letterina 20120901

Uova e frittata

Mi ha un po’ sorpreso e, anche, irritato, leggere che Vasco Rossi-di cui le cronache negli ultimi tempi hanno parlato per “il male di vivere” e per il matrimonio a 60 anni- ha detto alla comunità di San Patrignano sul problema droga: “E' davvero inconcepibile come possiate voler entrare in una discussione che non vi compete... Un pacato silenzio sul problema sarebbe da parte vostra piu' opportuno, elegante ed auspicabile”. Per Vasco l'ottica di San Patrignano e' limitata al momento dell'aiuto e del recupero del tossicodipendente e non a quello in cui i ragazzi muovono un primo, timido passo nella scellerata via del consumo. Voi siete necessari e fondamentali solo quando e se saranno gia' ben avviati su quella strada, cioe' molto dopo ancora, quando ormai - scusatemi- 'la frittata e' fatta'.
Non occupatevi di come gestire le uova, per cortesia. Non e' un compito vostro'.
Forse, in questo “prima” ha voce in capitolo uno come lui che per anni ha “ammaestrato” ragazzi e adolescenti col tam tam di una “vita spericolata”. Intendiamoci: un po’ tutti canticchiamo una canzone di Vasco; non c’è karaoke che si rispetti che non preveda alcuni suoi brani... Ma c’è chi ne ha fatto una filosofia di vita. Molte comunità, come S.Patrignano, con impostazioni diverse, han cercato di dare una risposta al vuoto riempito da droghe e dipendenze; però, dice il guru, loro non si permettano di entrare in campo fin quando “la frittata è fatta”. E bravo! Dillo a un papà o ad una mamma, che stanno vedendo il figlio cadere in un precipizio! Sarebbe interessante presentare il conto di quante vite spezzate, di quante famiglie distrutte, di quanti problemi suscitati anche dal modello “di una vita che se ne frega, che se ne frega di tutto sì”. Il conto di genitori che han dovuto raccogliere i cocci di esistenze rovinate.
I responsabili della comunità hanno risposto: "Ci occupiamo anche di gestire le uova e non ci prendiamo cura dei ragazzi soltanto quando ormai la frittata e' fatta".
E ancora: "Difendiamo con forza la liberta' delle persone di non drogarsi e di non essere schiave di una sostanza che, come sai, distrugge l'uomo, i rapporti sociali, le famiglie. Se solo conoscessi in modo diretto la disperazione dei genitori che ci chiedono di salvare il loro figlio che ha distrutto tutto, forse ti renderesti conto di cosa vuol dire difendere concretamente la liberta'".

 

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Anno 2012 - 13

Festa di Comunità 2012

5 Porte

Cinque porte

 

Cinque soglie per accostarsi in punta di piedi all'anno della fede;
per tentare di rileggerlo a partire da un punto di vista più "profano".

Cinque tappe che si snodano all'interno della Chiesa di Palazzago
per profumare le giornate di una Comunità in Festa.

 Cinque feritoie per svelare il mistero del "Sacro"
celato nella semplicità del quotidiano.

 Spazi di un passaggio, a volte stretti: Porte.

 Cinque Porte.

 

