letterina 20171217

Perché andare a Messa la domenica?

E’ la domanda da cui è partita la catechesi del mercoledì di papa Francesco
La celebrazione domenicale dell’Eucaristia è al centro della vita della Chiesa. Noi cristiani andiamo a Messa la domenica per incontrare il Signore risorto, o meglio per lasciarci incontrare da Lui, ascoltare la sua parola, nutrirci alla sua mensa, e così diventare Chiesa, ossia suo mistico Corpo vivente nel mondo. Lo hanno compreso, fin dalla prima ora, i discepoli di Gesù, i quali hanno celebrato l’incontro eucaristico con il Signore nel giorno della settimana che gli ebrei chiamavano “il primo della settimana” e i romani “giorno del sole”, perché in quel giorno Gesù era risorto dai morti ed era apparso ai discepoli, parlando con loro, mangiando con loro, donando loro lo Spirito Santo. Anche la grande effusione dello Spirito a Pentecoste avvenne di domenica, il cinquantesimo giorno dopo la risurrezione di Gesù. Per queste ragioni, la domenica è un giorno santo per noi, santificato dalla celebrazione eucaristica, presenza viva del Signore tra noi e per noi.
E’ la Messa, dunque, che fa la domenica cristiana! La domenica cristiana gira intorno alla Messa. Che domenica è, per un cristiano, quella in cui manca l’incontro con il Signore?
Ci sono comunità cristiane che, purtroppo, non possono godere della Messa ogni domenica; anch’esse tuttavia, in questo santo giorno, sono chiamate a raccogliersi in preghiera nel nome del Signore, ascoltando la Parola di Dio e tenendo vivo il desiderio dell’Eucaristia.
Alcune società secolarizzate hanno smarrito il senso cristiano della domenica illuminata dall’Eucaristia. E’ peccato, questo! In questi contesti è necessario ravvivare questa consapevolezza, per recuperare il significato della festa, il significato della gioia, della comunità parrocchiale, della solidarietà, del riposo che ristora l’anima e il corpo... Senza Cristo siamo condannati ad essere dominati dalla stanchezza del quotidiano, con le sue preoccupazioni, e dalla paura del domani.
L’incontro domenicale con il Signore ci dà la forza di vivere l’oggi con fiducia e coraggio e di andare avanti con speranza... Cosa possiamo rispondere a chi dice che non serve andare a Messa, nemmeno la domenica, perché l’importante è vivere bene, amare il prossimo? E’ vero che la qualità della vita cristiana si misura dalla capacità di amare, come ha detto Gesù: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35); ma come possiamo praticare il Vangelo senza attingere l’energia necessaria per farlo, una domenica dopo l’altra, alla fonte inesauribile dell’Eucaristia? Non andiamo a Messa per dare qualcosa a Dio, ma per ricevere da Lui ciò di cui abbiamo davvero bisogno. Lo ricorda la preghiera della Chiesa, che così si rivolge a Dio: «Tu non hai bisogno della nostra lode, ma per un dono del tuo amore ci chiami a renderti grazie; i nostri inni di benedizione non accrescono la tua grandezza, ma ci ottengono la grazia che ci salva.» (Messale Romano, Prefazio comune IV).

 

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letterina 20171210

“A Natale anche i muri mangino carne”

