letterina 20120428

Nel calcio comanda il ricatto

Adesso, forse, tutti hanno capito chi comanda in quel mondo lì.  
Se ancora non era chiaro, se ancora serviva qualche plastica dimostrazione, ecco serviti anche i soggetti dotati di comprendonio particolarmente resistente. Nel calcio comandano loro. Nel calcio comanda il ricatto degli ultrà. Comanda sui giocatori, comanda spesso sui presidenti, comanda talvolta sui giornalisti. Un ricatto non sempre violento e manifesto, alla luce del sole e persino senza passamontagna, come quello di ieri a Genova, culminato con l’umiliazione pubblica del calciatore reo di perdere una partita, finanche di perdere un campionato. E allora via le maglie, perché nel calcio comandano loro, e sono loro a stabilire chi è degno di indossare quella maglia, e chi non lo è.
Via quelle maglie, lì in mezzo al campo, altrimenti vedi che succede. È il ricatto della violenza. È il ricatto della paura, che fa cedere perché poi lì non c’è solo la feccia, ci sono i papà coi bimbi, la maggioranza non contaminata, e non puoi mai sapere come va a finire.                                                                               
Adesso forse avranno tutti capito come funziona in quel mondo: è una logica di puro potere, di pura visibilità, di puro spazio d’azione guadagnato passo dopo passo. È una logica – se l’accostamento non scandalizza – politica e mafiosa. Cos’hanno ottenuto i tifosi del Genoa? La vittoria sul Siena? No, anzi: otterranno forse la serie B. Ma ora è chiaro che lì non comanda un presidente, non comanda un capitano e nemmeno uno straccio di questore. Comandano loro: retrocessi, ma temuti e rispettati.  
E tra le due, la priorità è questa: è si tifo, ma c’è chi ci campa.                                               
È la resa, questa giornata. Perché puoi controllare tasche e giubbotti, ma i cervelli no.
Puoi mettere tornelli su tornelli, puoi approvare tutte le leggi più restrittive. Ma in questo calcio ci sono armi che colpiscono più dei randelli, più delle coltellate. Sono le idee. È quel fanatismo strisciante che dice di odiare il calcio moderno, ma in verità odia tutto quel che non è come lui. È quell’imbottitura di ideologia blaterante di rispetto e onore, ma che finisce per rispettare solo il simile, vestito delle stesse strisce.  
Il resto, carne da macello.                   
Pensateci. Otto giorni fa il calcio si era fermato, la morte di Piermario Morosini aveva persino creato una bolla d’illusione, quelle sciarpe da sempre nemiche, ma per un giorno sorelle, ci avevano fatto sperare che un fiore nuovo potesse nascere. Otto giorni dopo, capiamo l’errore. Umiliata, anche quella speranza.

Da un articolo di Roberto Belingheri de L’Eco di Bergamo, 23 aprile 2012

 

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letterina 20120421

Meglio oggi

Domani non avrà più nove anni.  
Domani non lo potrai più abbracciare e stringerlo forte forte, e cosa non faresti!  
Domani non ti chiederà più di rotolarti sull’erba, e lo vorresti così tanto!
Domani non verrà più a dormire sul letto con te, ed è giusto così!  
Domani uscirà con un’altra donna e non sarai più tu l’unica, ed è bene così!  
Domani non gli racconterai più le storie dei maghi e delle fate.  
Domani non vorrà più fare i compiti con te, anche se a volte è così pesante!  
Domani non ci sarà più in casa ad aspettarti quando esci, e te ne starai sola!  
Domani non ti chiederà più di preparargli i dolci per la festina di compleanno, perché se ne andrà in pizzeria.  
Domani non lo chiamerai più “il mio bambino”,  perché non sarà più “bambino” e neanche “tuo”.  
Domani? Forse non ci sarà.  
Domani? Forse non ci sarai tu.  
Domani? Forse non ci sarà lui.  
Domani? Meglio oggi!  
Abbraccialo, sorridi, canta, sporcati, oggi.  
Quello che devi fare: meglio oggi.  
Quello che gli devi dire: meglio oggi.  
Quello che puoi vivere: meglio oggi.  
Perché ciò che è perso, è perso.  
Così domani non avrai rimpianti e lo lascerai andare.  
Così domani vivrai il domani perché oggi vivi l’oggi.  
Domani? Meglio oggi.     

da  una mamma per la prima comunione

 

