letterina 20110123

L'affondo 

Terza tappa: un frustolo di pane

Il tempo che precede l’inizio della Quaresima (quest’ anno decisamente lungo) ci vede nella terza tappa del nostro itinerario pastorale a lavorare intorno alle dimensioni della condivisione e comunione. Non può esserci pace senza giustizia...non può esserci vera giustizia senza fraternità.
 
Nella mia bisaccia, oltre al ciottolo del lago e al ciuffo d'erba del monte, riporrei un frustolo di pane.
Il riferimento alle scorte avanzate, dopo l'intervento di Gesù per sfamare le folle, è chiaro.
E allora mettersi nella bisaccia un pezzo di quel pane avanzato, significa portarsi incorporata l'allegoria dell'impegno concreto di fronte alle grandi sfide con cui oggi la storia interpella le religioni: la fame, la guerra, il degrado ambientale, la sperequazione tra nord e sud del mondo.
 
Qualcuno, anche all'interno della nostra chiesa, si preoccupa del fatto che accentuare queste cose significa ridurre a dimensioni inframondane la salvezza operata da Gesù.
Gesù - si dice - è venuto a liberarci dal peccato e a darci la salvezza eterna, non è venuto a liberarci dalla miseria o a darci una salvezza confinata nell' effimero.
 
Chi pensa in questo modo evidentemente non tiene conto del destino unitario, complessivo dell'uomo; così come non tiene conto neppure di certi allarmati linguaggi del Papa (Giovanni Paolo II, ndr), il quale, nella sua prima enciclica, ha usato una frase audacissima, che sembra correre sul filo di uno stato di depressione poco compatibile con lo stile pontificio: siamo angosciati per l'uomo.
 
Non c'è, quindi, tempo da perdere in queste distinzioni alienanti, mentre l'uomo muore.
 
Il pane per me - diceva Berdjaev - è una questione materiale, il pane per il mio vicino è una questione spirituale.

Don Tonino Bello 

Numeri telefonici dei sacerdoti dell’Unità Pastorale:

Don Lorenzo (Gromlongo) 035 540059 ; 3394581382.

Don Umberto (Barzana) 035 540012; 3397955650.
Don Paolo (Burligo) 035 550081.
Don Giuseppe (Palazzago) 035 550336 ; 3471133405.

 

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letterina 20110116

L'affondo 

Cento anni di ecumenismo

Nell'estate del 1910, nella capitale scozzese si incontrarono oltre mille missionari, appartenenti a diversi rami del Protestantesimo e dell'Anglicanesimo, a cui si unì un ospite ortodosso, per riflettere insieme sulla necessità di giungere all'unità per annunciare credibilmente il Vangelo di Gesù Cristo. (...) 
Ad un secolo di distanza dall'evento di Edimburgo, l'intuizione di quei coraggiosi precursori è ancora attualissima". Con queste parole Benedetto XVI ha fatto memoria dell’evento a cui si vuole ricondurre l’inizio del movimento ecumenico: la Conferenza mondiale missionaria di Edimburgo...
Edimburgo ci ricorda che il cammino ecumenico è possibile solo nella diversità dei soggetti, non nell'identità: quella via ecumenica da praticare, che il teologo luterano Oscar Cullman chiamava  "unità della Chiesa nella diversità delle sue appartenenze". L'ecumenismo, oggi come ieri, ha anzitutto il compito di convertire l'unità cristiana, facendola transitare dal modello imperiale a quello ecclesiale, da un’unità uniforme ad un’unità multiforme. Compito dell'ecumenismo è realizzare l'unità senza perdere la diversità. Finora nella storia della Chiesa l'unità è stata conquistata e mantenuta a prezzo dell’uniformità, e la diversità è stata conquistata a prezzo della divisione. La febbre ecumenica non è arbitraria. Unità e diversità sono un dato fondamentale della fede cristiana. Dio è uno e trino, unità nella molteplicità, molteplice nell'unità. Una Bibbia, ma due Testamenti. Cristo è uno in due nature, è unità e diversità. Abbiamo un Evangelo, un messaggio e quattro Evangeli. Abbiamo uno Spirito e molte lingue. Abbiamo una Chiesa e molti modelli di Chiese già nel Nuovo Testamento. La passione ecumenica nasce dal cuore stesso della Rivelazione cristiana.

