letterina 20110416

L'affondo 

Attraversare Gerusalemme

I tre sinottici descrivono l’ultima fase terrena di Gesù come una salita verso Gerusalemme. Una salita lunga, dove, ad ogni passo, siamo messi di fronte a delle sfide e scelte decisive tra Gerusalemme e Babele. Babele è il simbolo della gloria senza croce, dell’illusione mortale, mentre Gerusalemme è il simbolo della croce che conduce alla gloria. A Gerusalemme si impara il grande mistero della vita, cioè la vita che scaturisce dalla morte. Chi non capisce questo mistero rischia di disperdere la sua vita. Quando esco di casa sono di fronte all’altro: il cattolico della mia confessione (a Gerusalemme ci sono sette differenti Chiese Cattoliche), le altre Chiese Cristiane (a Gerusalemme ci sono quattordici differenti Chiese Cristiane), le altre religioni (Islam e Giudaismo), e poi il mondo intero nei volti di tutti i pellegrini di tutte le religioni, confessioni e popoli. Vivere a Gerusalemme vuol dire dilatare il proprio cuore alla misura del mondo. Ma  ci sono anche le realtà verticali: Dio è presente in ogni pietra di questa città. Tutto parla di Lui.
Non posso credere che tutto questo sia un caso della storia, una fatalità. Sono sicuro che tutto questo è parte di una storia della salvezza che da sempre è in corso e che sempre rimarrà in corso. Dio ha voluto tutto questo per fare di Gerusalemme un laboratorio di nuova umanità. La Città Santa ci mette di fronte a una scelta fondamentale: fare di Gerusalemme, e quindi della nostra umanità un cimitero comune oppure farne un giardino dove Dio giunge all’incontro con la sua umanità, come nel giardino paradisiaco all’inizio della Genesi. 
Ho vissuto a Gerusalemme trentacinque anni: questa città mi ha dato tanto. Lì ho imparato che non posso essere uomo se non insieme ad altri uomini e che non posso essere cristiano se non con gli altri cristiani, che non posso essere credente se non con gli altri credenti. Ho imparato che la mia identità non può essere chiusa , ma aperta e che non può essere completa senza la ricchezza dell’altro e dell’Altro e che la logica del “io o lui” è una logica di morte, mentre la logica del “io e  te” è una logica di vita. Questo è il mistero di Gerusalemme, una città pasquale per eccellenza.                                 

Rafiq Khoury parroco di Bir Zeit in Palestina

  

Numeri telefonici dei sacerdoti dell’Unità Pastorale:

Don Lorenzo (Gromlongo) 035 540059 ; 3394581382.

Don Umberto (Barzana) 035 540012; 3397955650.
Don Paolo (Burligo) 035 550081.
Don Giuseppe (Palazzago) 035 550336 ; 3471133405.

 

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letterina 20110409

L'affondo 

Elogio del silenzio

Ogni tanto fare silenzio dentro di noi e intorno a noi è una  necessità. Come respirare. Una necessità umana:per essere presente nel proprio mondo interiore tra le sue onde travolgenti. Una necessità sociale: per andare verso l’incontro con il mistero dell’ altro, al di là delle maschere,  le mie e le sue, per scoprire la sua bellezza originale. Una necessità psicologica: per mettermi in ascolto di me stesso, di tutte le mie energie vitali, delle voci contraddittorie, delle ferite nascoste, dei desideri repressi. Una necessità spirituale, per essere attento al passaggio del Signore nella mia vita. Infatti il suo passaggio è discreto, silenzioso, non si capta se non attraverso un silenzio vigile, come accadde ad Elia sul monte Sinai. Senza il silenzio vivremmo in esilio, lontani dal paese natale, lontani da noi stessi, dall’altro, da Dio, dalla società, per diventare vittime di quelle forze nascoste e folli che minano inconsciamente il nostro corpo umano.
Una sera , mi sono trovato in un taxi per le strade di Gerusalemme.
Nel cielo brillava una bella luna, come se ne vedono spesso a Gerusalemme durante l’estate. Improvvisamente il tassista, un musulmano, si ferma e mi dice: ”Padre, guarda lì! 
La  luna!Dio sia lodato! Che bellezza!”. Dopo un breve silenzio, prosegue:”Sai ho tre figli:fattura dell’elettricità, dell’ affitto, dell’acqua, le tasse. E’ cosi la nostra vita, non abbiamo il tempo per guardare la luna. Non la vedo da tre anni”.
Il silenzio è una necessità per contemplare gratuitamente la bellezza della creazione.    

