letterina 20180603

180 candele, 53 minuti

Anche quest’ anno le abbiamo accese: 180 candele che brillano sull’apparato di legno dorato del triduo. E molte volte, parlando dell’Eucarestia che celebriamo, che adoriamo, che portiamo nella processione del Corpus Domini -come abbiamo fatto giovedì- diciamo che essa è tesoro, vita, scaturigine, fonte, sorgente...
Ma noi abbiamo sete di questa sorgente? E ci diamo tempo per andare ad essa?

In uno dei tanti incontri che il Piccolo Principe fa nel racconto di Antoine de Saint-Exupéry troviamo questo dialogo:
"Buon giorno", disse il piccolo principe.
"Buon giorno", disse il mercante.
Era un mercante di pillole perfezionate che calmavano la sete. 
Se ne inghiottiva una alla settimana e non si sentiva più il bisogno di bere.
"Perché vendi questa roba?" disse il piccolo principe.
"E' una grossa economia di tempo", disse il mercante.
"Gli esperti hanno fatto dei calcoli. Si risparmiano cinquantatre minuti la settimana".
"E che cosa se ne fa di questi cinquantatre minuti?"
"Se ne fa quel che si vuole..."
"Io", disse il piccolo principe, "se avessi cinquantatre minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana..."

E’ così facile idolatrare la fretta e la vertigine nel nostro tempo ipertecnologico con il suo culto dell’istantaneità e dell’efficienza, mentre è il passo dopo passo dei piccoli gesti che ci fa prendere coscienza dei nostri bisogni.

“C’è un legame segreto fra lentezza e memoria, fra velocità e oblio. Prendiamo una situazione delle più banali: un uomo cammina per la strada. A un tratto cerca di ricordare qualcosa, che però gli sfugge. Allora, istintivamente, rallenta il passo”. (Milan Kundera in 'La lentezza')

In questi giorni alcune persone hanno rallentato il passo, dandosi del tempo per camminare verso la sorgente. Le 180 candele possono brillare ma è il cuore che deve vibrare. Grazie perché questo aiuta anche me, prete, a non pensare di risparmiare cinquantatre minuti, ma a camminare adagio adagio verso una fontana...

 

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letterina 20180527

Benedizione per tutti

Con profonda gioia e commozione ho accompagnato nella nostra Diocesi, nella nostra città e presso l'intera comunità bergamasca l'urna con le spoglie mortali, ora reliquie insigni, di San Giovanni XXIII, che, a 55 anni dalla sua morte, ritornano per alcuni giorni nella sua terra natale. Mi faccio voce di tutti e di ciascuno, manifestando la riconoscenza più grande e profonda al Santo Padre, Papa Francesco, per l'accoglienza affettuosa del nostro desiderio e per la convinta generosità con cui ha concesso che si potesse realizzare.
Dall'inizio del suo Pontificato, egli ha manifestato un particolare legame con la figura di Papa Giovanni e ha manifestato molteplici attenzioni nei confronti della comunità bergamasca. Ora ci ha concesso questo dono speciale. Coralmente le diciamo: Grazie, Santità.
Grazie anche a voi tutti cittadini e autorità che saluto con le parole stesse che Papa Giovanni pronunciò nella prima udienza concessa ai bergamaschi: «Il nostro grato saluto si volge con particolare accento di rispetto e di affezione ai nobili e così copiosi rappresentanti dell'ordine civico e sociale variamente disposti nei vari gradi delle loro competenze ed attribuzioni, che furono sempre così cortesi ed amabili verso la nostra persona».
Questi mesi, settimane e giorni, hanno alimentato un'attesa densa di molteplici sentimenti. Ora che il «segno» della presenza del Santo Papa è in mezzo a noi, avvertiamo il misterioso avvenire dei ricordi, lo sguardo, il sorriso, la voce: una testimonianza meravigliosamente capace di irradiare luce e pace su tutti coloro che l'hanno conosciuto e amato e sulle generazioni raggiunte dalla dolce forza del sigillo che egli ha impresso nella storia dell'umanità. È un onore, un dono e insieme una circostanza provvidenziale l'inizio di questa peregrinatio nel cuore non solo urbano della nostra città, ma in quello rappresentativo dell'intera comunità bergamasca, che voi rappresentate.
È espressione del legame profondissimo del Santo Papa con la sua terra, con la sua diocesi, con Sotto il Monte, i comuni, le parrocchie, le comunità religiose, il seminario e finalmente la città di Bergamo.
Dagli scritti di Papa Giovanni XXIII: «Il ricordo del punto di partenza della nostra vita, da Bergamo Nostra, ci ha accompagnato sempre nella quarantennale peregrinazione in Oriente e in Occidente, fino a Venezia, fin quassù, sul colle Vaticano, senza farei perdere del tutto il segno della Nostra caratteristica fisionomia nativa».
Carissimi tutti, la presenza delle Sante reliquie di Papa Giovanni, diventi Benedizione per voi tutti e per l'intero popolo bergamasco.