Daniele Rocchetti 

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letterina 20110109

L'affondo 

Solitari e muti

A volte chiedo ai giovani di cosa hanno paura. La maggioranza di loro dice della solitudine. Come è possibile? Tutti così ammucchiati e pigiati, immersi nel rumore, cullati dalla musica, avvolti di immagini...Forse tanta presenza non basta per salvarsi dalla solitudine. Una solitudine che intravedi nei gesti del corpo, nel nostro apparente rimanere distaccati, nel non mostrarsi coinvolti che nasconde un gran bisogno di contatto e di incontro.
Lo vedi da come ciascuno di noi controlla continuamente se ci sono messaggi nel cellulare per far capire che non siamo soli e che qualcuno da qualche parte ha bisogno di noi. Viviamo fra queste molteplici solitudini, con visi irrigiditi dalla preoccupazione tenace di nascondere una interiorità che non sappiamo raccontare. Oggi la pubblicità sembra dirci che è bella la bocca di una donna, che sono belli gli occhi di una donna; credo invece che non è bella la bocca, ma il suo sorriso, non sono belli gli occhi, ma lo sguardo. Ci fanno credere che si deve comunicare con gli altri con una apparenza statica, in realtà si comunica con gli occhi, i sorrisi, gli sguardi, i piedi.
Cerchiamo di sfuggire alla solitudine provando a conoscere un maggior numero di persone possibile, mentre è solo se si è capaci di generare intimità e alleanze stabili che si allontana una inevitabile solitudine. Forse è per questo che la tendenza negli ultimi tempi è quella di frequentarsi in piccoli gruppi percependo che nella massa ci si perde e ci si sente ancora più soli. Nel piccolo gruppo, infatti, gli altri mi vedono, mi ascoltano, mi fanno sentire una persona e non un numero.
Bisogna non aver paura di guardarci dentro e ritrovare l’intimità con noi stessi sapendo che nelle cose più profonde e più importanti noi siamo indicibilmente soli e non possiamo scappare dall’esserlo.
In realtà è proprio se non siamo collegati con noi stessi che viviamo solitudini tristi e non abitate

Luigi Verdi

 

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letterina 20110102

L'affondo 

Libertà religiosa, via per la pace

All’inizio di un Nuovo Anno il mio augurio vuole giungere a tutti e a ciascuno; è un augurio di serenità e di prosperità, ma è soprattutto un augurio di pace. Anche l’anno che chiude le porte è stato segnato, purtroppo, dalla persecuzione, dalla discriminazione, da terribili atti di violenza e di intolleranza religiosa...
Ringrazio vivamente i Governi che si adoperano per alleviare le sofferenze di questi fratelli in umanità e invito i Cattolici a pregare per i loro fratelli nella fede che soffrono violenze e intolleranze e ad essere solidali con loro. In tale contesto, ho sentito particolarmente viva l’opportunità di condividere con tutti voi alcune riflessioni sulla libertà religiosa, via per la pace. Infatti, risulta doloroso constatare che in alcune regioni del mondo non è possibile professare ed esprimere liberamente la propria religione, se non a rischio della vita e della libertà personale. In altre regioni vi sono forme più silenziose e sofisticate di pregiudizio e di opposizione verso i credenti e i simboli religiosi. I cristiani sono attualmente il gruppo religioso che soffre il maggior numero di persecuzioni a motivo della propria fede. Tanti subiscono quotidianamente offese e vivono spesso nella paura a causa della loro ricerca della verità, della loro fede in Gesù Cristo e del loro sincero appello perché sia riconosciuta la libertà religiosa. Tutto ciò non può essere accettato, perché costituisce un’offesa a Dio e alla dignità umana; inoltre, è una minaccia alla sicurezza e alla pace e impedisce la realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale.
Nella libertà religiosa, infatti, trova espressione la specificità della persona umana, che per essa può ordinare la propria vita personale e sociale a Dio, alla cui luce si comprendono pienamente l’identità, il senso e il fine della persona. Negare o limitare in maniera arbitraria tale libertà significa coltivare una visione riduttiva della persona umana; oscurare il ruolo pubblico della religione significa generare una società ingiusta, poiché non proporzionata alla vera natura della persona umana; ciò significa rendere impossibile l’affermazione di una pace autentica e duratura di tutta la famiglia umana.
Esorto, dunque, gli uomini e le donne di buona volontà a rinnovare l’impegno per la costruzione di un mondo dove tutti siano liberi di professare la propria religione o la propria fede, e di vivere il proprio amore per Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente (cfr Mt 22,37). Questo è il sentimento che ispira e guida il Messaggio per la XLIV Giornata Mondiale della Pace, dedicato al tema: Libertà religiosa, via per la pace.              