E’ bello e persino commovente vedere le nostre città e paesi rivestirsi di luci, perché dovrebbero raccontare ed esprimere l’esultanza e la letizia per il Natale del Figlio di Dio nella nostra carne mortale. L’Incarnazione del Signore, infatti, va celebrata con molta solennità! Niente e nessuno deve essere escluso da questa gioia.
San Francesco d’Assisi diceva che nel Natale del Signore, “anche i muri mangino carne, e se questo non fosse possibile, almeno ne siano spalmati all’esterno”. Egli voleva che in questo giorno i poveri ed i mendicanti fossero saziati dai ricchi, e che i buoi e gli asini ricevessero una razione di cibo e di fieno più abbondante del solito.
Se potrò parlare all’imperatore — diceva — lo supplicherò di emanare un editto generale, per cui tutti quelli che ne hanno possibilità, debbano spargere per le vie frumento e granaglie, affinché in un giorno di tanta solennità gli uccellini e particolarmente le sorelle allodole ne abbiano in abbondanza»” ( cfr. Vita Seconda di San Francesco d’Assisi).
Sappiamo bene, tuttavia, che questa ricorrenza è, nostro malgrado, assai strumentalizzata a fini esclusivamente commerciali così da snaturarla nel suo vero significato e ridurla a pura esteriorità: con superficialità abbiamo sostituito “il fine con i mezzi”, creando confusione e disorientamento. Se, infatti, dal Natale eliminiamo il protagonista principale, esso rimane completamente vuoto. In questo caso è, allora, lecito chiedersi che senso ha colorare a festa le vie e le piazze delle nostre città e perché si investa moltissimo in luci, addobbi, pranzi, regali e musiche. Pensiamo a un matrimonio: se da una festa di nozze (e il Natale è realmente la festa di nozze tra il cielo e la terra) non consideriamo più gli sposi, per quale motivo la celebriamo? Mentre ci apprestiamo ai consueti preparativi proviamo, allora, a lasciare risuonare nei nostri cuori questi interrogativi, ricordandoci che il Natale è esclusivamente a motivo di Cristo! Se non c’è Lui, non sussiste il Natale! Non esiste, perciò, il Natale laico e quello cristiano, perché il Natale o è a causa di Cristo o non è. Restituiamo, perciò, “il cuore” a questa ricorrenza celebrandola al meglio, senza... “badare a spese”, sull’esempio di quel “famoso” padre misericordioso che, per esprimere la gioia del ritorno a casa del proprio figlio minore, non esita ad ammazzare il vitello grasso, a mangiare e fare festa, allietato persino dall’orchestra del villaggio (cfr Lc 15).

 

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letterina 20171203

In viaggio nell’Avvento

È giunto il momento di destarsi, di alzarsi presto e mettersi in viaggio per non mancare all'incontro che speri e intuisci essere quello atteso da sempre. Viviamo in un mondo che ha fatto del viaggio uno dei suoi paradigmi: tutti siamo esperti di smartbox, di last minute, o di low cost, e non manca nel nostro repertorio il racconto di mete raggiunte prima degli altri, con mezzi e fatiche che ricordano imprese epiche. Eppure, la sensazione che si respira, è quella di una stanca mediocrità, appiattita al livello della moda del momento.
Una parola viene oggi lanciata nell'acqua stagnante della vita: "Vigila! Sveglia!"
È un invito a non lasciarci rubare il tempo prezioso dalla noia inquieta, descritta da san Paolo: "Sentiamo infatti che alcuni fra di voi vivono disordinatamente, senza far nulla e in continua agitazione" (2 Tes 3,11).
Svegli, non per il piacere di vivere da nottambuli, ma per affrontare il viaggio più affascinate della vita, quello dell'incontro con una Persona che arricchisce la vita e non ingolfa lo smartphone di inutili foto.
E’ stato così anche per alcuni uomini di tempi passati, che conoscevano senz'altro il sapore del viaggio, al punto di non ripetere nemmeno la strada di casa "per un 'altra strada fecero ritorno al loro paese" (Mt 2,12). Perché alla fine, il vero viaggiatore, è colui che resta sulla Via che profuma di Verità e attraversa la Vita (Cv 14,6), al punto da portarla per sempre nel cuore, "ha le tue vie nel suo cuore " (Sal 84,6) e si lascia "appartenere alla Via " (At 9,2). Perché questo scopri, meravigliato, nel tempo di Avvento: non sei tu a viaggiare e poi raccontare avventure infinite. E’ l'Atteso che viaggia per te e non si stanca di ripetere Parole " antiche e sempre nuove" (Mt 13,52). "L'uomo che è partito per un viaggio e ha lasciato la sua casa, non v'è dubbio che sia Cristo. ( ... ) Veglia chi tiene aperti gli occhi dello spirito per guardare la vera luce; veglia chi conserva bene operando ciò in cui crede; veglia chi respinge da sé le tenebre del torpore e della negligenza". (San Beda il Venerabile, dall'esposizione sul Vangelo di Marco)

 

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letterina 20171126

Sono una donna

25 novembre: giornata internazionale contro la violenza sulle donne. 
Mai come quest’anno il tema delle molestie e degli abusi è stato portato a forza sotto le luci della ribalta. Ascoltiamo alcune riflessioni di Erica Balduzzi.