Apputamenti Estivi 2012

letterina 20120825

Sant'Alessandro

Fu, secondo quanto documentato dai tardivi atti del suo martirio (risalenti al VIII secolo), il vessillifero della leggendaria legione Tebea, composta da soldati egiziani della Tebaide e comandata dal generale romano Maurizio anch'egli venerato dalla Chiesa cattolica con il nome di san Maurizio. Secondo la tradizione, la centuria di cui Alessandro era comandante fu spostata intorno all'anno 301 dalla Mesopotamia alle regioni occidentali, prima a Colonia, poi a Brindisi, sino a giungere in Africa. Durante il lungo viaggio dei legionari, diverse persecuzioni contro i cristiani furono ordinate dall'imperatore Massimiano, ma i soldati si rifiutarono di eseguire gli ordini pagando con la decimazione, avvenuta ad Agaunum, nell'odierna Saint Maurice-en-Valais che si trova nel cantone Vallese, in Svizzera.
Tra gli scampati al massacro, Alessandro riparò con alcuni suoi compagni in Italia, ma fu imprigionato a Milano e qui si rifiutò di abiurare alla fede cristiana come ordinatogli dall'imperatore Massimiano. Fuggito dalla prigione, grazie all'aiuto di Fedele di Como e del vescovo Materno, sulla strada verso Como, secondo la leggenda compì il miracolo di risuscitare un defunto.
Dopo essere stato riconosciuto, catturato e riportato davanti a Massimiano, Alessandro abbatté l'ara preparata per il sacrificio agli dei romani, facendo infuriare l'imperatore, che lo condannò a morte per decapitazione; la leggenda vuole che il carnefice non osasse colpirlo poiché Alessandro gli appariva "come un monte" e, per lo spavento, gli si sarebbero irrigidite le braccia: la stessa sorte sarebbe toccata ad altri soldati chiamati ad eseguire la condanna; pertanto fu rimesso in carcere, a morire di stenti, ma riuscì nuovamente a fuggire.
Alessandro passò miracolosamente l'Adda all'asciutto e si nascose in un bosco vicino a Bergamo, presso il Ponte della Morla, da un patrizio locale, Crotacio. A Bergamo Alessandro iniziò un'opera di conversione alla fede cristiana degli abitanti della città, tra cui i futuri martiri Fermo e Rustico, parenti di Crotacio. Fu presto scoperto da alcuni soldati romani che lo condussero in catene a Bergamo, dove fu condannato alla decapitazione, che questa volta fu eseguita senza inconvenienti il 26 agosto 303 nel luogo dove ancora sorge la Chiesa di Sant'Alessandro in Colonna.
Grazie alla nobildonna Santa Grata, il corpo del Martire fu trafugato e trasportato nel podere della famiglia di lei, dove fu inumato. La Santa, alcuni giorni dopo l'esecuzione, avrebbe trovato le spoglie di Sant'Alessandro, la cui presenza era segnalata da gigli, cresciuti in corrispondenza di alcune gocce del sangue del Martire, le avrebbe raccolte e fatte seppellire in un orto della sua famiglia, fuori della città, là dove sarebbe sorta la grande basilica di Sant'Alessandro, poi abbattuta durante la costruzione delle mura venete di Bergamo.

 

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letterina 20120818

Messa, messe e due paroline...

In alcune messe di giorni feriali ci si sorprende per la numerosa partecipazione. E qualcuno commenta dicendo: era la messa del tale... che ha molti parenti.
A parte che la messa non è mai del tale o della tale, ma è il grazie di Cristo al Padre, nel quale poi chiediamo un aiuto nella preghiera anche per i defunti (e qui troviamo il senso delle norme diocesane su “i
nomi nella messa”), ma mi domando: ci si muove per ricordare un “morto”, ma ci rendiamo conto che la messa è la festa del Risorto (cioè di un “vivo”?)
Come troviamo il tempo per andare, in un giorno feriale, perché c’è la messa del papà, della zia, del nonno, dell’amico...morti, non possiamo trovarlo per celebrare un Dio vivo?
Non dico di non partecipare alle messe per il caro estinto, ma di partecipare anche alle altre. Cioè: il richiamo di un vivo -il Cristo- dovrebbe essere più forte del richiamo di un morto.
So che qualcuno potrebbe dire: faccio già fatica ad andare la Domenica, figuriamoci nei giorni feriali… Ma la sfida è proprio qui: renderci conto che c’è una Parola e un Pane che non attendono la “festa comandata” per essere accolti, ma ci vengono offerti ogni giorno, sia che la messa abbia l’intenzione per un defunto con tanti o pochi familiari, sia che non l’abbia.
Come ci “portiamo avanti” per avere la messa il tal giorno per i nostri cari, perché non potremmo “portarci avanti” con una presenza anche nei giorni feriali?

