letterina 20120721

Parola, parole e due paroline

La bella avventura del Cre è terminata, anche tra le lacrime viste l’ultimo giorno, di chi vorrebbe non finisse mai.


Parola, parole e due paroline ad alcune mamme che, anche nell’estate (per non perdere il vizio di tutto l’anno) fanno colazione (e merenda e aperitivo e after hour…) non solo con brioche, tramezzini e patatine, ma con abbondanti commenti e giudizi. Su cosa? Dipende dal tempo. Nell’anno scolastico, ad esempio, sui prof e sui voti chiaramente troppo bassi per la bravura dei figli, su quella nota che proprio non ci stava, sui troppi compiti… Nell’estate, oltre ai gossip di turno, sul Cre (al quale certo non può non mandare i figli, altrimenti chi farebbe la balia per un mese?). Appunto, il Cre: ma come è possibile fare andare a piedi i bambini dall’Oratorio al Fontanèl? Chiameremo la Protezione Civile! E quei due animatori che fan fumare i ragazzi? (cinque minuti, lontano dagli sguardi dei bambini, per un vizio che la signora aveva iniziato proprio all’età di quei due) E le animatrici? Buone solo a scoprirsi il più possibile e a mandare sms ai loro amichetti (lei intanto fa l’occhiolino ad un uomo. E non è il marito). La lista potrebbe continuare, ma già così da’ l’idea dello stile.
Un piccolo suggerimento (due paroline, appunto):
*sciacquarsi abbondantemente la bocca (perché escano parole intelligenti, sincere, belle, vere, come quelle che abbiamo cercato di proporre con il tema del Cre);
*fare abbondante esercizio fisico (magari dando una mano a quelle persone che, per i suoi figli, puliscono l’oratorio, fan da mangiare seguono gli ateliers…);
*fare scorta di umiltà (servirà tra alcuni anni quando il figlio più grande farà l’animatore e inizierà a fumare, a fare i cavoli suoi, a mandare sms e a mandare... a quel paese anche lei) sperando che ci sia ancora una comunità che accoglie. Lei e i suoi figli.

 

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letterina 20120714

Poi e mai

Durante il CRE abbiamo inserito alcuni accorgimenti per aiutare i bambini, i ragazzi e gli adolescenti a non dimenticare la messa festiva e la “visita” alla chiesa, con un tagliandino su cui segnare l’orario, la chiesa della messa partecipata, con alcune semplici domande sul Vangelo e con delle locandine con la foto della porta laterale della chiesa -quella che dà sull’Oratorio- in una successione che trasmette l’idea di una porta che si spalanca.
Sono accorgimenti, appunto, attenzioni, sensibilità che vogliono aiutare anche le famiglie a non tralasciare la dimensione spirituale dell’esistenza, proprio nel periodo in cui si ha più tempo. Quante volte abbiamo ricordato che la messa va oltre la catechesi, anche se, come sono strutturati i tempi di entrambi lungo l’anno catechistico, lo fanno pensare. Cioè, i ragazzi normalmente vanno alla catechesi e poi alla messa (sia alla Beita, il sabato che in Parrocchia la Domenica), ma nell’estate?
Nell’estate deve per forza essere maggiormente presente la famiglia: per nove mesi (proprio quanti ne servono per far venire alla luce un bimbo) è la Comunità a garantire e sollecitare questo impegno (con i catechisti, gli itinerari, le diverse proposte, i don che rompono…) ; per gli altri tre dovrebbero essere i papà, le mamme, i nonni...Come? Guardando ad esempio gli orari delle messe quando si va in vacanza, cercando di programmare i tempi del fine settimana pensando anche alla celebrazione, facendo presente quando si arriva alla Domenica sera senza: “però oggi abbiamo dimenticato la messa…”, leggendo insieme una pagina di Vangelo quando proprio non si è trovata una chiesa (!), andando insieme in un giorno feriale, non perché questa sostituisca quella domenicale, ma per sottolinearne l’importanza. Insomma, come ci si dà da fare per tempo per trovare parchi, piscine, ristoranti, fiere, divertimento...anche attraverso internet, perchè lasciare il Signore come fanalino di coda? E non mi sta bene che si dica che anche “dalle altre parti è così, lasciamo correre, andremo quando riusciremo, che male c’è, bisogna riposare, un po’ di libertà almeno d’estate…” perché la strada del “poi” porta nel paese del “mai”.