Inizio del messaggio di Benedetto XVI per la giornata della pace 

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letterina 20101226

L'affondo 

Dio c'è e mi assomiglia

Dio c’è e ha il volto dei nostri bambini: è piccolo come loro, è fragile, piange, sorride, allunga la manina. Questo è il segno, un segno piccolo che fa grande il nostro Natale.
Forse dobbiamo cominciare col non aver paura a ripetere le poche semplici parole dei bambini a Natale.
Ho trascritto una poesia che mi ha recitato un bambino di cinque anni. Dice così:
 
"Oh se potessi, Gesù Bambino,
Farti dormire nel mio lettino;
Da questa grotta portarti via,
Là nel calduccio di casa mia!
Ma nel mio cuore una voce dice
che tu domandi una cosa sola:
non la mia casa, non il mio letto,
ma solo un cuore pieno d’affetto.
Se questo chiedi, questo ti dono
Con la promessa di essere buono
".
 
Quel bambino mi ha detto che, alla fine della poesia, bisogna dire: Buon Natale!
 
Obbedisco: Buon Natale! 

 

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letterina 20101219

L'affondo 

Commuoversi e muoversi

Anche l’occhio vuole la sua parte e spesso  la ruba al proprio cuore. Non quel muscolo che sta al centro del petto: quello pulsa e basta. Il cuore che ci vede bene è l’amore.
Quante volte vediamo una persona e ci sfugge l’essenziale. Ne vediamo i difetti. Ne ricaviamo un’impressione netta di antipatia. Oppure non vediamo proprio nulla e quell’incontro genera solo apatia, insensibilità. Ma se a guardare è l’amore, ecco che l’essenziale  -rimasto invisibile agli occhi -  lo vediamo bene. Riusciamo a cogliere un’impronta di bene, una qualità nascosta. L’amore è il setaccio della vita: lascia  passare la polvere luminosa, che altrimenti resterebbe ancorata alle nostre scorie. La lascia passare perché  la veda bene.
E intuisce che è essenziale. C’è dunque un vedere che nasce dall’amore e genera amore. Mi viene in mente lo sguardo di Gesù. Quante volte egli è  passato e ha visto. Ma il suo vedere non è stato superficiale. Come quella volta - ce lo racconta il Vangelo di Matteo - che Gesù vedendo le folle, si commosse profondamente.
La commozione fa parte del nostro bagaglio umano. Oggi, forse, essa si manifesta in modo squilibrato, disordinato: ci si commuove giustamente per un animale abbandonato, ma poi l’embrione di quell’animale così particolare che è l’uomo è il meno difeso di tutti. Sembra che la commozione sia legata esclusivamente al sentire e al vedere, mentre ha scarso riferimento al pensare.
Anche Gesù si commuove, vedendo. Ma non si commuove perché vede gente affamata di pane, gente povera di cose e bisognosa di soldi. No, si commuove perché (le folle) erano stanche e sfinite, come pecore che non hanno pastore (Mt 9,36). Ciò che commuove Gesù va oltre la superficie di ciò che si vede. Il suo è un vedere interiore, che parte dal cuore e sa arrivare al cuore e ci insegna a commuoverci per quell’essenziale che è invisibile agli occhi.
Perché la commozione sia feconda occorre che sia seguita dall’azione. Non ha senso emozionarsi se poi non si fa nulla. Gesù si commuove e dà precise indicazioni ai dodici apostoli. L’amore, proprio perché ci vede bene, agisce.    

 

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