letterina 20110820

L'affondo 

GMG Madrid 2011

“Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede”  (cfr Col 2,7). Vi possiamo scorgere tre immagini: “radicato” evoca l’albero e le radici che lo alimentano; “fondato” si riferisce alla costruzione di una casa; “saldo” rimanda alla crescita della forza fisica o morale. 
 
La Lettera da cui è tratto questo invito, è stata scritta da san Paolo per rispondere a un bisogno preciso dei cristiani della città di Colossi. Quella comunità, infatti, era minacciata dall’influsso di certe tendenze culturali dell’epoca, che distoglievano i fedeli dal Vangelo. Il nostro contesto culturale, cari giovani, ha numerose analogie con quello dei Colossesi di allora. Infatti, c’è una forte corrente di pensiero laicista che vuole emarginare Dio dalla vita delle persone e della società, prospettando e tentando di creare un “paradiso” senza di Lui. Ma l’esperienza insegna che il mondo senza Dio diventa un “inferno”: prevalgono gli egoismi, le divisioni nelle famiglie, l’odio tra le persone e tra i popoli, la mancanza di amore, di gioia e di speranza. Al contrario, là dove le persone e i popoli accolgono la presenza di Dio, lo adorano nella verità e ascoltano la sua voce, si costruisce concretamente la civiltà dell’amore, in cui ciascuno viene rispettato nella sua dignità, cresce la comunione, con i frutti che essa porta. Vi sono però dei cristiani che si lasciano sedurre dal modo di pensare laicista, oppure sono attratti da correnti religiose che allontanano dalla fede in Gesù Cristo. Altri, senza aderire a questi richiami, hanno semplicemente lasciato raffreddare la loro fede, con inevitabili conseguenze negative sul piano morale.
Ai fratelli contagiati da idee estranee al Vangelo, l’apostolo Paolo ricorda la potenza di Cristo morto e risorto. Questo mistero è il fondamento della nostra vita, il centro della fede cristiana. Tutte le filosofie che lo ignorano, considerandolo “stoltezza” (1 Cor 1,23), mostrano i loro limiti davanti alle grandi domande che abitano il cuore dell’uomo. Per questo anch’io, come Successore dell’apostolo Pietro, desidero confermarvi nella fede (cfr Lc 22,32). Noi crediamo fermamente che Gesù Cristo si è offerto sulla Croce per donarci il suo amore; nella sua passione, ha portato le nostre sofferenze, ha preso su di sé i nostri peccati, ci ha ottenuto il perdono e ci ha riconciliati con Dio Padre, aprendoci la via della vita eterna. In questo modo siamo stati liberati da ciò che più intralcia la nostra vita: la schiavitù del peccato, e possiamo amare tutti, persino i nemici, e condividere questo amore con i fratelli più poveri e in difficoltà.
Dal messaggio del Papa per la XXVI Giornata mondiale della gioventù      

