letterina 20180128

Razza...umana

Quando Albert Einstein nel 1933 sbarcò negli Stati Uniti compilando i moduli dei funzionari portuali di New York, che chiedevano a quale razza appartenesse, rispose così: “All’unica che conosco, quella umana”.
Ogni anno, le commemorazioni legate alla “Giornata della memoria”, ci riportano davanti agli occhi le immagini terribili dell’Olocausto.
Adolescenti e giovani che hanno partecipato al campo scuola a Monaco, visitando anche Dachau, le hanno ancora davanti agli occhi. La parola “razza” non è neutra. E’ un termine che porta un considerevole carico di sangue e di fantasmi, e il più pesante è proprio quello di Adolf Hitler: “Gli stati attuali, che pensano solo ad un onere finanziario, concedono la cittadinanza senza tenere in considerazione la razza. Essere cittadino tedesco è diverso dall’avere in sangue la razza tedesca.” E ancora ci vengono in mente le “Leggi razziali” di Mussolini e Vittorio Emanuele III, quell’accento sulla “pura razza ariana” da preservare dalla contaminazione giudaica perché (sempre Hitler) “In creature fornite di un forte istinto di razza, la parte rimasta pura tenderà sempre all’accoppiamento fra eguali, impedendo un’ulteriore mescolanza. E con ciò gli elementi imbastarditi passano in secondo piano, a meno che essi non si siano così tanto moltiplicati da impedire la riaffermazione della razza pura”. E poi, ancora, la schiavitù legittimata dall’inferiorità della “razza nera”, l’Apartheid in Sud Africa, la follia del Ku-Klux-Klan. Le parole hanno un peso. Non è un caso che questa, in particolare, sia stata eliminata nel 2014 dalla costituzione francese e da tutti i documenti pubblici, per iniziativa dell’Assemblea Nazionale.
L’Italia non ha seguito l’esempio, l’articolo 3 della nostra Costituzione mantiene questo termine, anche se con chiaro intento anti-discriminatorio: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Nel frattempo, però, l’utilizzo superficiale e avventato che a volte se ne fa è un monito: dimostra prima di tutto che la Giornata della memoria non è soltanto una “formalità” priva di significato, come alcuni ritengono. In secondo luogo richiama la necessità di un impegno serio in ambito culturale ed educativo a far comprendere – prima di tutto – la natura delle differenze e somiglianze tra società e culture: l’ignoranza e l’oblio sono un terreno fertile per nuovi mostri e nuovi orrori, e gettano polvere su decenni di resistenza civile e di lotta per i diritti umani. Le parole hanno un peso, possono scatenare incendi.  

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letterina 20180121

"Se in chiesa entra l'amore"

Già questo titolo annunciato in internet mi aveva fatto reagire. Poi, sul sito della Diocesi ho trovato un articolo nella rubrica “Diario di un prete” che voglio condividere in alcuni dei suoi passaggi. Il titolo è quello di un articolo di Mancuso che racconta dei funerali di Alex Ferrari e Luca Bortolaso, coppia di giovani omosessuali morti tragicamente nelle feste di Natale. Penso che tutti l’abbiamo sentito nei telegiornali.
Qui non si tratta di imbracciare il Diritto Canonico, canone 1184, sulla negazione delle esequie ecclesiastiche ad alcune categorie di persone (i cosiddetti “peccatori manifesti” i cui funerali costituirebbero scandalo per i fedeli: è l’articolo, ad esempio, per il quale non si è concessa la celebrazione dei funerali in Chiesa di Totò Riina).
Il Diritto Canonico deve essere letto alla luce del Vangelo, non viceversa. Ma ciò che fa specie e, anche, indispettisce è il titolo “Se in Chiesa entra l’amore” che fa nascere spontanea una domanda: fino ad ora cosa c’è stato nella Chiesa? Il memoriale della passione, morte e Risurrezione di Cristo cosa è? I Sacramenti cosa sono? La carità, le opere di bene in generale, l’impegno di tanti, consacrati e laici, cos’è? Non è amore? Un titolo come questo mi inquieta, perché pare suggerire che in Chiesa sia entrato l’amore solo nel momento in cui si è concesso il funerale a una coppia omosessuale. Seppellire i morti è opera di misericordia, pertanto è giusto concedere le esequie ecclesiastiche ad Alex e Luca, però potrebbe esserci un pericolo. È certamente vero che lo sguardo della Chiesa sull’omosessualità sta cambiando; gli studi, anche teologici, stanno lavorando molto sul tema, così come è altrettanto vero che troppe volte le coppie omosessuali sono state oggetto di comportamenti disumani e vergognosi, anche da parte di chi si è definito cattolico. Tuttavia, un titolo come quello in questione sembra quasi lasciar intendere che l’amore omosessuale debba essere visto come la forma paradigmatica dell’amore stesso, come se l’amore tra un uomo e una donna fosse di serie B, pena una Chiesa nella quale l’amore non entra.
No, l’amore è costitutivo della Chiesa, perché la Chiesa è di Dio, che ama tutti e ciascuno, senza distinzioni: sulle altre questioni, continuiamo la riflessione e il confronto civile, nel rispetto della dignità umana e alla luce del Vangelo.