+ Francesco

 

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letterina 20180520

Un ritiro speciale

Barbara ci racconta come è andato il ritiro itinerante dei ragazzi della Cresima, i 31 che in questa Domenica ricevono lo Spirito Santo.
Personalmente, il ritiro di venerdì mi è piaciuto tantissimo. E’ stato bello ascoltare le parole di don Giuseppe e vedere: il Battistero, il confessionale del Fantoni, la Cappella dei Santi e la cripta dei Vescovi. E’ stata abbastanza impressionante la storia del braccio del Crocefisso che si staccò per “accarezzare” la suora accusata ingiustamente.
La cosa che però mi è piaciuta di più delle altre e che ha lasciato un segno dentro di me è la mensa dei poveri del Patronato S. Vincenzo. All’inizio ci siamo seduti in una sala dove abbiamo parlato della Cresima con don Davide.
E’ stato super-interessante perché:
- don Davide ci ha spiegato il significato di alcuni gesti con le dita;
- perché attirava la tua attenzione con le sue parole e ti catturava con il suo inconfondibile modo di esprimersi. Devo dire che mentre lui parlava nemmeno in un istante mi sono sentita stanca o annoiata. Avrei potuto stare lì ore ed ore ad ascoltarlo. Dopo questo dialogo siamo andati a mangiare alla mensa. C’erano tante altre persone con noi a mangiare e nonostante tutto il cibo non era male.
Adesso arriva la parte più bella ed emozionante. Finito di cenare, le mamme hanno tagliato tutte le torte che avevamo portato e noi ragazzi siamo andati a distribuirle a tutti quelli che incontravamo (ovviamente all’interno del Patronato). Prevalentemente c’erano ragazzi di colore sui 20/30 anni. Tra tutti questi ragazzi c’erano anche tre bambini carinissimi! Erano tre cuccioli d’uomo, bellissimi. Io, Elisa G. e Giulia A. abbiamo offerto loro una fetta di torta e loro hanno più che gradito. Poi siamo andate nel “ripostiglio” delle bici e lì abbiamo incontrato un ragazzo africano che, in francese, ci ha chiesto i nostri nomi e in inglese se sapevamo parlare l’inglese. La cosa che più mi ha colpito è stato lo stupore di questo ragazzo quando ci siamo avvicinante e gli abbiamo offerto la torta. Ci guardava come se fossimo Dio sceso in terra. Davvero. Infine, abbiamo offerto la torta ai ragazzi che erano nel campo a guardare la partita di calcio dei loro amici. E qua, ad un certo punto, un giocatore corre verso di noi, ci chiede una fetta di torta e poi ritorna a giocare. Wow! Mi ha tirato fuori un sorriso gigante questo ragazzo.
Mi sento un po’ in colpa però, perchè arrivate a metà dei ragazzi che guardavano la partita, la torta era finita e non ce ne erano più! Dunque i ragazzi in fondo al campo non l’hanno mangiata. E per loro mi dispiace.
Comunque, se ci penso bene, credo che questa sia stata la giornata più felice che io abbia mai vissuto. Sono contenta per aver compiuto questo gesto verso tutti quei ragazzi poveri e con una vita difficile. Ho inoltre capito che aiutare il prossimo è un’opera bellissima e ti fa stare bene. Soprattutto ti fa sorridere continuamente. Così ho deciso che, appena avrò qualche anno in più, andrò a fare la volontaria al Patronato San Vincenzo.
PS. A dire il vero mi facevamo più impressione quelli bianchi che le persone nere.