Rafiq Khoury parroco di Bir Zeit in Palestina

 

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letterina 20110402

L'affondo 

Il  cortile dei gentili

«Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di “cortile dei gentili” dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l'accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa. Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto». Queste parole, indirizzate da Benedetto XVI alla Curia romana in occasione degli auguri natalizi del 2009, hanno prodotto un effetto anche concreto: un dicastero vaticano, il Pontificio consiglio della cultura, ha dato il via a un'istituzione, denominata appunto «Cortile dei Gentili», per aprire un dialogo serio e rispettoso tra credenti e agnostici o atei. L'evento inaugurale si è tenuto a Parigi in questo mese di marzo in contemporanea in più sedi: la Sorbona, l'Unesco e l'Académie Française, secondo prospettive diverse. L’immagine del Cortile che fa riferimento al primo recinto (largo 300 metri e lungo 475) del tempio di Gerusalemme in cui potevano entrare i pagani, dice oggi che  credenti e non credenti stanno su territori differenti, ma non si devono rinserrare in un isolazionismo sacrale o laico, ignorandosi o peggio scagliandosi sberleffi o accuse, come vorrebbero i fondamentalisti di entrambi gli schieramenti. Certo, non si devono appiattire le differenze, liquidare le diverse concezioni, ignorare le discordanze. Ognuno ha i piedi piantati in un “cortile” separato, ma i pensieri e le parole, le opere e le scelte possono confrontarsi e persino incontrarsi. Quello che il progetto denominato «Cortile dei Gentili» vuole proporre è un duetto (dal latino duo) ove le voci possono appartenere anche agli antipodi sonori, come un basso e un soprano, eppure riescono a creare armonia, senza per questo rinunciare alla propria identità, cioè  –  fuor di metafora  – senza scolorirsi in un vago sincretismo ideologico.
In questo incontro tra i due “cortili”, una scelta previa è quella della purificazione dei due concetti di base. 

 

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letterina 20110326

L'affondo 

Ossi buchi

Quando le senti dici “poverino” o “che ignorante” o “ossignore”,
“amen”...
Ma quando le vedi anche scritte non sai più cosa pensare. Perché se
una può scappare accidentalmente, scriverla prevede l’averla pensa-
ta, trovare qualcosa per scrivere, individuare qualcosa su cui scrivere
e decidere di scriverla. E decidere di scriverla per intero.
Insomma è più facile dirla. 
Ah, non ho ancora detto cosa: la bestemmia.
Ne ho viste scritte sullo scooter, sui banchi di scuola, sui manifesti,
sui cavalcavia. E ne ho sentite addirittura come suoneria di un cellu-
lare: Sì, una dopo l’altra, come una litania ininterrotta. Cose da non
credere. Valli a capire questi progressi della tecnica.
Ridere? Piangere? Relativizzare?
C’è poi chi dice di farlo per abitudine.
Può essere un attenuante? Non sono sicuro; come non si può amare
per abitudine, né credere, nè perdonare.
E c’è chi l’ha fatto diventare un intercalare a intervalli regolari.
Intervallo tra una bestemmia e l’altra con dentro niente.
Un po’ come un osso.
Buco.
Ma lì dentro almeno qualcosa c’è.
Nella testa di chi bestemmia?
Mi consolo un po’ con questa frase di Majakowsky:
“ Io ti bestemmio perchè ho paura d’abbracciarti”.
Che ci sia tanto bisogno di abbracci?

 

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letterina 20110319

L'affondo 

I bulli e il giudice

La notizia è proprio curiosa. Due minorenni di Bassano del Grappa, colpevoli di gravi atti di bullismo, sono stati condannati dal tribunale dei Minori di Mestre, a impegnarsi nel volontariato, ad andare a messa tutte le domeniche, ottenere ottimi voti a scuola oltre a scusarsi con le vittime. I due saranno tenuti sotto controllo dagli psicologi dei servizi sociali del Comune di Bassano del Grappa. Il percorso dei giovani durerà un anno al termine del quale il giudice deciderà se considerare la vicenda chiusa o riprendere il percorso penale. 