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letterina 20180114

Tempo libero o festa?

Oggi si tende sempre più a parlare di tempo libero e sempre meno di festa, sempre più di week end e sempre meno di domenica.
Questo cambiamento culturale chiede alla società tutta e ai cristiani in particolare fermezza e vigilanza perché non venga meno il tempo della festa. Oggi, si aggiunge una nuova sfida dalla società dei consumi e dall’aumento delle aperture domenicali e durante alcune festività importanti, dei negozi e centri commerciali. Si mostra così ancor più evidente come il tempo libero coincida ormai con il tempo del consumo. E’ sotto i nostri occhi come i luoghi ed i rituali del consumo diventano sempre più invadenti. Questi spazi tendono ad assorbire dentro la propria struttura funzioni che erano della società: relazioni fra persone, senso di appartenenza comunitaria (pensiamo ad esempio al fenomeno di famiglie che trascorrono gran parte della domenica nei grandi supermercati).
Lavoro e consumo, sono sempre più strettamente congiunti (si lavora per consumare, si consuma per poter lavorare). Vi è un reale rischio che il consumo diventi una nuova ideologia. La società dei consumi fa leva profondamente sulle emozioni, trasforma bisogni veri, in bisogni altri, aggirando la ragione che ne è la grande nemica perché prende le distanze dall’oggetto e dalle proprie passioni.
Di fronte a questa sfida la comunità tutta e quella cristiana in particolare è chiamata ad un profondo lavoro educativo per una ecologia della persona, per una ecologia dei desideri come ribadisce l’esortazione apostolica Laudato Si riprendendo la dottrina sociale della chiesa di sempre. Occorre dunque preservare la domenica e le grandi feste come giorno delle relazioni, giorno dei beni immateriali, giorno di spiritualità, di ricerca di se stessi e del senso della vita. E’ opportuno che anche la legislazione favorisca con una adeguata regolazione i tempi della festa, preservando la domenica dalla logica del consumo di beni materiali. I cristiani da parte loro evitino, secondo anche la logica del consumo critico, di utilizzare la domenica come giorno di acquisti e recuperino dentro alla comunità che celebra radunandosi nella fraternità, il valore del tempo e delle relazioni, vivendo in pienezza il tempo della domenica e della festa.
Questo aiuta a dare un volto anche ai bisogni profondi del cuore dell’uomo e della donna: senso della vita, unità interiore, relazioni forti, verità e di felicità, spiritualità e di trascendenza.
Perché sia vera festa e non solo tempo libero. 

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letterina 20180107

Gesù e Perù

Una maestra di una scuola primaria del Pordenonese fa cantare ai suoi alunni una canzoncina di Natale; qualcuno la canticchia anche a casa e i genitori, sorpresi, sentono che la canterellano dicendo «Perù» là dove la canzone dice «Gesù».
Peccato non ci siano, nella canzone, parole quali cuor, amor, o dolor, perché in tal caso ci sarebbe posto anche per l’Ecuador. La maestra ha sostituito Gesù con Perù per non offendere alunni di altre religioni, soprattutto musulmani. Ma questa insegnante ha dato un esempio oggi particolarmente pericoloso di rifiuto del dialogo e della diversità. Dialogo significa conoscenza reciproca e dunque conoscere l’identità — culturale, religiosa, politica... — dell’altro e far conoscere la propria, ovviamente senza alcuna supponenza aggressiva e senza fanatismo, con naturalezza e libertà, senza imbarazzo.
Conoscere e far conoscere è l’unico modo di incontrarsi, altrimenti si resterà nella spirale del rifiuto e del falso riguardo — è offensivo nei confronti degli islamici ritenere che possano sentirsi offesi da una canzone cristiana di Natale in un Paese di cultura cristiana, come sarebbe offensivo pensare che la preghiera del muezzin possa offendere il non musulmano che la sente.
Non si dimentichi che Gesù nell’Islam è venerato dopo Maometto e Abramo, e la tradizione dice che ritornerà sulla terra alla fine dei tempi e apparirà sul minareto bianco della grande moschea di Damasco, nell’epifania della conciliazione finale. Che ci sia pure un Islam forsennato e omicida è una ragione di più per non mostrare alcuna timidezza nei suoi riguardi.
La questione fa emergere anche ciò che già Tocqueville chiamava dittatura delle minoranze. Poco prima di Natale, un treno partito da Parigi e diretto a Milano è rimasto bloccato per alcune ore dalla neve. Le ferrovie francesi hanno provveduto a ristorare i viaggiatori intrappolati nel freddo, offrendo loro un pasto. Un pasto unicamente e soltanto vegano. Altra stupidaggine, incosciente generatrice di futuri rifiuti violenti. Sarebbe stato corretto offrire pasti vegani e pasti non vegani, perché i vegani non sono né inferiori né superiori agli altri nelle loro esigenze e preferenze e qualcuno desideroso, nel freddo, di carne non è meno degno di attenzione di chi mangia altri cibi, contribuendo anch’egli a distruggere esseri viventi, sia pure così piccoli da non poter suscitare l’attenzione e la compassione degli umani.
Sciocchezze, come il Perù sostituito a Gesù.
E noi a fare il presepio in mezzo alla chiesa per ricordare che il centro del Natale è Lui...e non il Perù.