 Scarica qui la letterina

letterina 20110813

L'affondo 

Ricerca

Noè, dopo il diluvio, prima manda un corvo per veder se le acque si fossero ritirate e poi manda una colomba, la quale ritornò con un ramoscello d’ulivo nel becco (cfr. Gen. 8, 6-12). Il corvo vola su immense distese d’acqua, la colomba invece ha la fortuna di toccare terra e staccare da un ulivo un ramo. Il primo animale è simbolo della ricerca infruttuosa, il secondo invece rappresenta il successo, la riuscita. Riesce ad avvistare la terra e di essa strapparne una parte, un ramoscello d’ulivo, per l’appunto. Il corvo invece era tornato senza portare nulla, se non l’informazione indiretta che sulla terra le acque ancora non si erano ritirate. Troppo poco.
Ciò sarebbe bastato ad alimentare soltanto il pessimismo. Fino a quando Noè e i suoi ospiti dovevano ancora rimanere nell’arca? Ce l’avrebbero fatta? Si sarebbero salvati? Il corvo in questo senso evoca la paura, il rischio di perdersi, il  fatto che la notte non è ancora finita. Per dirla  in due parole, il corvo che torna è il messaggero del no. Il volo di una colomba descrive in cielo l’arco di un gioioso sì. Ora, io mi rendo conto che dal punto di vista psicologico il corvo svolge un ruolo più importante della colomba. La colomba infatti chiude la prova del diluvio, la grande tribolazione. Il corvo invece è il compagno della nostra vita. Ci dice che ancora dobbiamo aspettare, che ancora non è finita e addirittura che quando sarà finita neppure ci proveremo gusto.  Ci svela la dimensione dell’esistenza non vittoriosa, dell’esistenza comune di tanti di noi, di quelli perlomeno come me, che devono portare pazienza, che non conoscono la scatto di un avanzamento insperato, che non hanno avuto il dono di una intuizione lucida, che non possono legare legami con i potenti. Il corvo mi rappresenta la condizione di tanti di noi che dobbiamo aspettare e sperare; la facies non di chi è realizzato e soddisfatto, semmai di questo si fa interprete con il uso volo superbo la colomba. Il corvo ti dice (mi dice) che devi ancora lavorare, devi ancora stare sotto. E un po’ ci insegna la bellezza della vita. Che è fatica fino alla fine e non appagamento; è movimento e non riposo; conquista e non stabilità. Questo vedo nel volo del corvo che fa ritorno all’arca di Noè. La colomba invece non mi dice niente; la sua retorica del ramo d’ulivo della pace un po’ mi offende. Il corvo sa che la pace non c’è, che dobbiamo conquistarcela, che laddove ci sembra pace, qualcuno sta morendo di guerra. Il volo del corvo non è poi così infruttuoso. Mi insegna che talvolta un no, con tutti i suoi ritardi, rinvii e aggiornamenti, fa perdere meno tempo,  ovviamente dal punto di vista psicologico e umano, di un inutile sì che puoi sentire sul becco di una vana e più fortunata colomba.                 
Lucio Coco     

 Scarica qui la letterina

letterina 20110806

L'affondo 

Il branco

“Se vuoi entrare nella nostra banda, lo devi fare!” disse Pietro a muso duro. Ale fissava la punta delle scarpe. “Non ho mai rubato” mormorò. “C’è sempre la prima volta. E una prova di coraggio è una prova di coraggio!” “Non avere fifa” lo incoraggiò Berni. “Noi distraiamo il vecchio e tu fai sparire il cioccolato in tasca. Dai!” Ale scrollò le spalle:”Non è una gran prova di coraggio fregare il cioccolato a un vecchio”. “Vuoi essere dei nostri, sì o no?”  “Sei un vigliacco?” “Io non sono un vigliacco” rispose Ale. E si diressero tutti e tre verso la piccola bottega che vendeva un po’ di tutto. Il campanello della porta trillò. Il vecchio li guardò da sopra gli occhiali e li salutò con un cenno del capo. Pietro e Berni finsero di esaminare la merce con aria indolente. Poi richiamarono l’attenzione del  bottegaio nell’angolo dei quaderni. “Quanto costa questo?” “Cinquanta centesimi”. Nella parte opposta del negozio Ale con mossa rapida fece scivolare alcune confezioni di cioccolato nelle tasche. I ragazzi pagarono il quaderno. Il vecchio regalò a ciascuno una gomma da masticare. Lo faceva con tutti i bambini. I ragazzini corsero via eccitati. Ai giardini, Ale consegnò il bottino. “Cioccolato con le nocciole! Grande!” Lo divorarono. Ale lo trovò spiacevolmente amaro. “Ora sei dei nostri!” disse Pietro e gli diede un rumoroso”cinque”. “Io vado a casa” mormorò Ale. 
Passò la serata a studiare e andò a letto senza discutere.
Il mattino dopo, ebbe un tuffo al cuore passando davanti alla bottega del vecchietto. Alla fine della mattinata di scuola cincischiò  con libri e zainetto finchè  rimase solo, poi entrò nella bottega. Il campanello trillò e il vecchietto lo accolse cordialmente. Il ragazzino mise una banconota accanto alla cassa. “Tre tavolette di di cioccolato” disse. “Prendile pure, Ale” rispose il vecchio. “Le ho già
prese ieri, signore” mormorò il bambino arrossendo. E aggiunse:”Ho dovuto farlo. Era una prova di coraggio…”
Il vecchio prese la banconota e gli diede il resto, come sempre regalò ad Ale una gomma da masticare. Poi fece un cenno di approvazione con il capo:”La prova di coraggio l’hai superata oggi”.     
da Bruno Ferrero:”L’allodola e le tartarughe”    