 

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letterina 20120810

Abbiamo giocato nella stessa strada

E’ così che si diventa davvero fratelli a Crabas, che venire dalla stessa madre non ha mai reso parenti neanche i gatti. Benedetto sempre sia il rispetto per la carne della nostra carne, ma la strada e l’averci giocato insieme offre ai bambini una più alta dimensione di parentela, che nemmeno da adulti sarà mai dimenticata. Non c’è niente di intuitivo nella generazione: il sangue segue percorsi torbidi e per questo nessun ragazzino crede davvero che basti condividere il cognome di un padre per rivendicarsi seme comune.
Come si è nati è una di quelle cose che bisogna farsi spiegare più volte, e dev’essere per questo che dopo, per tutta la loro vita, molti adulti cercano di liberarsi dalle parentele casuali affermandone altre decise da sé con puri atti di volontà. Testimoni di matrimonio vengono assunti come fratelli. Padrini e madrine dei proprio figli vengono eletti a parenti d’occasione. Compari e comari nascono all’inizio di ogni estate durante la notte di San Giovanni, quando l’intera isola scintilla dei fuochi da saltare insieme mano nella mano per conquistare una fratellanza che non sia in debito con alcuna madre.
Alberi genealogici spuntano di continuo dal fuoco, dal vino, dalla colpa e dall’acqua santa. Eppure neanche quei rituali millenari vincolano la memoria del cuore quanto il gioco dei bambini celebrato insieme per strada. Non c’è stato di famiglia che possa vincere la battaglia contro i pomeriggi di sole estivo in cui si è riusciti a infilare il primo pallone in porta tra le grida dei compagni, o liberato insieme una libellula gigante entrata per sbaglio in un retino per farfalle. Cosa può il richiamo del proprio sangue contro la consapevolezza di essere stati la causa involontaria del primo sangue sgorgato dal ginocchio di un amico? Nessun Natale trascorso in famiglia compete dentro all’anima con il vento in faccia di certe discese in bicicletta senza mani, col riflesso della treccia scura che dondola sulla schiena della bambina più bella o con la rovente vergogna di un giornale per grandi trovato tra gli sterpi e sfogliato in silenzio, attoniti.
In quelle verginità perdute c’è il segreto patto dei veri complici, il potere normativo delle prime consapevolezze comuni, contro le quali non esiste famiglia che possa pretendere maggiori diritti. Così li senti davvero certi adulti nei bar, uomini fatti e disfatti mille volte dalla vita, vantarsi ancora tra di loro dei legami nella strada dell’infanzia – abbiamo fatto il gioco insieme – come di un parto condiviso. 

Per una lettura sotto l’ombrellone. Michela Murgia: L’incontro

 

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Assunta 2012

Cartoline 2012

5 Porte

Cinque porte

 

Cinque soglie per accostarsi in punta di piedi all'anno della fede;
per tentare di rileggerlo a partire da un punto di vista più "profano".

 

Cinque tappe che si snodano all'interno della Chiesa di Palazzago
per profumare le giornate di una Comunità in Festa.

 

Cinque feritoie per svelare il mistero del "Sacro"
celato nella semplicità del quotidiano.

 

Spazi di un passaggio, a volte stretti: Porte.

 

Cinque Porte.

 

Apputamenti Estivi 2012

letterina 20120728

Quanto? Quanti?

Caro don Giuseppe
aprendo la busta del Cre mi è venuto in mente che, almeno nei soldi, uno studente è un po’ come una Parrocchia: si spende molto per mantenerlo, eppure questo ne ha sempre bisogno.
Eccoti allora mezzo del mio “gaudio”, per curare il “mal comune”.
Grazie lo stesso.