 

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letterina 20120706

Finestra di cielo

Mentre portiamo avanti il CRE sul tema della Parola, riflettiamo su quella Parola che, anche con i ragazzi, ogni giorno pronunciamo:Padre.
La Bibbia è piena di nomi di Dio: pastore, sorgente, fuoco, rugiada, vino, amante, braccio forte, carezza. All’Altissimo si addicono tutti i nomi. Un salmo lo chiama roccia e nido (Cfr. Sal 84,4), un’altro lo chiama sole e scudo (Cfr Sal 5,13). Mille sono i nomi di Dio, ma c’è un ultimo nome, il nome segreto, quello più importante, che è rivelato al singolo e che nessun altro conosce, quello che solo tu sai pronunciare, il nome che dà a Dio la tua fede, un nome non fatto di suoni, ma di emozioni, è il tuo segreto tra te e l’Amato, il tuo sapore di Dio, nato dal tuo dolore e dalla tua gioia, che ti viene dall’averlo qualche volta sentito, in qualche modo sfiorato con le dita dell’anima. È come quando due persone iniziano ad amarsi e si ripetono l’una il nome dell’altra, e tornano nell’intimo a dire e ridire quel nome, perchè in quel nome c’è la persona, tutta l’emozione di una presenza. Io devo santificare quel nome unico, vale a dire metterlo al centro della mia vita, non farne un simbolo sul muro, un ciondolo al collo, un dovere domenicale. Quanti cristiani sono credenti alla domenica e idolatri per il resto della settimana.
Il Padre nostro si apre con la parola più tenera, Abbà, e si chiude con la parola che evoca l’angoscia del dramma: il male. Tra questi due estremi dell’esistenza umana, Gesù elenca sette richieste, modello di ogni domanda, verifica di ogni desiderio. Le prime tre richieste si riferiscono alle “cose del Padre”, le altre quattro a quelle dell’uomo. L’uomo si interessa della causa di Dio, e Dio è chiamato a prendersi a cuore la sorte dell’uomo. Come due che si amano, uomo e Dio si interessano ciascuno della vita dell’altro. Ecco che cosa accade nel Padre nostro e in ogni vera preghiera: una comunione, un mescolarsi, un misterioso scambio tra le cose del cielo e quelle della terra. L’orante con il Padre nostro ormai cammina sulla terra <<come una finestra di cielo, colmata d’azzurro>>

(A. Pozzi).

 

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letterina 20120630

Parola e parole

Il CRE è iniziato e anche il Baby è pronto a partire: due parole sul tema...
Bisogna iniziare da Adamo ed Eva.
Anzi… prima, bisogna iniziare da: “Dio disse…”.
La nostra esistenza secondo la tradizione biblica ha origine dalla PAROLA di Dio. Una PAROLA che fa esistere, una PAROLA creatrice.
Un dono che in qualche modo Dio consegna anche all’uomo: ricordate quando l’uomo dà il nome ad ogni animale?
Non è stata forse una PAROLA che ci ha fatto essere? E’ bastata una PAROLA e noi siamo diventati qualcuno. Si, sto proprio pensando alla mamma che per prima ha pronunciato il nostro nome.
La PAROLA permette di esprimere i pensieri più reconditi e di esternare le emozioni più profonde.
La PAROLA genera accoglienza quando è bella; quando non lo è allontana.
La PAROLA appartiene solo all’uomo: gli animali comunicano, ma solo l’uomo parla.
La PAROLA, che grande dono!
Una PAROLA buona e ti si accende la pace nel cuore; un’altra, che buona non è, e ti senti a terra.
La PAROLA, che grande responsabilità!
E la PAROLA con cui chiamIAMO il CRE di quest’anno è: PASSPARTU’. Si tratta di un vocabolo inventato che rimanda inequivocabilmente al Passepartout, quella chiave che apre porte diverse. E come il Passepartout offre la possibilità di entrare in luoghi diversi, così al CRE 2012 sONO le PAROLE la chiave d’accesso per entrare nel cuore dell’altro e per aprirsi alle relazioni.
Allora è necessario farsi un vocabolario ricco di molte PAROLE , per trovarne sempre di nuove e di buone, di quelle che sanno raccontare il bene ricevuto, il sogno di una vita buona per tutti. Non si tratta, quindi, di insegnare a “non dire le parolacce”, ma di aiutarci a trovare quelle PAROLE buone che permettono di costruire il mondo e di bene- dire. Di dire bene di sé, del mondo e degli altri.