 

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letterina 20171231

Giornata mondiale della pace 2018

Leggiamo l’inizio del messaggio di Papa Francesco per la 51ª Giornata mondiale della pace, che si celebra il 1° gennaio 2018. Il messaggio ha per titolo: «Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace».
Clicca qui per leggerlo in versione integrale

Pace a tutte le persone e a tutte le nazioni della terra! La pace, che gli angeli annunciano ai pastori nella notte di Natale, è un’aspirazione profonda di tutte le persone e di tutti i popoli, soprattutto di quanti più duramente ne patiscono la mancanza. Tra questi, che porto nei miei pensieri e nella mia preghiera, voglio ancora una volta ricordare gli oltre 250 milioni di migranti nel mondo, dei quali 22 milioni e mezzo sono rifugiati. Questi ultimi, come affermò il mio amato predecessore Benedetto XVI, «sono uomini e donne, bambini, giovani e anziani che cercano un luogo dove vivere in pace». Per trovarlo, molti di loro sono disposti a rischiare la vita in un viaggio che in gran parte dei casi è lungo e pericoloso, a subire fatiche e sofferenze, ad affrontare reticolati e muri innalzati per tenerli lontani dalla meta.

Con spirito di misericordia, abbracciamo tutti coloro che fuggono dalla guerra e dalla fame o che sono costretti a lasciare le loro terre a causa di discriminazioni, persecuzioni, povertà e degrado ambientale.

Siamo consapevoli che aprire i nostri cuori alla sofferenza altrui non basta. Ci sarà molto da fare prima che i nostri fratelli e le nostre sorelle possano tornare a vivere in pace in una casa sicura. Accogliere l’altro richiede un impegno concreto, una catena di aiuti e di benevolenza, un’attenzione vigilante e comprensiva, la gestione responsabile di nuove situazioni complesse che, a volte, si aggiungono ad altri e numerosi problemi già esistenti, nonché delle risorse che sono sempre limitate. Praticando la virtù della prudenza, i governanti sapranno accogliere, promuovere, proteggere e integrare, stabilendo misure pratiche, «nei limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso, [per] permettere quell’inserimento». Essi hanno una precisa responsabilità verso le proprie comunità, delle quali devono assicurare i giusti diritti e lo sviluppo armonico, per non essere come il costruttore stolto che fece male i calcoli e non riuscì a completare la torre che aveva cominciato a edificare.

 

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letterina 20171224

Se vuoi...

Io so che le mie figlie si sono un po’ allontanate dalla chiesa in questo periodo della loro vita. Ogni Domenica mattina però io le sveglio e dico a ognuna di loro:” Io vado a messa. Se vuoi venire, hai il tempo di prepararti anche tu.”

Poi io vado alla messa delle 10.30. Anche se loro non ci vengono.

E’ la testimonianza di un papà nel confronto a piccoli gruppi di Domenica scorsa, terza d’Avvento. Nel bibliodramma, infatti, abbiamo ripreso il Vangelo, con Giovanni Battista, testimone della luce. Ed è interessante che dalla domanda “Io chi sono?” si è arrivati, senza accorgersi, a parlare delle famiglie, dei figli, dei ragazzi della catechesi…Siamo andati fuori tema? Non penso proprio, perché alla fine, parlare della nostra identità è sentirci in relazione. Addirittura, ognuno di noi può dire “io” soltanto di fronte ad un “tu”. Se poi questo “tu” è la figlia, il marito, la moglie, il figlio, l’amico...allora sentiamo di essere proprio nel mezzo della vita e degli affetti.
Mi è molto piaciuto quello che fa questo papà e mi piacerebbe che ogni genitore cercasse il modo, il suo modo, di essere testimone anche verso i figli che “si sono un po’ allontanati”.  Anche, mi piace molto quel “se vuoi” perché ha molto a che fare con la pedagogia di un Dio che non impone, non obbliga, non fa ricatti e, se qualche volta l’abbiamo visto così o così ce l’hanno presentato, non è il Dio di Gesù.
“Se vuoi…” e si aprono strade.
“Se vuoi...” ed è appello alla libertà.
“Se vuoi…” e ci vorrà tempo, ma sarà il tempo della consapevolezza e della gratuità.
Come è vicino al modo di venirci incontro di Dio nel Natale!
Un bambino - Gesù Bambino - è questo “se vuoi...”
Buon Natale... se vuoi...

 

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