 

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letterina 20180513

”Dilettissima Bergamo”

“Si incomincia dalla terra dove sono nato e poi si prosegue fino al cielo”. Queste le parole di Papa Giovanni che scandiranno i 18 giorni di preghiera con la presenza, nella nostra terra, dell’urna con il corpo del papa. E’ un evento particolare che non può esser ridotto a qualcosa di magico o folcloristico, ma inserito nella scia di quella “devozione popolare” che apre alla fede. Un po’ come avviene già per tanti segni di papa Giovanni presenti tra noi, ultimo, in ordine di tempo, quello relativo alla statua collocata all’ingresso dell’Ospedale di Bergamo a lui dedicato.
Situata all’ingresso principale est si presenta con volto sereno, dal sorriso appena abbozzato. In una mano un ramoscello d’ulivo, l’altra che pare salutare, accogliere. Alta un metro e 80 centimetri del peso di quattro quintali, è opera dello scultore Carlo Balljana (lo stesso che ha realizzato il gruppo familiare nella casa natale a Sotto il Monte), in bronzo fuso a cera; è stata inaugurata il 30 giugno 2013.
Circa un anno fa sono state aggiunte due quinte realizzate sempre dallo scultore trevisano, che riportano stralci di scritti e discorsi del pontefice bergamasco: il Discorso alla Luna, indimenticata carezza del Papa ai bambini e alle loro lacrime, pronunciato l’11 ottobre 1962 all’apertura del Concilio Vaticano II, una citazione della Pacem in Terris, che invita alla verità, giustizia, carità e libertà nei rapporti umani e infine un ricordo della “dilettissima Bergamo, il cui amore ci accompagnò sempre”.
Ogni giorno sono tantissime le persone che si avvicinano, anche solo per pochi istanti: un’ulteriore testimonianza della devozione e dell’affetto profondo della popolazione bergamasca per una delle figure più importanti della Chiesa e della storia. Ai piedi della statua si trovano infatti tantissimi fiori di diverso colore, ceri (rigorosamente “non accesi a fiamma viva” per motivi di sicurezza, come raccomanda il cartello collocato a lato dell’effige) e doni.
In mezzo al via vai tipico di una struttura come un ospedale, non è affatto banale il fatto che, nel giro di pochi minuti, siano tantissime le persone che decidono di soffermarsi davanti alla statua del Santo per un momento di riflessione, di preghiera o di raccoglimento: c’è chi fa il segno della croce, chi accarezza la mano del pontefice per poi baciare le proprie dita, chiedendo una grazia o cercando speranza e un po’ di conforto per se stessi o per un proprio caro ammalato.

 

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letterina 20180506

Vita futile?