PassParTu’

 

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letterina 20120623

Giovanni, uomo paradossale

Giovanni è un uomo paradossale. In tutta la sua vita ha seguito vie che sono completamente opposte a ciò che normalmente cercano gli uomini. Ha preferito il deserto arido piuttosto che il luogo affollato: eppure molti andavano da lui. Ha scelto un linguaggio diretto e a volte duro e scottante: ma in questo modo ha messo coloro che venivano da lui di fronte alla responsabilità della conversione. Ha sempre allontanato la sua vita, così ricca di segni di potenza divina, da ogni sorta di potere e politico e religioso; e non ha temuto di denunciare le ipocrisie e le maschere dell’uomo che cerca il potere. Ha avuto molti discepoli; ma vedendo passare Gesù, non ha esitato minimamente a indicare ai suoi discepoli che era proprio LUI, il Cristo, colui che dovevano seguire. Ha servito e annunciato fino in fondo il regno di Dio rivelato in Gesù, dando per lui la vita; eppure, in carcere, ha dovuto lui stesso convertire il suo modo di pensare il volto di Dio e accoglierlo nella compassione di chi guarisce e non nella severità di chi giudica. Ha accettato il ruolo scomodo di chi comunica la spada tagliente della parola; tutta la sua vita è racchiusa dalla esperienza intima della gioia. A chi gli chiedeva :”Tu, chi sei?”, non ha risposto esibendo tutta la sua autorità o la sua missione ma ha preferito dire chi non era: “io non sono il Cristo [...]. Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete dritta la via del Signore”.


Questo è il Battista: un testimone limpido del paradosso evangelico, del Regno rivelato ai piccoli della potenza di Dio che si manifesta nella debolezza, delle vie di Dio che non sono quelle degli uomini. E in questo senso Giovanni è il maestro della nostra testimonianza. Da lui dobbiamo imparare a essere testimoni di Cristo: un’autentica testimonianza non si concentra sul testimone, ma su colui che è testimoniato, su Gesù. Così una comunità che lo venera come patrono, vive in rapporto costante con il Signore Gesù, rimanendo nella gioia della sua amicizia; lascia che la sua vita sia plasmata dalla parola del Signore, diventando semplice voce che comunica tutta la potenza; sa che la prima ad aver bisogno di conversione è lei stessa; accetta la logica evangelica del chicco che è caduto in terra deve morire per portare molto frutto.

 

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letterina 20120616

Patrono: Missione o Dimissione?

Arriviamo alla settimana delle feste patronali con un ricco programma che di anno in anno sta prendendo una sua identità, sollecitando sempre più un dinamismo  legato allo stare insieme nel nome del Signore, come comunità credente. Ma chi pensa, prepara e porta avanti tutto questo? (come del resto tutte le altre numerose proposte comunitarie)
Nella mente scorrono tanti volti di persone che con disponibilità e passione si mettono in gioco, alle quali va il mio grazie (che dico sempre anche al Signore) e quello di tutti. A volte, però, in questo scorrere di volti c’è come una nuvoletta che oscura la luce: quella persona non c’è perché ha avuto da dire con quel tale e allora ha detto basta, io non ci sto più, io mi tiro fuori.  
Rispetto ogni scelta, ma mi permetto di esternare almeno alcuni interrogativi che mi faccio: si è così sprovveduti da pensare che stare insieme e fare insieme -anche con un obiettivo comunitario- sia senza difficoltà? Basta un’incomprensione, una parola di troppo... per far spegnere l’entusiasmo? Non si crede proprio alla “rivoluzione” del perdono, al desiderio di andare avanti proprio perché non è tutto facile? E poi, mi dico, se anch’io usassi questo metro, che ci starei a fare qui?
Cioè: anche un prete in una comunità si trova di fronte a dei no, a delle lentezze, a delle fatiche, a delle incomprensioni, anche con la sensazione che si chieda tanto e ci sia poca disponibilità a fare un passettino. Per intenderci (ma prendo gli esempi più generali): quante volte si chiede di aiutare i celebranti occupando posti piu’ avanti in chiesa, perché non si guardi il vuoto per diversi metri, oppure di cantare, partecipare, essere propositivi e non farsi sempre “tirare”?
Se dovessi bloccarmi di fronte ai no, sarei sceso da un pezzo.
Alla fine, penso che le feste patronali -perché da queste sono partito- che una comunità celebra andando alle fondamenta del proprio essere, ci dicano che non è tempo di dire “basta”, che non bisogna gettare la spugna davanti alla prima difficoltà, che c’è posto per chi sente la comunità un po’ sua. E le vuole bene.
Insomma: tempo di MISSIONE e non di DIMISSIONE…     

don Giuseppe

 

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