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letterina 20120414

Trasgressione

Credo che, in questi tempi, la più grande trasgressione sia proprio essere cristiani. La via della fede, infatti, è una straordinaria via di liberazione e di sapienza. In questo mondo appiattito sulla banalità mediatica e sulla negazione della persona, il cristianesimo è un cammino verso la totalità dell’essere, verso la sua vera libertà che consiste nel fare emergere la parte divina presente in ognuno di noi. Chi segue il cammino della fede non rincorre la felicità saltellando qui e là come un cacciatore di farfalle, ma vive la gioia interiore in ogni momento della sua vita, anche nei più drammatici, perchè la dimensione del Regno non è quella di un ipotetico aldilà, per cui si raccolgono i punti collezionando buone azioni, ma la costruzione di ogni istante, di ogni rapporto nella luce profonda dell’amore.
La sapienza ci dice che sono sempre due i modi di fare le cose: uno in armonia con le leggi del creato e uno contro.
Si può edificare una casa sulla roccia o costruirla sulla sabbia. Esteriormente possono essere uguali, ma alle prime piogge la seconda crollerà, provocando distruzione e morte, mentre la prima resterà in piedi, proteggendo i suoi abitanti.
Questo vale per tutte le cose. In qualsiasi rapporto, in qualsiasi attività noi intraprendiamo abbiamo, alla fine, sempre e soltanto due strade davanti a noi.
Si può vivere per il possesso o si può vivere per l’amore. Si può vivere con il nostro orizzonte ristretto, convinti che sia l’assoluto, o si può accettare con umiltà di avere una visione limitata, e che, in questa visione, la vita appaia ora, come apparirà sempre, uno straordinario mistero che proprio in quanto tale richiede assoluto rispetto.
E’ questo il bivio davanti a cui si trova il nostro mondo. Continuare nella follia faustiana del tutto è possibile e lecito o fermarsi e invertire la rotta. Distruzione e salvezza sono entrambe nelle nostre mani. A noi la responsabilità della scelta.

Da Susanna Tamaro, L’isola che c’è

 

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letterina 20120407

Non è una follia

Non è mai stato facile annunciare che Gesù, condannato e messo a morte mediante il supplizio della croce, dopo tre giorni è risorto ed è vivente per sempre. E’ follia più grande dello stesso annuncio della croce, perché la croce è opera degli uomini e perché croci e calvari sono stati presenti di generazione in generazione nella storia dell’umanità, mentre la risurrezione non può essere che opera di Dio. Follia, dunque: follia per chi non ha la fede, questo dono che fa aderire a Gesù, l’uomo di Nazaret mandato da Dio, fa sperare in lui, lo fa amare.
La follia di questo annuncio emerge anche e soprattutto in questi giorni in cui tantealtre guerre insanguinano la terra. Follia che emerge anche ogni volta che nella nostra personale vicenda siamo colpiti dalla morte, dalla sofferenza, da situazioni cariche di non senso. Che cosa sperare nell’orizzonte dell’umanità? La grande tentazione è il cinismo e la repressione di quei sentimenti di speranza che stanno nel profondo del cuore di ogni uomo! Si può ancora cantare che Cristo è risorto e che, quindi, la morte è stata vinta? Che l’odio e la violenza non solo l’ultima realtà?
Sì, è possibile, e comunque nel cuore dei cristiani Risurrezione è parola forte, che sale dal profondo e vince ogni dubbio, ogni esitazione, ogni evento che sembra contraddirla.
Questa è la fede cristiana: esperienza della forza della risurrezione che è poi la forza di Dio, il Dio della vita e dell’amore. Risurrezione è la parola incontenibile, e il cristiano sa che, come diceva San Paolo, se Cristo non è risorto, allora i cristiani sono i più miserabili degli uomini, degni solo di essere compianti.
Certamente ogni cristiano, vedendo la morte all’opera in mezzo agli uomini ed esperimentando la morte all’opera anche nel proprio corpo, soffre la contraddizione, conosce il timore e a volte l’angoscia, portandone tutta la sofferenza. Ma proprio perché il suo Signore è risorto e vivente, egli si sente chiamato a diventare – come si diceva dei primi cristiani – “uno che non ha paura della morte”, uno che può giungere a chiamarla “sorella morte” perché in essa incontra Cristo, il Risorto che, a braccia aperte, è pronto ad accoglierlo anche sulla soglia degli inferi per condurlo alla vita eterna.