 Scarica qui la letterina

letterina 20110730

L'affondo 

Rimbambito

Costeggio il lago di Endine completamente coperto di ghiaccio...Immerso in questo angolo di paradiso, sento che dietro la mia macchina qualcuno suona ripetutamente il clacson. La strada è un lungo susseguirsi di curve e paesi ed è impossibile viaggiare a velocità sostenuta. Arrivato ad un semaforo, scendo dalla vettura e chiedo al giovane nell’auto che mi segue cosa c‘è che non va: “Ma stai andando come una lumaca!”. Gli faccio notare che c’è il divieto di superare i cinquanta chilometri all’ora. E lui: “Per i vecchi rimbambiti come te”.  Lo fisso...e mi limito a sussurrargli: “Il Signore ti benedica”. “Per i vecchi rimbambiti come te”. “Rimbambito”. Etimologicamente non è un insulto, anzi, per me, cristiano, è un elogio, dato che “rimbambire” significa ritornare come bambini. E non ha forse Gesù detto che questa è la condizione indispensabile per entrare nel regno dei cieli? “Rimbambire” nell’accezione data da quel giovane significa “perdere il senno” ed è spesso legato all’età. Allora devo prendere in considerazione la parola “vecchio”. “Vecchio”. Quante volte ho detto e scritto che una persona non deve sentire come una segreta vergogna il fatto d’invecchiare. Anzi, è un privilegio vivere carico di anni. Si diventa come gli alberi d’autunno: col cadere delle foglie lasciano intravvedere la loro nuda bellezza ed essenzialità. E pure i loro rami spogli, visti in prospettiva del cielo, scrivono parole di speranza. “Vecchio”. Il mio dizionario, proprio nell’ultima spiegazione mi consola, affermando che ci può essere il rimando a “veglio”. 
Forse fa allusione al fatto che noi, “vecchietti” dormiamo poco. Oppure che viviamo con un cuore che ascolta. Le due accezioni mi piacciono. Noi siamo chiamati a vivere captando ogni cosa con un senso di meraviglia, vedendo ovunque tracce del divino. Ma per arrivare a questa capacità di vedere il mondo con gli occhi stessi di Dio, occorre vivere tante, tante primavere. Per cui occorre molto tempo per diventare giovani, come lo è Dio. E torno col pensiero al giovane Salomone che, in risposta a Dio che gli chiedeva cosa volesse, disse: “Dammi un cuore che sa ascoltare”… Sentendosi giovane il re d’Israele domanda la sapienza nella preghiera. Ciò mi rimanda ancora a Cristo che ci addita l’atteggiamento del bambino che conviene al cristiano… L’invecchiare fa capire che bisogna avere sì fiducia in noi stessi, ma nella più grande umiltà. Umiltà che è una forza di agire per ciò che è essenziale nella vita: amare ed essere amati. Umiltà che è verità su noi stessi, del nostro invecchiare, accettato con un sorriso anche quando ciò ti è sbattuto in faccia, assieme all’appellativo di “rimbambito”...Umiltà come inizio della vera sapienza: “Solo Dio basta”.     
don Valentino Savoldi   