Un biglietto così va conosciuto, non tanto per la quota che è stata resa, ma perché rivela un sentire “da grande”. E, permettete, è un po’ di luce anche per gli animatori più giovani che, normalmente, guardano immediatamente a “quanto ?”.
Al termine del Cre, il grazie agli animatori vien significato da uno scritto con un “presente” (che ogni anno varia a seconda del tema) e una mancia. Tutto questo si aggiunge a ciò che viene già messo in cantiere per ciascuno: i costi della formazione, della due giorni in montagna, della maglietta, della mensa, delle piscine, delle gite, dei trasporti, della serata con gli animatori della bergamasca... del fegato che si deve mangiare con alcuni. Alla fine è bello se qualcuno dice grazie. L’ultimo giorno, dopo aver distribuito i presenti, un animatore si avvicina, toglie dalla busta il foglietto del grazie dicendo:” basta questo” e mi consegna i soldi che c’erano dentro. Dico di no, che è giusto che anche lui tenga la mancia...ma niente. Lo stesso giorno, un altro animatore, alla prima esperienza, si lamenta per aver ricevuto poco, confrontandosi con una animatrice di 20 anni che ha ricevuto di più (lui dice perché sta simpatica). Anche qui è necessario riflettere. Per un mese ha dato filo da torcere: richiami, sospensione, nuove possibilità concesse, condivisioni con l’equipe del Cre per vedere il da farsi salvaguardando fiducia nei suoi confronti, comprensione per i genitori, ma anche desiderio di far capire le cose all’interessato. E, alla fine, lui si paragona ad una che ha sgobbato da matti. Poi, il sabato, ritirando la posta, trovo il biglietto di cui sopra. Davvero qualcuno sta camminando. E allora non mi “spaventa” neppure l’animatore alla prima esperienza… Avrà bisogno di altri Cre. Quanti?

 

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letterina 20120804

Intorno al perdono (anche d'Assisi)

Una società che non conosce Dio ha smesso di elaborare il tema del peccato e di riflettere sul suo significato. Una società laica e agnostica tende, nella migliore delle ipotesi, a tradurre il peccato con tutto ciò che va contro la legge; rompere le regole del patto sociale, danneggiare oppure ledere i diritti degli altri: questa ad esempio potrebbe essere la traduzione moderna del termine peccato. Eppure “peccato” non è solo “andare contro la legge”. Il peccato ha una sua natura e una sua connotazione decisamente più morale che giuridica, nel senso che un peccato è sempre anche un atto contro di sé, contro la propria integrità, un mancare alla propria autenticità. L’offeso non subisce il peccato di un altro, l’azione di cui è vittima ha una sua oggettività, quella che si valuta nella colpa. Perciò per la sua natura intima e intrinseca un peccato non può esaurirsi nella colpa. Infatti se la pena estingue la colpa, la stessa pena non può estinguere il peccato. Perché il peccato possa essere estinto c’è bisogno del perdono. L’importanza del perdono infatti non sta nel cancellare il peccato e neppure nel rimuoverlo. Esso non ha l’effetto di lavare o di smacchiare. Ormai lo sbaglio è stato commesso ed esso, in sé, rimane irreparabile.
Nessuna pena può bastare. L’importanza di questo gesto sta allora nel fatto che ci giustifica.
Perdono vuol dire che qualcuno capisce il nostro limite e ci comprende; qualcuno ci ama nel nostro limite. In tal modo il limite cessa di spaventarci. Non lo sentiamo come un ostacolo che ci impedisce di vivere il mondo. Noi abbiamo bisogno di questo per i nostri peccati. Il perdono integra la parte scissa, non afferma né nega, nel senso che non emette giudizi, in conformità con quanto dice il Signore: “Non sono venuto per condannare il mondo” (Gv 12,47). Questo è semmai il compito della legge. Siamo stati perdonati vuol dire che siamo stati capiti, vuol dire che andiamo bene così. Noi stessi ci guardiamo con meno sospetto, diventa tutto più tollerabile perché qualcuno ci ha amati. Qualcuno che viene a cercare chi ha offeso, che viene a medicare le sue ferite dell’anima, perché anch’egli, come chi è stato offeso, ha bisogno di un lenimento, di un balsamo perché non si irrigidisca, non divenga sospettoso di sé, non si chiuda nell’ombra e alla bellezza del mondo. Noi abbiamo bisogno di questo perdono che cerca l’uomo, lo cerca e lo salva: prima che la sua rabbia possa trasformarsi in rancore e in di distruttività.

 

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Assunta 2012

Cartoline 2012

Apputamenti Estivi 2012