Enzo Bianchi

 

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letterina 20120331

Cristiani, mai contro

Quando si parla delle persecuzioni contro i cristiani, soprattutto in Paesi come il Pakistan dove vige la legge contro la blasfemia, viene spontaneo chiedersi come sia possibile che nel 2012, avvengano ancora simili misfatti contro Dio e contro l’uomo...D’altronde, a chi poteva aver nutrito l’illusoria convinzione di potersene stare in pace dopo il battesimo, è bene rammentare che il segno più qualificante dell’identità cristiana è la persecuzione. <<Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. >> (Mt 5,11-12). Sebbene la persecuzione sia, umanamente parlando, una sventura, nella fede essa rappresenta la parresìa di molte comunità cristiane presenti oggi in Africa, in Asia e, soprattutto, in Medio Oriente. La parassìa è un termine greco antico che indica, in generale, la loquacità e, più in particolare, la libertà di parola, la franchezza, l’imparzialità di discorso e di giudizio. In una sua celebre lettera, don Tonino Bello, scriveva che la parresìa <<è il parlare chiaro, senza paura, difronte alle minacce del potere…. con tutta franchezza e senza impedimento. Senza peli sulla lingua. Senza sfumature per quieto vivere. Senza mettere la sordina alla forza della Verità>>...Se da una parte è comunque doveroso che i cristiani si sentano sempre solidali con le comunità cristiane presenti nei Paesi più a rischio, è altresì giusto ricordare che non è aderente allo stile evangelico schierarsi contro qualcuno, tanto meno contro una religione. L’identità del cristiano è dialogica, fondata sull’impronta trinitaria di Dio, presente in ogni uomo. Ne consegue la ricerca con tutti di un terreno comune per vivere e lavorare insieme. Gesù Cristo ha chiesto agli apostoli di sostituire i rapporti di forza con l’affermazione dell’amore, quelli del dominio con quelli del servizio, quelli dell’interesse con quelli della generosità. Don Tonino Bello chiedeva: <<Se essere cristiani fosse un delitto, e voi foste condannati in tribunale accusati di questo delitto, riuscireste a farvi condannare?>>. Chissà, forse molti di noi, per mancanza di testimonianza, commentava provocatoriamente don Tonino, sarebbero prosciolti da ogni addebito, senza ulteriore rinvio a giudizio, per insufficienza di prove.

Da un articolo di Giulio Albanese, sul Messaggero di S. Antonio, recapitato da un partecipante alla messa di Domenica

 

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letterina 20120324

Cuori che si allontanano

In Quaresima, con gli adolescenti, facciamo un momento di preghiera nel quale riflettiamo sul Vangelo della settimana, abbinato alla scultura di Defendi e ad un racconto. Ne proponiamo a tutti uno che ci ha fatto pensare.
 
Un giorno un vecchio saggio fece la seguente domanda ai suoi discepoli:
"Perché le persone gridano quando sono arrabbiate?".  
"Gridano perché perdono la calma", rispose uno di loro.  
"Ma perché devono gridare, se la persona sta di fianco a loro?", disse nuovamente il pensatore. "Bene, gridiamo perché desideriamo che l'altra persona ci ascolti", replicò un altro discepolo.  
E il maestro tornò a domandare: "Allora non è possibile parlargli a voce bassa?".    I discepoli diedero varie risposte ma nessuna convinse il vecchio saggio.
Allora egli esclamò: "Voi sapete perché si grida contro un'altra persona quando si è arrabbiati? Il fatto è che, quando due persone sono arrabbiate, i loro cuori si allontanano molto. Per coprire questa distanza bisogna gridare per potersi ascoltare. Quanto più arrabbiati sono, tanto più forte dovranno gridare per sentirsi l'uno con l'altro. D'altra parte, che succede quando due persone sono innamorate? Loro non gridano, parlano soavemente. E perché? Perché i loro cuori sono molto vicini. La distanza tra loro è piccola. A volte sono talmente vicini i loro cuori che neanche parlano, solamente sussurrano. E, quando l'amore è più intenso, non è necessario nemmeno sussurrare, basta guardarsi. I loro cuori si intendono. E' questo che accade: quando due persone si amano, si avvicinano!".  
Infine il vecchio saggio concluse dicendo: "Quando voi discuterete, non lasciate che i vostri cuori si allontanino, non dite parole che li possano distanziare ancora di più, perché arriverà un giorno in cui la distanza sarà così tanta che non incontreranno mai più la strada per tornare".

 

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