Sono una donna. Sono giovane, anziana, bella o brutta: non importa. Sono casalinga, attrice, segretaria, studentessa: non importa. Sono italiana o straniera: nemmeno questo importa. Sono donna, però: questo sì che importa.
Sono donna e ho imparato presto a soffocare nella vergogna colpevole lo schifo per mani che mi toccano senza permesso, sentendosi sempre autorizzate.
Sono donna e ho dovuto imparare che non posso pretendere niente se mi metto una gonna corta per uscire, anzi, sotto sotto la metto perché voglio certe cose.
Così dicono sempre, sollevando le spalle. E se invece metto i pantaloni e la felpa? Allora ne ho bisogno, dicono: ci pensano loro a farmi sentire femmina per davvero.
Sono donna e ho imparato che tante porte sono sbarrate, se dico di no a certe cose: ma è lecito che me le chiedano, dicono, è normale.
Sono io che non capisco, che me la tiro, che non so come va il mondo: rimani una “signora Nessuno” allora, dicono. Non importano gli studi, il cervello, le capacità: quelle di una donna forse contano meno, in questa società malata? Forse sì.
Sono donna e ho imparato che se da “signora Nessuno” sono diventata una “signora Qualcuno” – un’attrice magari, una donna in carriera – allora non ho diritto di denunciare abusi e molestie, perché è “grazie a quelli” che sono arrivata fino a qui, dicono. Perché “mi piaceva”, dicono. Dicono sempre che a noi sotto sotto piace. Avessero mai guardato una volta le lacrime, le vite lacerate, i pezzetti ricuciti assieme nel silenzio e nell’umiliazione. Avessero mai ascoltati i silenzi umiliati, la paura, la vergogna.

Dicono sempre che a noi sotto sotto piace: ma ce l’avessero mai chiesto una volta, una sola volta, se ci piace davvero così tanto.

Non si può parlare di abusi e molestie come se si trattasse di una perenne lotta di genere, femmine contro maschi, buone contro cattivi, vittime contro predatori.
Non lo è né lo sarà mai. Uomini e donne devono essere complici in una battaglia che passa dall’educazione in casa e a scuola, da politiche lavorative inclusive, da una quotidianità in cui non sia considerato normale toccare il sedere alla cameriera del bar, dare della “zoccola” ad una ragazza in minigonna o denigrare come “facili” le donne che si costruiscono una posizione lavorativa.

Da:santalessandro.org 

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letterina 20171119

“Non mangiamo carezze” 