Alfie Evans è riuscito a far fermare, seppure per alcuni giorni, il mondo. Sì, la sua vita “futile”, come avevano sentenziato i medici, ha fatto riflettere un’umanità assai diversa e troppo spesso distratta dall’ effimero che non si rende conto che la vita corre velocissima, come quella di questo bambino di 23 mesi affetto da una grave quanto ignota patologia neurodegenerativa. Neppure gli appelli e i gesti concreti di Papa Francesco, al quale si era rivolto il papà di Alfie, sono bastati per portare il piccolo in Italia, dove il governo gli aveva conferito la cittadinanza, e tentare di curarlo al Bambino Gesù, l’ospedale pediatrico della Santa Sede. La morte del piccolo “gladiatore” che “ha posato lo scudo e si è guadagnato le ali”, come ha scritto Thomas Evans su Facebook, non può essere archiviata rapidamente come un qualsiasi evento di cronaca. E non si può consentire che diventi oggetto della strumentalizzazione politica di alcuni.
Non è certo un caso se, proprio nel giorno della morte del piccolo, il Papa ha sottolineato che “la scienza, come qualsiasi altra attività umana, sa di avere dei limiti da rispettare per il bene dell’umanità stessa, e necessita di un senso di responsabilità etica. La vera misura del progresso, come ricordava il beato Paolo VI, è quello che mira al bene di ogni uomo e di tutto l’uomo”. Per Bergoglio, infatti, “è fondamentale che aumenti la nostra consapevolezza della responsabilità etica nei confronti della umanità e dell’ambiente in cui viviamo. Mentre la Chiesa elogia ogni sforzo di ricerca e di applicazione volto alla cura delle persone sofferenti, ricorda anche che uno dei principi fondamentali è che non tutto ciò che è tecnicamente possibile o fattibile è per ciò stesso eticamente accettabile”. E in un twitt scriveva: “Sono profondamente toccato dalla morte del piccolo Alfie. Oggi prego specialmente per i suoi genitori, mentre Dio Padre lo accoglie nel suo tenero abbraccio”.

 

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letterina 20180429

Automi o persone?

Un racconto di Edgar A. Poe, “Il giocatore di scacchi di Maezel”, si rifà al 1770 quando alla corte di Maria Teresa d’Austria fu presentato il primo grande computer della storia: “il Turco”. Vestito come uno stregone mediorientale con un vistoso turbante, un manichino sedeva di fronte a una scacchiera in attesa del coraggioso giocatore che avrebbe osato sfidarlo a scacchi. Il suo inventore, Wolfgang von Kempelen, mostrava compiaciuto intricatissimi meccanismi con tubi d’ottone e ingranaggi dentati. Con un rumoroso e sferragliante movimento il Turco non solo spostava gli scacchi ma si accorgeva se un avversario tentava una mossa non valida e scuoteva la testa. Sbaragliava tutti. Vinceva sempre l’automa.
Cominciò a viaggiare in tutte le corti europee e nei salotti nobili. A Parigi il più grande scacchista del tempo, D. Philidor, lo vinse ma confessò che era stata la partita più faticosa della sua carriera. Perfino Napoleone Bonaparte volle giocare contro il Turco. Si racconta che l’Imperatore provò una mossa illecita per 3 volte: alle prime due l’automa scosse il capo e rimise la pedina a posto, ma la terza volta perse le staffe e buttò all’aria la scacchiera incurante di chi aveva di fronte. Napoleone rimase basito. L’inventore ad un certo punto decise di non farlo giocare più. Molti provarono a costruirne di simili ma nessuno funzionava.
Nel 1857 il figlio del proprietario scrisse un articolo su una rivista scientifica: “il segreto meglio mantenuto di sempre”. Dentro al macchinario del Turco si nascondeva un nano gobbo, scanzonato e reietto, una persona scartata e disprezzata da tutti, che in realtà era un genio e un invincibile campione di scacchi. Poiché non tutte le ante venivano aperte nello stesso momento, lui si nascondeva, con la sua deformità, tra gli ingranaggi. (Questo trucco è stato usato molto più recentemente nel film Star Wars per far muovere il piccolo robot bianco R2-D2. Dentro c’era Kenny George Baker, nato a Birmingham il 24 agosto 1934. Grazie alla sua statura si è calato nella struttura di C1-P8 in sei dei sette film di Guerre Stellari. Non partecipò al terzo prequel Star Wars: episodio III - La vendetta dei Sith per motivi di salute -una malattia ai polmoni- anche se George Lucas gli rese omaggio inserendolo comunque nell’elenco degli interpreti).

 

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