prevenire il disagio e la devianza.
Don Chino e don Mario (Oratorio Gromlongo)
*22 ottobre: Comunità e esperienza di vita. L’aiuto è possibile.
Claudio e Cinzia (ex ed educatori) (Oratorio Barzana)
*29 ottobre, rivolto ai ragazzi, guidati da Claudio e Cinzia (TeatroPalazzago).

E ricordiamo che chi dice: “i miei figli, mai!” li ha già pieni di problemi...

 

 

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Serata Chierichetti

 

 

 

letterina 20130928

La parabola dell'intervista al papa

E alcune delle sue parole caddero sui media.

Ascoltate! Un Papa uscì per dare un'intervista. E appena ebbe parla to, alcune delle sue parole caddero sui media, e quegli uccelli le divorarono prima ancora che potessero essere ascoltate. Altre sue parole caddero su quanti non capirono il loro contesto. Ricevettero il suo messaggio con gioia, ma appena capitò loro di comprendere quanto sarebbe stato difficile vivere quelle parole il loro entusiasmo si seccò come delle piantine nell'arsura. Alcune delle sue parole caddero in mezzo a gente stravagante che credeva che queste parole contraddicessero tutto ciò per cui avevano lavorato, e questa stravaganza nei loro cuori soffocò il messaggio, così essi dissero "Non c'è nessun frutto qui per noi". E alcune delle sue parole caddero come pioggia buona sugli appezzamenti di terreno fertile che altri avevano ridotto a semplice polvere. Il suo messaggio cadde come un balsamo risanatore nei cuori, nelle menti e nei corpi di persone che si erano abituate ad andare in giro zoppicando. Nell'intimo di alcune persone le parole del Papa esplosero come delle pigne in un fuoco nel bosco, tirando fuori nuova vita dalla sterilità. Il seme dell'intervista del Papa crebbe e portò frutto dando il trenta, il sessanta o il cento.

Gesù spiegò nel dettaglio ai suoi confusi apostoli il senso della parabola su cui questo racconto è basato e i molti rischi che esistono nella proclamazione del Vangelo di fronte al mondo. Da nessuna parte, però, quella spiegazione include la frase «Il seminatore avrebbe dovuto tenere per sé il seme». Lasciamo che chi ha orecchie ascolti.
E rendiamo grazie 

Joanne McPortland 

 

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letterina 20130921

Se una bambina ci insegna

"Cari amici, non so da dove iniziare il mio discorso. Ma prima di tutto vorrei ringraziare Dio, che ci ha fatto tutti uguali. Oggi è il giorno di ogni donna, di ogni ragazzo e di ogni ragazza che ha alzato la voce per i propri diritti. Il 9 ottobre del 2012 i talebani mi hanno sparato alla tempia sinistra; hanno sparato anche alle mie amiche. Pensavano che i proiettili potessero zittirci. Ma hanno fallito. Da quel silenzio si sono alzate migliaia di voci. I terroristi pensavano di poter cambiare le nostre intenzioni, di poter frenare le nostre ambizioni, ma nulla è cambiato nella mia vita, eccetto una cosa: la debolezza, la paura e la disperazione sono morte. Al loro posto sono nati la forza, l’energia, il coraggio.
Non odio i talebani che mi hanno sparato, nemmeno se me li trovassi davanti con un fucile. Questa è la pietà che ho imparato dal profeta Maometto, da Gesù Cristo e da Buddha. Questo è il pensiero del cambiamento che ho ereditato da Martin Luther King, Nelson Mandela e Muhammad Ali. Questa è la filosofia della non violenza che ho imparato da Gandhi e da Madre Teresa . E questo è il perdono che mi hanno insegnato i miei genitori.

Care sorelle e cari fratelli,
riconosciamo l’importanza della luce quando vediamo il buio.

Riconosciamo l’importanza della nostra voce quando ci mettono a tacere.

Così noi abbiamo riconosciuto l’importanza delle penne e dei libri quando abbiamo visto i fucili … Gli estremisti hanno paura dei libri e delle penne.

Il potere dell’istruzione li spaventa. Hanno paura delle donne e del potere della loro voce. Le nostre parole possono cambiare il mondo. E allora impegniamoci nella lotta contro l’analfabetismo, la povertà e il terrorismo, e prendiamo in mano le nostre penne e i nostri libri. Sono molto più potenti delle armi.
Questo breve discorso è stato pronunciato all’Onu da Malala Yousafzai, il giorno del suo 16.mo compleanno: la ragazza pakistana divenuta “simbolo” del diritto allo studio, dopo essere stata ferita e sfigurata in un attentato dei talebani, gli “studenti coranici” che non sopportano che le ragazze vadano a scuola. Dopo gli interventi chirurgici a Birmingham in Gran Bretagna, la ricordiamo mentre, con la manina alzata e il volto sorridente di riconoscenza, saluta i medici e le infermiere che hanno cercato di curarla"

p. Marcello Storgato

 

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letterina 20130914

Dedica di un padre al figlio

Dopo l’affondo  “Toilette” (di due settimane fa) un papà mi ha girato questo scritto:
Se un giorno mi vedrai vecchio, se mi sporco quando mangio e non riesco a vestirmi... abbi pazienza. Ricordati il tempo che ho trascorso ad insegnartelo. 
Se quando parlo con te ripeto sempre le stesse cose…non mi interrompere………ascoltami. Quando eri piccolo dovevo raccontarti ogni sera la stessa storia finché non ti addormentavi.  
Quando non voglio lavarmi, non biasimarmi e non farmi vergognare……ricordati quando dovevo correrti dietro inventando delle scuse perché non volevi fare il bagno.
Quando vedi la mia ignoranza delle nuove tecnologie, dammi il tempo necessario e non guardarmi con quel sorriso ironico: ho avuto tutta la pazienza per insegnarti l’ABC.
Quando ad un certo punto non riesco a ricordare o perdo il filo del discorso… dammi il tempo necessario per ricordare e se non riesco non ti innervosire …la cosa più importante non è quello che dico ma il mio bisogno di essere con te ed averti lì che mi ascolti.
Quando le mie gambe stanche non mi consentono di tenere il tuo passo, non trattarmi come se fossi un peso. Vieni verso di me con le tue mani forti nello stesso modo con cui io l’ho fatto con te quando muovevi i tuoi primi passi.  
Quando dico che vorrei essere morto…….. non arrabbiarti, un giorno comprenderai che cosa mi spinge a dirlo. Cerca di capire che alla mia età non si vive, si sopravvive.
Un giorno scoprirai che nonostante i miei errori ho sempre voluto il meglio per te e che ho tentato di spianarti la strada

Dammi un po’ del tuo tempo, dammi un po’ della tua pazienza, dammi una spalla su cui poggiare la testa, allo stesso modo in cui io l’ho fatto per te.

Aiutami a camminare, aiutami a finire i miei giorni con amore e pazienza, in cambio io ti darò un sorriso e l’immenso amore che ho sempre avuto per te.

 

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Stare Restrare Destare

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