“Non mangiamo carezze” dice uno dei cartelli esposti nell’ex carcere di Sant’Agata in Città Alta nell’ambito della mostra “Fame”, promossa dalla Caritas in occasione della Settimana dei poveri. Ne ha raccolti molti l’artista francese Sabine Delafon camminando per le strade, fermandosi ad ascoltare i questuanti, ognuno con la sua storia. Li ha comprati e trasformati in opere d’arte e poi in oggetti che si traducono a loro volta in donazioni per dare davvero da mangiare a chi non ne ha.
Questa è già in sé una bella storia, non solo e non tanto per la mostra in sé, ma per il gesto che l’ha generata: e cioè fermarsi, regalare del tempo, fare spazio a un mondo “residuale”, a cui non daremmo normalmente alcun valore. E’ nello sguardo il grimaldello che spinge ad aprirci: noi spesso sfuggiamo gli occhi di chi chiede aiuto, non facciamo alcuno sforzo per capire chi è, perché è arrivato lì, che cosa vuole dire davvero. Quelle persone restano ai margini del nostro campo visivo come della strada, espulsi dai ritmi forsennati delle città. I cartelli però, tolti dal marciapiede e appesi alle pareti di un ex carcere, un luogo di solitudine, di sofferenza e di abbandono, costringono a pensarci seriamente, e appare chiaro che non parlano soltanto di loro – degli esclusi, dei poveri – ma di noi stessi. Con parole molto semplici (“Non mangiamo carezze”) ci spiegano quanto siamo propensi a offrire alle persone ciò che pensiamo di poter dare, ciò che vogliamo, non necessariamente ciò di cui hanno bisogno. E a nostra volta ci sentiamo sempre in credito col mondo e con le altre persone. Un atteggiamento culturale ancor prima che sociale.
“Siamo tutti poveri di qualcosa” ha detto l’artista. Diventiamo facilmente questuanti di affetto, tempo, amicizia, solidarietà, ascolto, comprensione, stima, e puntualmente non otteniamo quanto vorremmo. Ce n’è abbastanza per spingere a ragionare sulla povertà da un altro punto di vista, solo apparentemente più astratto... Forse sono – prima di tutto – proprio il tempo, lo spazio, l’ascolto, lo sguardo che ci mancano – i fondamenti, l’abc, gli ingredienti per un incontro vero, che tenderemmo a dare per scontati – e la capacità di riconoscere che questa mancanza, prima di qualsiasi altra, può essere una forma di povertà, quella che spinge verso lo sfilacciamento dei meccanismi di coesione sociale. Forse è lì, in fondo, che si nasconde la chiave che permette di essere davvero vicini a chi chiede aiuto (non soltanto beni materiali, ma amicizia, affetto, parole), senza chiedere nulla in cambio, e di provare ad “amare con i fatti”, così come chiede il messaggio di Papa Francesco.

Da:santalessandro.org

 

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letterina 20171112

Il Bene Comune 

“La politica – dice la Dottrina sociale della Chiesa – è una delle forme più alte della carità, perché è servire il bene comune. Io non posso lavarmi le mani. Tutti dobbiamo dare qualcosa” (Papa Francesco, 16 settembre 2013)

Le comunità parrocchiali della zona pastorale, (Albenza, Almenno S.B., Barzana, Burligo, Gromlongo, Palazzago, Pontida, Roncallo Gaggio) grazie alla collaborazione con l’Ufficio per la Pastorale Sociale della Diocesi di Bergamo, propongono un percorso di formazione all’impegno socio-politico.
Il percorso si propone di sostenere e incentivare l’attitudine ad un impegno politico e sociale delle persone, che intendono fare un servizio alla Comunità nell’ambito delle istituzioni o comunque contribuendo al dibattito politico. Il percorso è rivolto a persone già impegnate o che intendono impegnarsi concretamente e direttamente nei singoli organi della vita amministrativa e a tutte le persone interessate, indipendentemente dalla estrazione culturale o religiosa, in quanto si basa sulla convinzione che le sfide della società attuale richiedano il dovere di dialogare e di aiutarci reciprocamente ad operare in coerenza con i valori condivisi: questa necessità, che diventa oggi particolarmente urgente, richiede un approfondimento dei criteri per il discernimento.
“Gli obiettivi principali del percorso – dice don Cristiano Re, direttore dell’Ufficio per la Pastorale Sociale, sono quelli di avvicinare i laici cristiani e non alla riflessione con la comunità ecclesiale, in vista di un maggior dialogo sui temi sociali e politici e recuperare nell’ambito della attività politica e amministrativa il valore della partecipazione alla costruzione del Bene Comune”.
La presentazione si terrà mercoledì 22 novembre ore 20.30 a Pontida, presso l’Auditorium S. Alberto. Don Cristiano introdurrà la riflessione con il tema: “La Comunità come spazio di costruzione a partire dal bene comune”.
Poi, gli incontri partiranno nel 2018: mercoledì 23 gennaio, 30 gennaio e 6 febbraio, sempre a Pontida

 

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