La pena che fa discutere di più è l’obbligo di andare a messa la domenica. "Non credo, ha detto l’Abate di Bassano monsignor Renato Tomasi, che si possa imporre la fede come pena. Nessun giudice o norma - afferma - può imporre l’obbligo di andare a messa e in ogni caso chi dovrebbe controllare la loro fede?
Non credo che i parroci possano farlo".  Ineccepibile l’osservazione dell’abate.
Ma chi deve controllare e che cosa? 


Il giudice non impone una fede, ma un comportamento: andare a messa. E questo può essere controllato da chiunque. Il problema semmai è se questo è il comportamento più adeguato per rimettere in riga i due bulli. Va notato un particolare. L’impegno nel volontariato, lo studio a scuola, le scuse alle vittime insieme con la frequenza alla messa compogono l’immagine di un bravo ragazzo di paese. Resta da vedere se questa immagine funziona ancora. Lecito qualche dubbio. Il dubbio poi fa rimbalzare un’obiezione: i ragazzi - di paese o di città - hanno ancora dei modelli ai quali riferirsi? O il fatto di essere senza regole - il bullismo è il classico atteggiamento degli 'sregolati' -  dipende anche da un altro fatto e, cioè, che non esistono modelli? L’unico modello possibile viene imposto per legge. Ma la legge non potrà mai far nascere modelli. E si può ragionevolmente pensare che la severità del giudice del tribunale dei Minori di Mestre incontrerà qualche ostacolo e, cosa ancora più grave è possibile che i due bulli rimangano tali.    

don Alberto Carrara 

 

   

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letterina 20110312

L'affondo 

Preghiera, digiuno, condivisione

Tempo di Quaresima. Un tempo prezioso per la vita del credente, perché posto sotto il segno del rinnovamento e della conversione. Come ciascuno di noi sa bene, la conversione non è mai un evento accaduto una volta per sempre, ma è un dinamismo che dobbiamo rinnovare a ogni età, in ogni stagione, ogni giorno della nostra esistenza. Capita infatti che noi allentiamo le forze, ci stanchiamo, siamo preda dello smarrimento e della consapevolezza della nostra debolezza. Non siamo capaci di vivere sempre un’esistenza pasquale: l’incostanza, l’abitudine, la routine ce lo impediscono. Ecco allora il tempo propizio della Quaresima, tempo di "esercizi cristiani" come lo chiama il monaco Enzo Bianchi, tempo in cui intensifichiamo alcune azioni e riprendiamo alcuni atteggiamenti che, ripetuti con particolare attenzione e forza, ci permettono di sviluppare, confermare e accrescere le nostre risposte alle esigenze della sequela cristiana. Per questo, la sapienza della tradizione cristiana consiglia al cristiano in questo tempo quaresimale soprattutto la preghiera, il digiuno e la condivisione. Tre azioni che già nella tradizione ebraica erano considerate le tre colonne per la vita del "giusto" e che non a caso Gesù raccomanda nel discorso della montagna. Si tratta di tre impegni che costano materialmente, ma che sono essenziali per vivere nella libertà, lontano dall’alienazione degli idoli: la preghiera infatti significa privarsi del tempo per donarlo a Dio, il digiuno è privarsi del cibo per spogliarsi personalmente, la condivisione è privarsi di quanto si possiede personalmente per farne parte a quanti fanno più fatica. Perché questo sia possibile, occorre custodire l’ascolto e il confronto con la Parola. Nella vita spirituale si cresce a misura che si scende nella profondità dell’ascolto. Non dimentichiamoci che la stessa preghiera cristiana è anzitutto ascolto. È accoglienza di una presenza, è relazione con un Altro che ci precede e ci fonda. Pregare, infatti, non è chiedere che Dio realizzi i nostri desideri, ma comporta il predisporsi alla volontà di Dio che si concretizza nell’amore. La preghiera, per questo, non è scissa dalla vita, ma ascolto che la trasforma e la guida continuamente.   

Mons. Francesco Beschi

 

   

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