 Scarica qui la letterina

letterina 20110723

L'affondo 

La blogger Amina

Sono perlopiù giovani i manifestanti che hanno messo in discussione regimi e potentati a sud del Mediterraneo, innescando rivolte e cambiamenti impensabili fino a pochi mesi fa. Internet è lo strumento più usato dai giovani, capaci di muoversi con disinvoltura tra blog, twitter, messenger, youtube e quant’altro la rete mette a disposizione per comunicare e trasmettere informazioni. Senza dimenticare naturalmente Facebook e gli altri social network. Giovani e internet, dunque. Forze dirompenti e difficilmente controllabili.  E, infatti, non si sa ancora quale volto dare ai sommovimenti innescati nel mondo arabo-  tra religione e politica, desiderio di democrazia e occidentalizzazione dei costumi—così come, nello stesso tempo, diventa difficile comprenderne i confini.
In questo scenario, fa riflettere il caso blogger Amina — così l’hanno conosciuta un po’ tutti gli osservatori — omosessuale siriana che ha raccontato a più riprese sul blog, appunto, la rivolta nel proprio Paese. Ha appassionato tantissime persone, ha coinvolto tutti nel proprio destino e nei propri sentimenti, è stata anche arrestata...fino a scoprire che Amina non è mai esistita. Una bufala. Amina era una 40enne statunitense che si era semplicemente inventato tutto, o quasi. Una personalità virtuale, vicende e sentimenti non suoi, immaginati. Uno scherzo? Forse si può chiamare così. Ma la questione, in realtà, è maledettamente seria e riguarda la credibilità degli strumenti di comunicazione e in particolare di Internet, così diffuso, così facile da usare e nello stesso tempo estremamente complicato da gestire.
Già, perché la questione della verità e della credibilità è seria e proprio la rete, in proposito, presenta  molti “buchi”. Nella sua “democraticità” è un insieme di indicazioni/fonti tutte uguali, difficili da verificare. Si fatica a dare una gerarchia alle notizie; si fa fatica a verificare, come è accaduto per Amina: la bufala è stata scoperta per caso, quando l’unica foto della presunta blogger messa in rete è stata riconosciuta come quella di un’altra donna. La rete va presa con le pinze.  Il rischio non è solo quello di una “distrazione virtuale” (un mondo distante dalla realtà), ma anche quello più subdolo, di travisare il mondo vero, i fatti “duri e cocciuti” e di perdere la bussola  che ci orienta sulle strade della quotidianità.   

 Scarica qui la letterina

letterina 20110716

L'affondo 

La mano di Dio

C'è un campo nel cuore in cui intrecciano le loro radici, spesso inestricabili, il bene e il male: nessuno è solo zizzania, nessuno puro grano. La parabola racconta due modi di leggere e lavorare il cuore. Il primo è quello dei servi che fissano l'attenzione sulla zizzania: «Da dove viene? Vuoi che andiamo a raccoglierla?» Il secondo è quello del padrone del campo che ha invece gli occhi fissi al buon grano: «Non raccogliete la zizzania, per non sradicare anche il grano: una sola spiga conta più di tutta la zizzania». 
Quale dei due sguardi è il nostro? Quello opaco e triste dei servi che vede il mondo e le persone invasi dal male, che giudica con durezza manichea? Quello positivo e solare del signore che intuisce, dovunque, spighe, pane e mietiture fiduciose, e che ha messo la sua forza nella mitezza? 
«Non strappate la zizzania». Noi abbiamo sempre una violenta fretta di moralizzare e mettere a posto. L'uomo infantile che è in noi grida: strappa via da te, e soprattutto intorno a te, ciò che è puerile, fragile, difettoso. Il signore del campo suggerisce: preoccupati del buon seme, ama i tuoi germi di vita, custodisci ogni germoglio. Tu non sei le tue debolezze, ma le tue maturazioni; l'uomo non coincide con i suoi peccati, ma con le potenzialità di bene. 
Vero esame di coscienza è leggere la vita con quello sguardo divino che cerca non l'assenza di difetti, illusione inutile e spesso mortifera, ma la fecondità come etica della vita. Impariamo a vedere ciò che di vitale, di bello, di promettente Dio ha seminato in noi (non è orgoglio, ma responsabilità), facciamo sì che porti frutto, che ogni granellino di senapa cresca con il dono di attrarre e accogliere vite, che ogni pizzico di lievito abbia il tempo per sollevare e rialzare i giorni inerti. 
Facciamo nostra l'attività positiva, solare, vitale del Creatore che per vincere le tenebre accende ogni giorno il suo mattino, per muovere la massa immobile vi nasconde il lievito. Preoccupiamoci non della zizzania, dei difetti, delle debolezze, ma di avere un amore grande, ideali forti, desideri positivi, una venerazione profonda per le forze di bontà, generosità e coraggio che la mano viva di Dio semina in noi. Facciamo che esse erompano in tutta la loro bellezza, in tutta la loro potenza, e vedremo le tenebre ritirarsi e la zizzania senza più terreno. E tutto il nostro essere maturare nel sole. 
P. Ermes Ronchi  

 Scarica qui la letterina